Un “piccolo” asteroide, soprannominato 2014 RC, passerà molto vicino alla Terra domenica prossima, 7 settembre, ma non ci saranno rischi per il nostro pianeta. Al momento del massimo avvicinamento, alle ore 18:18 , l’asteroide sarà approssimativamente sulla Nuova Zelanda, a una distanza pari a un decimo di quella che intercorre tra il centro della Terra e la Luna (approssimativamente 40 mila chilometri).
Gli astronomi stimano che l’asteroide misuri circa 20 metri di diametro. La roccia, decisamente di piccole dimensioni se pensiamo alle sue sorelle che viaggiano per il cosmo, è stata scoperta la notte del 31 agosto nell’ambito della Catalina Sky Survey e poi avvistata di nuovo da alcuni ricercatori la notte successiva con il telescopio Pan-STARRS 1, alle Hawaii. Entrambe le osservazioni hanno confermato l’orbita dell’asteroide: 2014 RC passerà poco oltre l’anello in cui si trovano i satelliti geostazionari di comunicazione e meteorologici, che orbitano a circa 36 mila chilometri sopra la superficie del nostro pianeta, ad un decimo della distanza che separa la Terra dalla Luna.
Gli esperti sono certi nell’affermare che la roccia non costituisce un pericolo, ma sarà un’unica opportunità per i ricercatori e gli amatori di imparare qualcosa di più sugli asteroidi. L’orbita della roccia incontrerà quella della Terra anche in futuro, ma a partire da domenica sarà costantemente monitorata.
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L’immenso Paradiso
R. Brent Tully dell’Istituto di Astronomia dell’Università delle Hawaii, vincitore nel 2014 dei prestigiosi Gruber Cosmology Prize e Victor Ambartsumian International Prize, ha guidato un team internazionale di astronomi per stabilire quali siano i contorni dell’immenso superammasso di galassie del quale fa parte anche la nostra Via Lattea.
Tully, già autore nel 1977 insieme a J. Richard Fisher dello studio “A New Method of Determining Distances to Galaxies” e nel 1988 del libro “The Nearby Galaxies Catalog” – una mappa in 3D delle 68.000 galassie più vicine alla Terra – aggiunge così un altro importante tassello alla sua carriera di specialista in astrofisica delle galassie, lo studio pubblicato è infatti la notizia di copertina della prestigiosa rivista Nature del 4 settembre.
Il superammasso di galassie studiato è stato battezzato con l’evocativo nome hawaiano Laniakea il cui significato letterale è “immenso Paradiso”. Le galassie non sono infatti distribuite casualmente attraverso l’universo, si trovano piuttosto in raggruppamenti, come quello all’interno del quale ci troviamo, che comprende dozzine di galassie, ed in enormi ammassi di centinaia di galassie interconnesse in una ragnatela di filamenti lungo i quali si posizionano come gocce di rugiada. Nei punti in cui questi filamenti si intersecano possiamo trovare enormi strutture chiamate “superammassi”.
I ricercatori propongono un modo nuovo per valutare e analizzare queste strutture a grande scala, esaminando quello che è il loro impatto sul moto delle galassie. Una galassia che si trovi tra due di queste strutture sarà coinvolta in una sorta di tiro alla fune gravitazionale nel quale il movimento della galassia stessa sarà determinato dall’equilibrio delle forze gravitazionali delle strutture che la circondano. Attraverso la mappatura della velocità delle galassie nella nostra porzione di universo il team di ricerca ha potuto definire la regione di spazio su cui ogni superammasso influisce.
La Via Lattea si trova ai margini di uno di questi superammassi la cui estensione è stata misurata per la prima volta in modo accurato con la nuova tecnica elaborata dai ricercatori del team di Tully. Il superammasso in questione, ribattezzato Laniakea, ha un diametro di 500 milioni di anni luce e contiene una massa pari a 10¹⁷ (cento milioni di miliardi) quella del Sole distribuiti in centomila galassie.
Lo studio chiarisce il ruolo del Grande Attrattore, un’anomalia gravitazionale al centro del superammasso locale, che attrae le galassie di una regione circostante grande centinaia di milioni di anni luce e che da 30 anni impegna lo studio degli astronomi. Con la sua enorme massa pari a decine di migliaia di galassie esercita una irresistibile attrazione gravitazionale per le galassie della Via Lattea e per milioni di altre galassie. All’interno del superammaso Laniakea i moti sono diretti verso l’interno, come flussi d’acqua che assumono un percorso discendente all’interno di una vallata. La regione del Grande Attrattore si configura come un grande avvallamento gravitazionale di fondo con una sfera di attrazione che si estende attraverso il superammasso stesso.
«La chiave del lavoro e’ l’utilizzo dei moti propri delle galassie (‘velocita’ peculiari’ in linguaggio tecnico) per ricostruire le corrispondenti disomogeneita’ nella distribuzione della materia» commenta Luigi Guzzo, dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Brera, coordinatore generale del progetto VIPERS. «Sono proprio queste disomogeneità, ovvero picchi e valli nella distribuzione di massa, ad originare i moti propri delle galassie. Invece di mappare la distribuzione della materia luminosa che vediamo sotto forma di galassie (come con VIPERS), qui si utilizzano i moti per “vedere” indirettamente tutta la materia, anche quella oscura».
«Queste misure sono molto dispendiose, poiché richiedono di ricavare per ogni galassia sia lo ‘spostamento verso il rosso’ (redshift) delle righe spettrali (che contiene l’effetto combinato dell’espansione dell’Universo e della velocità peculiare che si vuole estrarre), sia la distanza dell’oggetto (attraverso indicatori di distanza appositamente calibrati). Per questo la tecnica e’ applicabile solo nell’Universo ‘locale’. Combinando nuove misure e dati dalla letteratura, Brent Tully e collaboratori hanno costruito un catalogo estremamente denso di queste misure di velocità di galassie, campionando molto finemente il campo di velocità entro un raggio di 130 milioni di anni luce (40 Mpc), ma spingendosi in modo più sparso fino a distanze quasi dieci volte maggiori.
«Come mostrato in modo spettacolare dalle immagini e le animazioni allegate all’articolo su Nature, il campo di velocità così costruito definisce quelli che potremmo chiamare dei “bacini imbriferi” entro i quali la “pioggia di galassie” converge tutta verso una regione primaria di attrazione gravitazionale» aggiunge Guzzo. «Il bacino di attrazione cui appartiene la nostra Galassia e’ quello che e’ stato battezzato “LANIAKEA” dagli autori del lavoro. E’ interessante notare come la nostra posizione sia molto vicina ad uno “spartiacque”, ovvero al confine con un bacino imbrifero adiacente, quello del super-ammasso di Perseus-Pisces. Questo lavoro fornisce anche un’evidente dimostrazione dell’importanza dell’utilizzo di nuove tecniche di visualizzazione nell’analisi e interpretazione dei dati cosmologici 3D».
Il nome Laniakea è stato suggerito da Nawa‘a Napoleon, un linguista dell’Università delle Hawaii, ed è stato dato al superammasso in onore ai navigatori polinesiani che grazie alla loro profonda conoscenza dei cieli riuscivano ad orientarsi e a navigare nell’immensa distesa dell’Oceano Pacifico.
Coautori dello studio sono Hélène Courtois dell’Università Claude Bernard di Lione, Yehuda Hoffman del Racah Institute of Physics dell’Università Ebraica di Gerusalemme e Daniel Pomarède dell’Istituto di Ricerca sulle leggi fondamentali dell’ Universo del Centro Saclay.
Un breve video riferito al superammasso Laniakea che può dare allo spettatore un idea generale del superammasso nel quale ci troviamo e dei moti galattici nel vicino universo è disponibile all’indirizzohttp://vimeo.com/104704518, una versione più lunga che correda lo studio pubblicato su Nature è disponibile all’indirizzo http://irfu.cea.fr/laniakea.
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La tempesta magnetica che non ti aspetti
Si fa presto a dire vento solare. È un viaggio lungo 150 milioni di chilometri quello che devono compiere particelle, radiazioni e campi magnetici strappati al Sole e in viaggio nello spazio. Flussi di plasma seguiti con grande attenzione dagli scienziati che si occupano di meteorologia spaziale. Attenzione che si trasforma in timore quando l’emissione è particolarmente intensa e la Terra di trova in traiettoria. L’alterazione dell’attività geomagnetica non si limita a dar luogo allo spettacolo affascinante dell’aurora polare ma può creare problemi ai satelliti in orbita, interrompere le comunicazioni radio o provocare un black-out sulle linee elettriche della penisola scandinava.
In un recente studio pubblicato sulle colonne del Journal of Geophysical Research, un gruppo di studiosi mostra come quelle che in gergo tecnico vengono definite substorm possano essere ’guidate’ da processi completamente diversi da quelli finora ipotizzati.
Servendosi dei dati raccolti dal satellite NASA/ESA Cluster e da una rete di magnetometri a terra, i ricercatori sono riusciti a registrare il passaggio di una perturbazione solare che ha investito la magnetosfera terrestre, monitorando il comportamento della tempesta magnetica nel suo sviluppo iniziale. Registrati due sbalzi del flusso di corrente sulla superficie del plasma denso che si trova nella magnetosfera in corrispondenza del piano equatoriale del nostro pianeta, a distanza di 5 minuti l’uno dall’altro. Curioso il comportamento del campo magnetico che prima si è propagato in direzione dello spazio profondo e successivamente, al contrario, ha mostrato una rapida propagazione verso la Terra.
La peculiarità dell’evento suggerisce che la perturbazione della magnetosfera si sia mossa verso la coda magnetica della Terra (quella che si estende oltre il nostro pianeta in direzione opposta al Sole per più di un milione e mezzo di chilometri), favorendo la riconnessione magnetica e creando condizioni ideali per lo scatenarsi della substorm.