Una galassia lontana e di un verde brillante: è questo oggetto che ha catturato l’attenzione di un gruppo internazionale di astronomi mentre analizzavano immagini dell’Universo profondo. A 3,7 miliardi di anni luce di distanza, in direzione della costellazione dell’Acquario, J2240 è una galassia diversa dalle altre. Ospita al proprio centro un buco nero attivo: questo di per sé è un fatto abbastanza comune per i grandi sistemi stellari, ma l’oggetto, contrariamente a quanto avviene di solito, non si limita ad accendere e a far brillare solo il gas che lo circonda bensì anche quello che si trova sparso nell’intera galassia rendendola, nel complesso, eccezionalmente luminosa. Eppure, stando ai calcoli, l’attività del buco nero di J2240 non sembrerebbe tale da giustificare l’accensione dell’intera galassia: l’ipotesi, quindi, è che l’attività ci sia stata in passato e che gli effetti globali che si osservano ora, siano uno strascico, una sorta di eco brillante. Dopo questo caso particolare, l’equipe di astronomi ha esaminato una lista di quasi un miliardo di galassie, trovandone appena altre 16 con proprietà simili a quelle di J2240: il nome scelto per questa classe di oggetti è “galassie green bean”, per via del loro colore e della forma…in italiano dovremmo chiamarle “galassie fagiolino”.
INTORNO ALLE NANE BRUNE
Le nane brune sono stelle mancate, oggetti che si sono formati a partire da nubi gas e polvere ma che non sono riuscite a raggiungere le condizioni di temperatura e pressione necessarie ad accendersi, come le stelle. Si pensava che intorno ad esse non si potessero formare pianeti rocciosi: il materiale che resta loro intorno è troppo scarso, poco denso e le particelle di polvere si sposterebbero troppo in fretta per incollarsi fra loro e dare inizio alla formazione di strutture sempre più compatte. Invece, le osservazioni fatte da ALMA, la rete di radiotelescopi che si trova in Cile, danno qualche possibilità anche alle nane brune: nel disco di polvere intorno a una di esse hanno rilevato la presenza di grani di polvere delle dimensioni di un millimetro, paragonabili a quelle che si trovano nei dischi che circondano le stelle neonate. Certo, si tratta di granelli e non di un pianeta, ma il fatto che ci siano è comunque una scoperta inattesa che costringe a rivedere le teorie sulla formazione dei pianeti rocciosi.
Tanto rumore per nulla. Si riassume così il clamore suscitato dall’annuncio di scoperte storiche ottenute dal rover Curiosity in missione su Marte. Sceso sul pianeta ad agosto, Curiosity sta lavorando a tempo pieno. Tra i suoi obiettivi cercare batteri. Scoprirli significherebbe che la vita può esistere anche su altri pianeti oltre al nostro. Ma finora nessuna traccia di questi possibili batteri. A novembre in un’intervista radiofonica, John Grotzinger della NASA aveva annunciato che una scoperta effettuata da Curiosity avrebbe fatto riscrivere i libri di storia. Trovati i batteri? Trovati fossili di primitive forme di vita? Nulla di tutto questo. Curiosity ha trovato molecole organiche. Queste molecole sono i mattoni della vita ma non sono forme di vita. Delusione tra i tanti che si aspettavano ben altro. In ogni caso le analisi del suolo stanno fornendo nuovi indizi per ricostruire il passato di Marte. E per capire se circa due miliardi di anni fa il pianeta era ricco di acqua allo stato liquido con condizioni forse simili alla Terra. La NASA nel frattempo annuncia una nuova missione: un altro rover da spedire su Marte nel 2020. Sarà costruito in parte con i pezzi avanzati dalla costruzione di Curiosity, riducendo così costi e tempi.
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