Se la vita sul nostro pianeta, almeno come la conosciamo, si è potuta avviare ed evolvere fino ad arrivare allo stato attuale, una buona fetta del merito va sicuramente al campo magnetico terrestre, invisibile ma affidabile scudo che ci protegge dal continuo flusso di particelle energetiche provenienti dallo spazio che ci investe da tutte le direzioni. Oggi abbiamo un’idea abbastanza chiara del processo che genera questo campo magnetico, ovvero il movimento del guscio di ferro liquido nella zona esterna del nucleo del nostro pianeta, una sorta di enorme dinamo naturale. Mancano però alcuni importanti dettagli di come il campo magnetico si sia innescato e mantenuto nel corso della lunga storia della Terra.
Sappiamo che il nostro pianeta si è “assemblato” aggregando via via materiale roccioso che circondava il giovane Sole e, con il trascorrere del tempo, gli elementi più pesanti presenti in questi mattoni primordiali, in particolare il ferro, sono sprofondati fin verso le zone più interne, stratificandosi fino a raggiungere la configurazione attuale, con un nucleo interno, un mantello intermedio e una crosta esterna. La regione più interna del nucleo terrestre è solida, mentre quella esterna è composta da uno strato fuso di lega di ferro che, ruotando e sfregando sulla parte solida, genera appunto il campo magnetico. Queste informazioni però non bastano per riuscire a ricostruire altrettanto accuratamente il comportamento del campo magnetico terrestre nel tempo, che è legato alla conoscenza di alcuni parametri delle regioni centrali del nostro pianeta, come la composizione chimica del nucleo, la pressione, la temperatura e le proprietà con cui si propaga il calore al suo interno. Ed è proprio sullo studio della propagazione del calore tra gli strati solidi e liquidi del nucleo della terra che Alexander Goncharov del Carnegie Institute e il suo team hanno condotto una serie di esperimenti di laboratorio, per ricavare informazioni su come il nostro campo magnetico si è sviluppato e quanta energia viene spesa per sostenere la sua intensità.
Un compito non facile per i ricercatori, che hanno dovuto ricostruire condizioni di temperatura e pressioni estreme, proprio come se fossimo letteralmente al centro della Terra. Condizioni in cui la materia stessa non presenta gli stessi comportamenti che sperimentiamo alle condizioni ordinarie sulla superficie. Per raggiungere questo risultato, i ricercatori hanno utilizzato un congegno che hanno chiamato “cella di diamante a incudine riscaldata al laser”. Semplificando molto, possiamo pensarlo come una prodigiosa pressa dotata di ganasce di diamante tra le quali piccoli campioni di materiale vengono liquefatti dalla pressione esercitata e quindi surriscaldati da fasci laser.
Grazie a questo apparato, il team è stato in grado di analizzare il comportamento di campioni di ferro come se si trovassero nelle stesse condizioni riscontrabili all’interno di pianeti la cui taglia oscilla da quella di Mercurio fino a quella della Terra, ovvero con pressioni tra 345mila e 1,3 milioni di volte quella atmosferica e con temperature comprese tra 1300 e 2700 gradi celsius. I ricercatori hanno registrato in particolare come si propaga all’interno di questi campioni il calore, scoprendo così che la loro capacità di trasmettere energia termica coincide con i valori più bassi delle stime sulla conduttività termica del nucleo terrestre. Ciò indica che l’energia necessaria a sostenere la dinamo terrestre è stata disponibile già nelle prime fasi della storia della Terra. C’è però ancora molto lavoro da fare per comprendere appieno la natura e le proprietà delle zone più interne e inaccessibili del nostro pianeta dove ha origine il campo magnetico, come dice lo stesso Goncharov: «Il prossimo passo, per capire meglio la conduttività termica del nucleo, sarà quello di studiare il contributo ai processi termici all’interno del nostro pianeta fornito dagli altri materiali diversi dal ferro presenti nelle zone interne del nucleo».
Dalle Canarie un altro Anello di Einstein
Sono quasi tutti italiani gli autori della scoperta di un nuovo anello di Einstein, uno dei fenomeni più affascinanti da osservare nell’Universo. Nello specifico, questo oggetto è stato soprannominato Anello di Einstein delle Canarie, perché la prima autrice dello studio pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society è Margherita Bettinelli, una ricercatrice italiana che sta svolgendo il suo dottorato presso l’Istituto di Astrofisica delle Canarie (IAC) e l’Università di La Laguna (ULL) a Tenerife. La scoperta è stata effettuata utilizzando la “Dark Energy Camera” (DECam) del telescopio da 4 metri Blanco presso il Cerro Tololo Observatory, in Cile. Quella che vedete al centro di questa immagine è una galassia deformata dall’effetto dello strong lensing gravitazionale, testimoniato da una debole emissione di forma quasi perfettamente circolare, che appunto è il cosiddetto anello di Einstein, fenomeno molto interessante predetto dallo stesso scienziato nella sua Teoria della Relatività Generale.
«La scoperta di questo “anello di Einstein” è in realtà avvenuta in maniera fortuita», dice uno dei coautori dello studio, Santi Cassisi, ricercatore presso l’INAF-Osservatorio Astronomico di Teramo, «mentre Bettinelli – che sta svolgendo la sua tesi di dottorato sotto la supervisione mia e di Sebastian Hidalgo dell’Istituto Astrofisico delle Canarie – stava analizzando i campi stellari relativi alla galassia nana Sculptor. Esistono pochi anelli di Einstein con le caratteristiche di quello appena scoperto e il loro studio è estremamente importante per comprendere sia le proprietà della galassia sorgente sia la struttura del campo gravitazionale e la distribuzione di materia oscura della galassia lente».
Un anello di Einstein è l’immagine distorta di una galassia molto distante, che è definita “sorgente”, e la distorsione è prodotta dalla flessione dei raggi luminosi provenienti dalla sorgente a causa del forte campo gravitazionale di una galassia massiccia chiamata “lente”, che proprio come una comune lente si trova tra la sorgente e l’osservatore. La lente gravitazionale distorce la struttura dello spazio-tempo nelle sue vicinanze, piegando i percorsi di luce e disegnando un cerchio (che nell’immagine sopra appare verdastro) quando queste le due galassie sono esattamente allineate: la galassia sorgente si trasforma in un anello che circonda la lente gravitazionale.
L’effetto lensing è utilizzato spesso per osservare oggetti lontanissimi, altrimenti difficili da raggiungere con i telescopi a terra od orbitanti di cui siamo oggi dotati. In questo caso, la galassia sorgente è a 10 miliardi di anni luce di distanza da noi, ma a causa dell’espansione dell’Universo questa distanza era minore quando la sua luce è iniziato il suo viaggio verso di noi, e ha impiegato circa 8,5 miliardi di anni per raggiungerci. L’immagine del telescopio Blanco ce la mostra proprio com’era allora: una galassia blu popolata da giovani stelle che si stanno formando a ritmo sincopato. La lente gravitazionale – come detto – è più vicina a noi, 6 miliardi di anni luce, è più evoluta e il processo di formazione stellare è ormai fermo.
La ricercatrice Margherita Bettinelli
Margherita Bettinelli, che precedentemente ha studiato astronomia presso il Dipartimento di Fisica e Astronomia “Galileo Galilei” dell’Università degli Studi di Padova, ha avuto davvero fortuna… è il caso di dirlo. Scoprire un oggetto del genere per puro caso, mentre si stava analizzando tutt’altro, non capita tutti i giorni. La conferma della presenza di un anello di Einstein è arrivata dopo le ulteriori analisi effettuate con lo spettrografo OSIRIS montato sul Gran Telescopio CANARIAS (GTC).
Antonio Aparicio, anche lui tra le firme del paper, ha spiegato che «studiare questi fenomeni ci dà informazioni particolarmente rilevanti sulla composizione della galassia sorgente e anche sulla struttura del campo gravitazionale e della materia oscura nella lente gravitazionale». La scoperta dell’Anello di Einstein delle Canarie è particolarmente interessante, però, perché è uno dei più simmetrici mai scoperti ed è quasi perfettamente circolare. Le due galassie sono separate (secondo il punto di vista dell’osservatore) solo di 0,2 arcosecondi.
«La scoperta è stata del tutto fortuita», sottolinea la stessa Bettinelli. «Come previsto dalla mia tesi di dottorato, stavo lavorando a dati fotometrici relativi alla galassia nana dello Scultore. Esaminando le immagini sono rimasta colpita dalla forma inusuale dell’oggetto, in particolare dall’anello attorno a quella che si rivelerà la galassia lente. Oggetti con una tale simmetria sono rari, in quanto è necessario un allineamento preciso tra la galassia sorgente, la lente e l’osservatore. Questa configurazione ci ha permesso di derivare parametri importanti quali la massa che produce la deformazione spazio-temporale tale da produrre l’anello di Einstein e di derivare la notevole frazione di materia oscura. Si tratta di un tema di grande attualità nel panorama scientifico odierno».
Lo scrigno di stelle nello Scorpione
L’arrivo di giugno segna l’ingresso dell’estate e il ritorno nel cielo di questo mese delle costellazioni che saranno protagoniste della bella stagione. All’interno di una di queste, ovvero lo Scorpione, si trova Messier 4 – o M4 in breve – uno tra i più grandi e soprattutto vicini ammassi stellari globulari presenti nella nostra Galassia: le più recenti stime lo collocano infatti a circa 7000 anni luce da noi. Nonostante questa peculiarità, è assai difficile da individuare ad occhio nudo. Meglio con un binocolo al quale si mostra come una macchiolina chiara, in vicinanza della stella Antares, la più brillante della costellazione dello Scorpione. Un piccolo telescopio permette invece di risolvere alcuni dei numerosi astri che lo popolano. Si stima che Messier 4, anche noto come NGC 6121, abbia un’estensione di quasi 100 anni luce e che circa metà delle 100mila stelle che lo compongono siano ammassate nel suo centro in una regione sferica di appena 8 anni luce di raggio.
Ma il cielo del mese di giugno promette di riservarci, come al solito nuvole permettendo, altri interessanti e suggestivi fenomeni celesti. Se volete saperne di più, per essere pronti ad osservarli in prima persona, non vi resta che guardare il video qui sotto.
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