Guardatelo. È nell’animazione video qui in fondo, realizzata per l’occasione dagli scienziati del Goddard Space Flight Center della NASA. È un sistema binario, e fin qui nulla di strano: l’universo ne è pieno. Ma questo è particolare: è un raro esemplare di binaria gamma. Più unico che raro: è infatti il solo a oggi mai individuato al di fuori della nostra galassia. Descritto sulle pagine del numero che uscirà domani, primo ottobre, di The Astrophyisical Journal, LMC P3 – questo il suo nome in codice – è stato scoperto grazie al telescopio spaziale Fermi della NASA, che già ne aveva individuati altri quattro nella Via lattea.
Si trova nella Grande Nube di Magellano, una piccola – a dispetto del nome – galassia nella periferia della Via Lattea, a circa 163 mila anni luce di distanza da noi. Ed è situato (vedi il circoletto giallo nell’immagine di apertura) nel cuore di una nube in espansione di residui dell’esplosione di una supernova.
Un sistema binario, dicevamo. Formato dunque da due oggetti, in rotazione l’uno attorno all’altro. Il più massiccio dei due, quello rappresentato dalla sfera azzurra, è una grande stella calda. Molto grande e molto calda: la sua massa è stimata fra le 25 e le 40 masse solari, e la temperatura in superficie tocca i 33 mila gradi – sei volte più calda di quella del Sole. Il secondo, la sferetta viola, potrebbe essere una stella di neutroni. O un buco nero. Per decidere quale dei due dovremmo sapere come siamo posizionati rispetto al sistema: se un po’ taglio, come nell’animazione, i dati suggeriscono che sia una stella di neutroni; se invece lo stessimo osservando “dall’alto”, è probabile che si tratti d’un oggetto più massiccio, dunque un buco nero. Ma non lo sappiamo, dunque resta l’incertezza sulla sua natura.
Grazie ai dati di Fermi e di altri telescopi reclutati in seguito alla scoperta (Swift per osservare l’oggetto in banda X, l’Australia Telescope Compact Array in banda radio e altri due telescopi per la luce visibile, il Southern Astrophysical Research Telescope di Cerro Pachón, in Chile, e il South African Astronomical Observatory vicino a Cape Town) sappiamo comunque parecchie cose. Ne conosciamo il periodo di rotazione, pari a 10.3 giorni (vedi grafico qui sotto). Ed è stato notato che l’emissione gamma e quella X sono sfasate: una raggiunge l’apice quando l’altra tocca il minimo, e viceversa.
La curva di luce di LMC P3. Crediti: Goddard Space Flight Center NASA
Nelle binarie gamma, si ritiene che la “compagna compatta” – dunque la stella di neutroni, o il buco nero – produca un proprio “vento”, costituito da elettroni accelerati a velocità prossime a quella della luce. L’interazione fra le emissioni genera raggi X e onde radio, emissioni che ci appaiono più intense quando la “compagna compatta” sta percorrendo il tratto di orbita più vicino alla Terra.
Lo stesso vento di elettroni emette anche raggi gamma, ma attraverso un meccanismo differente: quando i fotoni provenienti dalla stella entrano in collisione con gli elettroni ad alta energia, ne ricevono una sorta di spinta che li porta a un livello energetico superiore, quello appunto dei raggi gamma. Noto come effetto Compton inverso, questo processo, al contrario di quello precedente, produce più raggi gamma quando la “compagna compatta” passa vicino alla stella sul lato opposto rispetto al nostro punto di vista.
«La Grande Nube di Magellano si conferma una galassia molto interessante per gli astronomi gamma», commenta a Media INAF Patrizia Caraveo, direttrice dello IASF di Milano e responsabile per INAF della missione Fermi. «Prima abbiamo scoperto che ospita il pulsar più luminoso in raggi gamma (è il secondo più energetico della popolazione dei pulsar noti) e ora apprendiamo che detiene anche il record per la sorgente gamma binaria più brillante. Il risultato è frutto di un lungo lavoro iniziato con la ricerca di periodicità in centinaia di sorgenti gamma del terzo catalogo di Fermi e continuato con campagne X, ottiche e radio per chiarire la natura della sorgente che è un sistema binario con periodo di 10.3 giorni formato da una stella massiva e una stella di neutroni. I sistemi binari non sono sorgenti “comuni” nel catalogo Fermi, se ne conoscono appena una manciata, e la prima binaria gamma extragalattica non è certo un oggetto banale».
Guarda l’animazione realizzata dal Goddard Space Flight Center della NASA:
La versione di Osiris
OSIRIS (Optical, Spectroscopic and Infrared Remote Imaging System), un nome evocativo per lo strumento che ha realizzato tanti dei magnifici scatti che abbiamo potuto ammirare della cometa 67P. È la doppia camera, grandangolare e ad angolo stretto in dotazione alla sonda Rosetta, alla cui progettazione ha contribuito l’Università di Padova attraverso il CISAS. Si poserà fra poco sul suolo della sua ‘modella’ preferita, lo stesso suolo sul quale ha scattato le foto della discesa di Philae e del quale negli ultimi due anni ci ha mandato ogni giorno immagini incredibili, immagini che contribuiranno come poche altre alla nostra comprensione dell’Universo. Le ultime sono di questa mattina e immortalano la cometa 67P da una distanza compresa fra 16 e 1.2 km, scattate da Osiris nella discesa finale verso il suolo della cometa.
Sui blog dell’ESA nei giorni passati abbiamo potuto leggere i dietro le quinte su quanto accaduto ai team di ricerca dei vari strumenti nel corso della missione, e non poteva certo mancare il team di Osiris. Un team enorme, circa 100 persone, che nei momenti di progettazione dello strumento sono arrivate a 300. Dal suo risveglio, dopo l’ibernazione, Osiris ha scattato oltre 76.000 immagini – come ricorda il responsabile di Osiris Holger Sierks – la maggior parte delle quali della cometa, che ci hanno permesso di vedere come mai prima il suolo e le polveri di questo affascinante oggetto. Dall’inizio della missione le foto scattate sono oltre 98.000, e oltre 22.000 le ore di operatività.
Abbiamo sentito per un commento Gabriele Cremonese, dell’INAF Osservatorio Astronomico di Padova.
Queste incredibili immagini mostrano il viaggio mozzafiato di Philae durante il suo avvicinamento e il primo rimbalzo sulla cometa 67P il 12 novembre il 2014. Il mosaico si compone di una serie di immagini catturate dalla camera OSIRIS in un intervallo di tempo di 30 minuti. Crediti: ESA/Rosetta/MPS, per il team OSIRIS MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA
«I numeri che riporta Sierks danno un’idea di quanto lavoro ha svolto questo strumento con rarissimi momenti di difficoltà tecniche, ma non possono descrivere l’incredibile entusiasmo di tutto il team nel vedere le prime immagini. Ho riflettuto che nel team di OSIRIS ci sono almeno 5 generazioni di scienziati che in questi due anni hanno lavorato sui dati, ma nell’estate del 2014 sembravamo tutti dei bambini che vedevamo per la prima volta, qualcosa di incredibile».
«Le prime immagini», continua Cremonese, «mostravano subito la forma molto strana del nucleo, e nelle decine di mail quotidiane in molti cercavamo di trovare delle analogie. Il nucleo della cometa sembrava uno stivale o una papera e ci fu un collega che fece girare una foto con un mouse con sopra una prugna dicendo che era proprio così. Da oggi saremo tutti molto tristi perché non avremo più nuove entusiasmanti immagini da commentare. E’ stata comunque una splendida avventura».
Già, una splendida avventura, un viaggio lunghissimo nello spazio verso l’ignoto passato a scattare immagini e che permetterà agli scienziati di lavorare ancora per anni grazie ‘all’album di famiglia con cometa’ realizzato da Osiris.
La Via Lattea: più grande e dinamica che mai
La Via Lattea, la nostra Galassia, è più estesa e massiccia di quanto finora ritenevamo, avvicinandosi così per conformazione e dimensione alla galassia di Andromeda, la maggiore tra le galassie che insieme alla nostra costituiscono il Gruppo Locale. Non solo: la sua velocità di rotazione è più alta del 10 per cento rispetto al valore oggi accettato. Questi sono alcuni dei risultati dello studio guidato da Ye Xu, dell’Accademia cinese delle Scienze e a cui ha partecipato il ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) Luca Moscadelli. Il lavoro, pubblicato oggi su Science Advances, ci restituisce una nuova, accurata visione della nostra Galassia e della nostra posizione al suo interno, ottenuta grazie alle osservazioni nelle onde radio condotte con il Very Long Baseline Array (VLBA), una rete di 10 radiotelescopi dislocati negli Stati Uniti, nell’ambito del progetto internazionale BeSSeL (Bar and Spiral Structure Legacy).
Studiare la struttura e le caratteristiche della nostra Galassia è assai difficile poiché ci troviamo al suo interno. Basti pensare che ancora oggi non c’è accordo sul numero, posizione, orientazione e le proprietà dei bracci a spirale che compongono la Via Lattea. Occorre infatti misurare accuratamente la loro estensione fino ai confini estremi, riuscendo a penetrare dense nubi di polvere interstellare che assorbono la luce delle stelle distanti sul piano galattico. Per superare queste limitazioni, i ricercatori hanno utilizzato osservazioni nelle onde radio, che non sono assorbite dalla polvere interstellare, abbinate alla tecnica dell’interferometria a lunghissima linea di base: un metodo che combina i dati raccolti da più telescopi, riuscendo a produrre immagini con una risoluzione elevatissima. Tra il 2010 e il 2014 sono state effettuate numerose osservazioni durante ogni anno solare di due tipi di maser molecolari, ovvero intense sorgenti di radiazione molto concentrata alle lunghezze d’onda di 6,7 e 22 GHz, prodotte rispettivamente da molecole di metanolo e di acqua. «Alte concentrazioni di queste molecole sono comunemente osservate nelle nubi di gas interstellare intorno a giovani stelle in formazione» dice Moscadelli. «Poiché le nubi molecolari, dove si formano le stelle, si concentrano nei bracci a spirale delle galassie, ne consegue che questi maser molecolari sono ottimi traccianti dei bracci a spirale delle galassie. Inoltre, i maser molecolari hanno una struttura spaziale molto compatta e quindi sono ottimi strumenti per misure di posizione e velocità».
I dati raccolti ed elaborati dal team hanno permesso di determinare, per le oltre cento sorgenti maser studiate, le loro posizioni (direzione e distanza) e velocità 3-D (ovvero, sia la componente lungo la linea di vista, che quelle nel piano del cielo). Il quadro che ne emerge evidenzia la presenza di cinque segmenti di bracci a spirale. Essi sono, in ordine di raggio galattico crescente: Scudo, Sagittario, Locale, Perseo ed Esterno. Il lavoro appena pubblicato si concentra in particolare sul braccio Locale – ovvero quello dove è collocato il nostro Sistema solare – che in precedenza era considerato come una semplice protuberanza o una struttura secondaria. Invece i dati del progetto BesseL dimostrano che la sua estensione, forma e tasso di formazione stellare sono simili a quelli dei bracci a spirale più vicini a noi, ovvero Sagittario e Perseo. I nuovi dati rivelano anche la presenza di una protuberanza del braccio Locale che si estende fino al braccio del Sagittario.
Ma le informazioni ottenute non si fermano qui. Lo studio ha restituito la migliore stima della distanza del Sole dal centro galattico, fissata ora a 27200 anni luce, così come la velocità di rotazione galattica alla distanza del nostro sistema planetario: 240 chilometri al secondo, ovvero 864 mila chilometri orari, un valore superiore del dieci per cento a quanto finora ritenuto.
«Questa nuova stima ha una profonda rilevanza per le misure astrofisiche» sottolinea Moscadelli, in forza presso l’Osservatorio Astrofisico di Arcetri dell’INAF. «Poiché molte delle distanze stellari sono calcolate adottando un certo modello di rotazione Galattica, la variazione del modello di rotazione influenza tutte le distanze calcolate per via cinematica. Con i nostri risultati esse devono essere ridotte del 10 per cento. Di conseguenza, le luminosità stellari vanno riviste in basso del 20 per cento. Ma c’è un’altra importante implicazione: la massa della Via Lattea, che viene misurata sempre con metodi dinamici, risulta maggiore di un terzo delle stime attuali e si avvicina notevolmente a quella della galassia di Andromeda. All’interno del Gruppo Locale di Galassie, la Via Lattea non dovrebbe più essere considerata la sorella minore, ma piuttosto la gemella di Andromeda».
Le osservazioni del progetto BeSSeL, guidato da Mark Reid dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics negli Stati Uniti, si concluderanno entro quest’anno. Complessivamente le sorgenti maser osservate saranno più di 200, circa il doppio di quelle finora pubblicate. Questo consentirà di determinare con ancora maggiore precisione dimensione, velocità e massa della nostra Galassia.