È apparsa il 14 agosto, lì dove prima non era possibile distinguere nulla: una “nuova stella”, una nova. A individuarla è stato un astronomo dilettante giapponese, Koichi Itagaki, mentre osservava il cielo, in direzione della costellazione del Delfino, con la sua strumentazione amatoriale. Inizialmente appena sotto il limite di osservabilità a occhio nudo, Nova Delphini 2013, è cresciuta in luminosità nei giorni successivi, tanto da poter essere vista anche senza l’ausilio di strumenti ottici, a patto che il cielo sia sufficientemente buio e limpido. Si tratta davvero di una stella comparsa dal nulla? Naturalmente no, la stella c’era già ma, prima del suo notevole aumento di luminosità era troppo debole per essere notata. Questo genere di stelle, prima di diventare novae, sono piccole e compatte nane bianche che risucchiano materiale alla loro stella compagna, privandola degli strati gassosi più esterni. Questa “appropriazione indebita” continua fino a un certo punto: la temperatura e la pressione del gas che va ad avvolgere la nana bianca aumentano fino ad innescare una reazione di fusione nucleare che produce una enorme esplosione con conseguente aumento di luminosità. In genere però, questi eventi non distruggono la nana bianca che, una volta liberatasi del gas che aveva accumulato, torna a rubarne altro alla stella compagna, preparandosi così a una nuova esplosione.
IL PROLUNGAMENTO DELLA MISSIONE DEL SATELLITE FERMI
Five more years, si potrebbe dire riecheggiando quel “four more years” (“altri quattro anni”) con cui Barack Obama festeggiava su Twitter la sua rielezione. Dopo i successi dei primi cinque anni di missione, la NASA ha ufficialmente annunciato l’inizio della “extended mission” per FERMI, l’osservatorio orbitante per raggi gamma lanciato nell’estate del 2008. L’annuncio è un passo fondamentale verso l’obiettivo dichiarato del team scientifico della missione, che punta a continuare le osservazioni dell’Universo nella alte energie fino al 2018.
In questi cinque anni, FERMI ha trasformato la nostra visione del cielo in raggi gamma, scoprendo nuovi sorgenti di radiazione nelle altissime energie, da stelle di neutroni che ruotano velocemente (le pulsar) ai getti di materia causati dai buchi neri supermassicci in galassie lontane.
Per proseguire la missione con nuovi obiettivi, il team di Fermi sta considerando l’idea di introdurre una nuova strategia osservativa, usando lo strumento principale del satellite (il LAT, Large Area Telescope, che al momento funziona in modalità scanning, riprendendo l’intero cielo ogni tre ore), per osservazioni più approfondite della regione centrale della Via Lattea, una zona dove si pensa si trovino molte pulsar e altre fonti di radiazione ad alta energia. Quest’area dovrebbe essere anche uno dei migliori posti dove cercare i segnali in raggi gamma prodotti dalla materia oscura, qualunque cosa sia. Secondo alcune teorie, infatti, la materia oscura sarebbe fatta di particelle che producono un lampo gamma quando interagiscono con la materia ordinaria.
Patrizia Caraveo dell’INAF-Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica Cosmica di Milano, responsabile per l’Italia di Fermi-LAT, commenta così l’estensione della missione:
“A giugno abbiamo festeggiato i cinque anni del lancio della missione che allora si chiamava GLAST, una missione di Astronomia Gamma a marchio NASA con una importante partecipazione Italiana da parte di ASI, INAF ed INFN. Una volta in orbita, superati i test e la prima sessione di calibrazione, GLAST è stato dedicato ad Enrico Fermi diventando il Fermi Observatory, ed è quindi tempo di festeggiare i 5 anni di attività della missione Fermi che ha operato in modo scanning per il 96% del tempo, ottenendo una dettagliatissima immagine del cielo gamma. Il compendio dei 5 anni di missione è stato reso pubblico ieri, sia come una bellissima immagine “muta”, sia come una serie di immagini “commentate” a indicare pulsar, resti di supernova, sistemi binari, galassie normali, galassie attive, blazars.
Non tutti gli oggetti celesti si possono studiare in modo scanning, che dedica ad ogni porzione di cielo una ventina di minuti ogni tre ore. Alcune sorgenti hanno bisogno di attenzione totale e su queste lo strumento viene puntato con continuità, grossomodo per il 4% del tempo di osservazione. Succede in occasione di eventi solari particolarmente intensi, di lampi gamma molto brillanti, di variabilità spettacolari (come quelle delle nebulosa del Granchio), oppure di oggetti potenzialmente interessanti. Fermi ha appena finito un puntamento della Nova nella costellazione del Delfino ed è di ieri la notizia che Nova Delphini è stata rivelata in raggi gamma, la quarta esponente della famiglia delle Novae ad emettere anche fotoni di alta energia.
Quanto durerà la missione Fermi? Non avendo consumabili a bordo, la missione potrà continuare senz’altro per altri 5 anni, sempre che le agenzie finanziatrici non perdano entusiasmo nei risultati di Fermi. Proprio per mantenere alto il livello di attenzione, ci siamo posti il problema su come operare la missione Fermi nei prossimi anni. Continuare a coprire il cielo come è stato fatto fino ad ora oppure concentrarsi ad osservare qualcosa di particolarmente interessante? E’ quello che dovremo decidere la prossima settimana durante la riunione della collaborazione a Stoccolma. Il centro galattico, con le sue promesse di rivelazione di materia oscura, reclama più attenzione. Peccato che un programma dedicato al centro galattico andrà a scapito dello studio di altre sorgenti celesti, che invece guadagnano molto dalla copertura regolare. Vedremo”.
L’INVERSIONE POLARE DEL SOLE
Il Sole sta per invertire i poli del proprio campo magnetico, un evento periodico che ha ripercussioni sul campo magnetico interplanetario. L’annuncio è venuto dalla NASA, più precisamente da alcuni scienziati dell’Agenzia Spaziale Americana che lavorano alla Stanford University.
L’evento avviene all’incirca ogni 11 anni, nel mezzo di un ciclo solare completo e fa parte del suo ciclo naturale. Ovviamente questo non basta a giustificare che la sua periodicità non produce nessun effetto catastrofico sul nostro pianeta.
“Si tratta di un evento fisiologico, non patologico”. È con questo concetto che il fisico solare Mauro Messerotti, dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Trieste, interpellato dalla trasmissione Start di Radio 1, ha spiegato la ciclicità del fenomeno e che gli eventi ad esso collegati non saranno catastrofici.
“Possiamo immaginare il Sole come una barretta magnetica, con i due poli agli estremi che venga lentamente girata di 180 gradi – ha detto lo scienziato rispondendo alle domande della conduttrice Annalisa Manduca – e non è evento occasionale ma avviene ogni 11 anni circa. Dal momento della sua nascita il Sole ha già compiuto 418 milioni di cicli, e solo a 24 di questi abbiamo potuto studiare, il che fa comprendere quanto poco ancora conosciamo della nostra stella”.
Messerotti ha poi spiegato come questo processo di inversione sia piuttosto lento e che attualmente si è completato nell’emisfero Nord, mentre per quello Sud ci vorrà ancora qualche mese, e dipende dal movimento del plasma solare dalle regioni dove ci sono le macchie agli emisferi.
“Sebbene questo processo influenzi il campo magnetico interplanetario, questo non comporta nessun evento catastrofico per il nostro o altri pianeti, perché siamo di fronte ad un processo fisiologico del nostro sistema solare e non patologico” sottolinea il ricercatore dell’INAF, docente di fisica solare all’Università di Trieste.
“Anche il nostro pianeta – conclude Messerotti – ha registrato cambi di polarizzazione nel corso della sua storia, ogni milione di anni circa, a significare che tale processo appartiene al comportamento fisiologico dei corpi celesti dotati di campo magnetico”.
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