A circa 6000 anni luce dalla Terra, nella costellazione dello Scorpione, la nebulosa, nota ufficialmente come IC 4628, è una grande regione ricca di gas e mucchi di polvere oscura. Queste nubi di gas sono regioni di formazione stellare che producono giovani stelle molto calde e brillanti. In luce visibile, queste stelle appaiono di colore bianco azzurro, ma emettono anche radiazione intensa in altre zone dello spettro, soprattutto nell’ultravioletto.
È questa luce ultravioletta prodotta dalla stelle che fa risplendere il gas. La radiazione strappa dagli atomi di idrogeno gli elettroni, che quindi si ricombinano e rilasciano energia sotto forma di luce. Ogni elemento chimico emette luce di un colore caratteristico durante il processo e per l’idrogeno il colore predominante è il rosso. IC 4628 è un esempio di regione HII (“acca-secondo” o idrogeno ionizzato).
La Nebulosa Gambero si estende per circa 250 anni luce e copre un’area di cielo pari a quattro volte quella della Luna piena. Nonostante l’enorme dimensione è stata spesso trascurata dagli osservatori sia a causa della sua debolezza sia perché la maggior parte della luce viene emessa a lunghezze d’onda a cui l’occhio umano non è sensibile. La nebulosa è nota anche come Gum 56, dal nome dell’astronomo australiano Colin Gum che pubblicò un catalogo di regioni HII nel 1955.
Negli ultimi milioni di anni questa regione di cielo ha prodotto nuove stelle sia singole che in ammassi. Un ammasso stellare molto disperso, Collinder 316, si estende per gran parte di questa immagine: fa parte di un’associazione ancora più grande di stelle molto calde e luminose. Sono visibili anche molte strutture scure e cavità, dove la materia interstellare è stata spazzata via da venti potenti generati dalle vicine stelle calde.
Le immagini così nitide del VLT sono state ulteriormente migliorate per far risaltare i colori aggiungendo ulteriori immagini di alta qualità ottenute con vari filtri da Martin Pugh, un astronomo dilettante molto abile che osserva dall’Australia usando telescopi da 32 e 13 centimetri di diametro.
La fotografia fa parte di una survey pubblica molto dettaglia di una gran parte della Via Lattea nota come VPHAS+ che sfrutta la potenza del VST per cercare nuovi oggetti come stelle giovani e nebulose planetarie. Questa survey fornirà anche le più belle immagini mai ottenute di molte altre regioni di formazione stellare incandescenti, come quella mostrata qui.
Il VST è un telescopio per survey a largo campo, da 2,6 metri di diametro e con un campo di vista di circa 1 grado — due volte il diametro della Luna piena. Il programma VST è una joint venture tra l’INAF – Osservatorio di Capodimonte, Italia e ESO. La camera da 268 megapixel — OmegaCAM — al cuore dello strumento è progettata per fornire immagini del cielo di altissima qualità in tempi molto rapidi. il VST è il più grande telescopio al mondo progettato esclusivamente per osservare in continuità il cielo in luce visibile, e complementa il telescopio infrarosso per survey, VISTA, anch’esso situato in Paranal.
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GAIA, Oracle e le mappe stellari
La scelta di Oracle è stata compiuta con l’obiettivo di gestire e rendere accessibile, secondo rigorosi canoni ITC, l’immensa mole di informazione che riempirà l’archivio di missione presso il Data Processing Center Italiano (DPCT; http://www.altecspace.it/en/programs/data-processing-management). Un patrimonio di dati astronomici che, in più di un quinquennio, andranno accumulandosi e che dovranno essere preservati per tutto il XXI secolo ed oltre. È il cosiddetto “Gaia Legacy Archive”, ovvero l’eredità di Gaia: presupposto scientifico vitale e cardine operativo per il futuro della ricerca astronomica e spaziale italiana.
La ricerca astronomica italiana ha consolidato negli anni la partnership con Oracle ed oggi l’INAF ha ulteriormente valorizzato questa scelta: infatti l’Osservatorio Astrofisico di Torino ha deciso, insieme agli ingegneri informatici di ALTEC (che hanno realizzato l’infrastruttura ed operano per ASI ed INAF il DPCT) di implementare Oracle Enterprise Manager (OEM) 11g per monitorare e gestire le proprie infrastrutture, di sviluppo, di test ed operativa, destinata alla missione Gaia. Nel contempo considera con crescente interesse, al pari di analoghi contesti di ricerca scientifica quali quello del CERN, la nuova versione di Oracle 12c che include applicazioni middleware, database (DB) e sistemi hardware orientati al “Big Data”. Il DPCT@ALTEC che mantiene l’infrastruttura e la banca dati della partecipazione Italiana alla missione Gaia è essenziale per tutte le operazioni a supporto del progetto scientifico. Questo ha l’ambizione di osservare circa 700 volte tutto il cielo, arrivando a produrre 1000 miliardi di osservazioni elementari, con lo scopo ultimo di realizzare una mappa tridimensionale della nostra galassia: la Via Lattea.
La quiete al centro dell’ammasso
Gli ammassi di galassie sono le più grandi strutture dell’Universo tenute assieme dalla gravità. Le fusioni tra ammassi, e tra sottogruppi di galassie all’interno degli ammassi, sono in assoluto gli eventi di maggiore energia nella parte di cosmo dove viviamo noi, il cosiddetto Universo locale. Tuttavia, le loro regioni centrali possono rivelarsi sorprendentemente tranquille, permettendo l’esistenza di gigantesche strutture di plasma incandescente che si mantengono invariate anche per diverse centinaia di milioni di anni.
Lo rivela uno studio appena pubblicato su Science, compiuto osservando l’ammasso della Chioma, o Abell 1656 uno dei più studiati tra quelli nei nostri dintorni cosmici (si trova a circa 350 milioni di anni luce da noi). Studiando la sua emissione in raggi X con il satellite Chandra della NASA, Jeremy Sanders dell’Università di Cambridge e i suoi colleghi hanno scoperto diverse “strisce” di forte emissione in raggi X, che hanno ribattezzato “bracci” per come si dipanano dal centro dell’ammasso verso la sua periferia.
I più brillanti tra questi bracci si estendono verso un sottogruppo di galassie, chiamato NGC 4911, che con tutta evidenza deve avere attraversato l’ammasso della Chioma fondendosi con esso. I bracci di emissione X sarebbero proprio dovuti al plasma strappato da NGC 4911 durante la fusione, avvenuta probabilmente circa 300 milioni di anni fa. Quello che ha sorpreso i ricercatori è stato però notare come quei bracci siano non solo ben visibili, ma molto ben conservati: sono estremamente uniformi e lineari, segno che per tutto il periodo trascorso dalla fusione con il sottogruppo NGC4911 sono rimasti al riparo dalle perturbazioni che invece, secondo le teoria prevalente, dovrebbero percorrere il plasma ad alta energia che si trova all’interno dell’ammasso.
La spiegazione più probabile è che lo stesso movimento di materiale all’interno dell’ammasso crei dei campi magnetici che impediscono a forti perturbazioni e trasferimenti di energia di propagarsi nei pressi del nucleo dell’ammasso, rendendolo inaspettatamente tranquillo.