Nessuna delle lune di Plutone verrà chiamata Vulcano, con buon pace dei fan di Star Trek. Ma andiamo con ordine: Plutone è uno dei pianeti nani del nostro sistema solare. Sino a due anni fa si conoscevano tre lune in orbita attorno a Plutone. Poi la scoperta di due altre lune che vennero chiamate in via provvisoria P4 e P5. A febbraio il lancio di un sondaggio per assegnare la denominazione definitiva. La scelta era tra 12 nomi presi dalla mitologia greco romana lasciando però aperte le porte ad altre proposte. I fan di Star Trek, forti del’appoggio dell’attore William Shatner, il capitano Kirk dell’astronave Enterprise, avevano allora votato in massa per Vulcano, il nome del pianeta natale di Spock. Ma Vulcano è già stato utilizzato per indicare un ipotetico pianeta tra il Sole e Mercurio e così è stato scartato. Stessa sorte per l’altra scelta che aveva riscosso grande favore tra i votanti: Cerbero. Il nome del cane a tre teste a guardia degli Inferi è infatti già stato utilizzato per un asteroide scoperto nel 1971. In questo caso però l’Unione Astronomica Internazionale ha trovato un compromesso: utilizzare il nome in greco Kerberos. Per quanto riguarda l’altra luna sarà denominata Stige, come veniva chiamato il fiume degli Inferi nella mitologia greca. E’ comunque probabile che nei prossimi anni si apriranno nuovi sondaggi: le ultime scoperte ci dicono che Plutone è circondato da una miriade di frammenti rocciosi. Tutte lune in attesa di avere un nome.
LAMPI RADIO: UN CASO DIFFICILE
E adesso anche i radioastronomi hanno i loro lampi cosmici da studiare. Segnali brevissimi e isolati nella banda delle onde radio, della durata di appena qualche millisecondo, che appaiono senza preavviso nel cielo. A osservare questi enigmatici impulsi radio provenienti dallo spazio profondo è stato un team internazionale di scienziati, tra cui quattro ricercatori dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Cagliari e dell’Università di Cagliari sfruttando il radiotelescopio australiano di Parkes del Commonwealth Scientific and Industrial Research Organization (CSIRO). Anche se gli autori della ricerca, guidata da Dan Thornton dell’Università di Manchester nel Regno Unito, avanzano l’ipotesi che tra i responsabili di queste emissioni impulsive potrebbero esserci oggetti celesti estremi, come stelle di neutroni o buchi neri, la natura ultima delle sorgenti che hanno prodotto questi lampi-radio è ancora al momento sostanzialmente sconosciuta. Sembra questa una storia già rivista, quando negli anni ’70 del secolo scorso, gli astrofisici si imbatterono in misteriosi segnali nei raggi gamma (denominati poi Gamma-Ray Burst, o GRB) che di fatto aprirono un nuovo capitolo nell’avvincente storia dello studio dell’universo.
Tante sono le domande che si affollano nei ricercatori guardando a questi segnali, ma nello studio, pubblicato nell’ultimo numero della rivista Science, c’è già qualche fondamentale certezza. I lampi radio arrivano a Terra scaglionati in tempi diversi, in ragione della lunghezza d’onda di osservazione su cui si sintonizza il radiotelescopio. Questo fenomeno è noto come dispersione ed è dovuto agli effetti del gas elettricamente carico che le onde radio attraversano nel loro tragitto. Più lungo è il cammino percorso, più grande è lo sparpagliamento con cui percepiamo gli impulsi. “Dalla misura dello sparpagliamento – spiega Marta Burgay, una delle ricercatrici INAF coinvolte nella scoperta – è stato possibile risalire alle distanze da cui sono giunti i quattro impulsi osservati, che arrivano fino a 8 miliardi di anni luce. Dunque i lampi-radio sono stati emessi quando l’Universo aveva un’età che era circa la metà di quella attuale”. Una proprietà che permetterà di utilizzare questi segnali come sonde naturali per indagare direttamente cosa c’è lungo lo sterminato percorso che i lampi-radio effettuano prima di arrivare fino a noi: certamente materia ordinaria, ovvero gas e polveri, ma forse anche tracce della presenza di materia oscura.
Ad aggiungere ulteriore interesse sull’individuazione dell’origine di questi remoti lampi-radio c’è il loro numero, che deve essere elevatissimo. Infatti per osservare uno di questi eventi bisogna puntare il radiotelescopio nella direzione giusta proprio nel brevissimo intervallo di tempo in cui il lampo-radio sta arrivando. “Dal fatto che abbiamo registrato 4 eventi stimiamo che devono verificarsi circa 10.000 lampi-radio al giorno in tutto il cielo, come dire un lampo-radio ogni 10 secondi” sottolinea Andrea Possenti, direttore dell’Osservatorio Astronomico INAF di Cagliari, che ha partecipato alla ricerca. “Questa frequenza è oltre 1.000 volte più grande di quella tipica degli studiatissimi lampi di raggi gamma”.
POLVERE E BUCHI NERI
Le osservazioni effettuate grazie all’interferometro del Very Large Telescope, in Cile, hanno gettato nuova luce su quanto avviene nei dintorni di uno di quei buchi neri di taglia extra large annidati nel centro delle galassie. Che i buchi neri di questo tipo attirino verso di sé il materiale circostante e che obbligassero la polvere delle zone limitrofe a circondarli formando una sorta di ciambella, era cosa nota. I nuovi risultati, però, mostrano che la polvere si trova anche altrove, nelle zone polari, dove forma una sorta di vento. Al di sopra e al di sotto della regione a forma di ciambella, la polvere ha una temperatura nettamente inferiore e viene soffiata via dalla radiazione emessa nelle regioni sottostanti. Il buco nero studiato in questo caso si trova al centro della galassia NGC 3783, a circa 137 milioni di anni luce da noi, nella costellazione del Centauro.
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