Un astrofisico e un appassionato di astronomia hanno unito le forze per rivelare dettagli intriganti di una particolare pulsar al millisecondo chiamata PSR J1723−2837. Questa pulsar fa parte di un sistema binario, e ha una compagna normale di piccola massa attorno alla quale orbita in circa 15 ore. Le proprietà mostrate dal sistema indicano che la pulsar alterna momenti di rallentamento della rotazione su se stessa a periodi di accrescimento da parte della compagna.
Le osservazioni raccolte e studiate da André van Staden, astrofilo del Sud Africa, e John Antoniadis, ricercatore presso l’Università di Toronto, sono state pubblicate dalla rivista scientifica The Astrophysical Journal Letters. I risultati dello studio sono i primi a individuare macchie stellari e un intenso campo magnetico per la compagna di una pulsar al millisecondo e a fornire indizi importanti sui motivi per cui queste pulsar a volte si accendono e altre si spengono.
Le immagini sono state raccolte da van Staden durante un periodo di 15 mesi con il telescopio riflettore da 30 cm equipaggiato con una camera CCD che si trova nel cortile di casa sua a Western Cape. La loro analisi ha rivelato un aumento inatteso di luminosità, seguito ad uno spegnimento della stella compagna.
In un sistema binario di questo tipo, la forza di gravità esercitata dalla pulsar distorce la forma della compagna, portandola ad assumere una forma a goccia. A causa della presenza della pulsar, vediamo la compagna diventare ciclicamente più e meno brillante. I momenti in cui mostra una maggiore intensità corrispondono ai punti dell’orbita in cui vediamo l’intero profilo della stella. Questo significa che la curva di luce che misura la luminosità del sistema è modulata con il periodo orbitale.
André van Staden nell’osservatorio che ha costruito nel giardino di casa sua, con un telescopio da 30 cm. Crediti: André van Staden
Ma le osservazioni di van Staden rivelano che i picchi di luminosità della compagna non sono sincronizzati con il periodo orbitale di 14.8 ore. Gli autori dello studio hanno concluso che questo comportamento può essere causato dalla presenza di “macchie stellari” (l’equivalente delle macchie solari) sulla stella compagna, che ne abbassano la luminosità. Tali macchie dimostrano che la stella possiede un intenso campo magnetico.
Antoniadis e van Staden hanno anche capito, grazie alle loro osservazioni, che la compagna non è in rotazione sincrona con la pulsar, come ad esempio accade nel sistema formato dalla Terra e la Luna. Il periodo di rotazione della compagna è infatti leggermente più breve rispetto al suo periodo orbitale, e questo contribuisce a generare la curva di luce inaspettata.
L’astrofilo van Staden coltiva un interesse personale per le pulsar, e nel 2014 ha scoperto sul sito gestito da Antoniadis una lista di sistemi binari contenenti pulsar al millisecondo e stelle compagne visibili in banda ottica. «Ho notato che il sistema binario di PSR J1723-2837 era particolarmente adatto alle osservazioni dal Sud Africa e che la sua curva di luce non era ancora stata determinata», dice van Staden. «Per gli astronomi professionisti è difficile ottenere puntamenti lunghi e continui per sorgenti come queste. D’altra parte, per chi è un amatore queste osservazioni di lunga durata sono molto più accessibili».
«Il set di dati è diverso da qualsiasi cosa io abbia mai visto», racconta Antoniadis, «sia in termini di qualità che di durata. Ho esortato André a continuare ad osservare il più a lungo possibile». Osservazioni così estese e dettagliate sono fondamentali per rispondere alle domande ancora aperte circa l’evoluzione di sistemi stellari chiamati black widow e redback, in cui una pulsar divora la propria compagna, come gli omonimi ragni (la differenza tra una classe e l’altra è data dalla massa della compagna, qualche centesimo di masse solari per le black widow e qualche decimo per le redback).
Dopo la formazione di una pulsar, si pensa che questa emetta un forte vento e che l’impatto del vento possa riscaldare il lato della compagna rivolto verso la pulsar. Eppure nei dati raccolti non era possibile vedere questa regione calda. Questo potrebbe voler dire che il vento è assente o che si muove in una direzione diversa da quella in cui si trova la compagna. In entrambi i casi il responsabile potrebbe essere il campo magnetico della stella compagna.
«Sistemi come quello presentato in questo studio sono piuttosto rari e molto interessanti», commenta a Media INAF Marta Burgay, astronoma dell’INAF di Cagliari. «Solo recentemente, grazie anche all’apporto del satellite gamma Fermi, il loro numero è cresciuto arrivando quasi alla ventina. Alcune redback si sono rivelate essere l’anello mancante tra le pulsar radio più rapidamente rotanti, o almeno una loro sotto-classe, e le binarie a raggi X, che sin dai primi anni ’80 si riteneva ne fossero i progenitori. Poter accedere a set di dati così ricchi come quello ottenuto in questo lavoro è sicuramente utile per poter proseguire nell’indagine di questi strani oggetti di confine».
Obiettivo puntato sull’esagono di Saturno
La sonda Cassini di Nasa, Esa e Asi ha compiuto lo scorso 30 novembre una delle ultime manovre prima del finale di missione, inserendosi nella penultima delle orbite previste. Ma, se la missione si avvicina alla fine, il bello sembra essere solo all’inizio. La sonda ha inviato a Terra le prime immagini riprese da questa orbita stretta dell’atmosfera sull’emisfero nord di Saturno, tra le quali ci sono scatti davvero spettacolari dello schema nuvoloso a forma di esagono presente sul quella parte del pianeta.
La camera grandangolare di bordo ha scattato queste immagini tra il 2 e il 3 dicembre scorsi, prima di cominciare il primo dei 20 passaggi radenti previsti sugli anelli, ad una distanza di circa 390mila km da Saturno. La scala dell’immagine in apertura è di 23 km per pixel. Nei passaggi futuri la sonda sarà in grado di scattare immagini ancora più ravvicinate, tra cui alcune delle più vicine in assoluto mai riprese degli anelli esterni e delle piccole lune che orbitano attorno al pianeta.
«Questo è l’inizio della fine della nostra storica esplorazione di Saturno», dice la imaging team leader di Cassini Carolyn Porco, dello Space Science Institute di Boulder, in Colorado, «lasciate che queste immagini e quelle che seguiranno vi ricordino che abbiamo vissuto un’avventura davvero audace intorno al uno dei pianeti più affascinanti del Sistema solare».
Questo collage di immagini mostra l’emisfero settentrionale e gli anelli di Saturno visti con quattro diversi filtri spettrali. Ogni filtro è sensibile alle diverse lunghezze d’onda della luce e rivela le nubi e nebbie presenti a diverse altitudini. Crediti: NASA/JPL-Caltech/Space Science Institute
Il prossimo passaggio dai bordi esterni degli anelli è previsto per l’11 dicembre. Le orbite radenti gli anelli proseguiranno fino il 22 aprile del prossimo anno, quando l’ultimo passaggio ravvicinato della luna di Saturno, Titano, modificherà la traiettoria di volo di Cassini. Da lì il via al gran finale, previsto il 15 settembre 2017, con un tuffo nell’atmosfera di Saturno, durante il quale Cassini continuerà trasmettere i dati circa la composizione dell’atmosfera stessa fino alla perdita del segnale.
Dal suo lancio, avvenuto quasi vent’anni fa nel 2007, Cassini ci ha rivelato cose incredibili, tra cui la probabile presenza di un oceano con attività idrotermale sotto la crosta ghiacciata della luna Encelado, o quella di mari di metano liquido su un’altra delle lune, Titano. La fine è vicina, ma chissà quante altre meraviglie potrà svelarci Cassini da qui fino al prossimo anno.
Intanto godiamoci questi spettacolari scatti del vortice esagonale, che viene studiato dal 2009 e che sembra aver avuto inizio una trentina di anni fa. Fu scoperto dalla missione NASA Voyager 1. Per avere un’idea delle dimensioni, i lati dell’esagono misurano circa 13.800 chilometri: una lunghezza maggiore di quella del diametro della Terra.
Codice a barre dell’universo primordiale
Le galassie più massicce dell’universo ospitano un buco nero super massiccio nel loro centro. Questi giganteschi buchi neri divorano il materiale circostante a un ritmo sorprendente, producendo enormi quantità di radiazione e risplendendo come alcuni degli oggetti più luminosi dell’universo conosciuto. Malgrado la loro distanza incredibile dalla Terra, le regioni attorno a questi buchi neri s’illuminano così brillantemente che il loro aspetto è simile alle stelle della nostra galassia, la Via Lattea.
Alcuni di questi oggetti, conosciuti come “oggetti quasi stellari” o quasar, sono utili per aiutarci a capire meglio il cosmo. Poiché si trovano così lontani, c’è moltissimo spazio tra i nostri telescopi e i quasar. Questo spazio non è completamente vuoto; è riempito dal mezzo intergalattico, composto principalmente di nubi di gas – per la maggior parte idrogeno ed elio, ma anche qualche traccia di altri elementi – che assorbono la luce da sorgenti distanti e impediscono a questa luce di raggiungerci. La luce emessa da brillanti quasar deve viaggiare attraverso queste nubi ed è quindi parzialmente assorbita.
«Lo spettro che vedete qui sopra è stato ottenuto dallo strumento UVES – installato sul Very Large Telescope dell’ESO, in Cile – sommando 64 ore di osservazione dello stesso oggetto: un record, per l’osservazione di un quasar, che ha permesso di studiare anche materiale presente in piccolissime quantità», dice Valentina D’Odorico. Ricercatrice all’Osservatorio astronomico dell’INAF di Trieste, D’Odorico è la prima autrice di un articolo, pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, che illustra i risultati scientifici ottenuti proprio dallo studio dell’oggetto osservato: un lontano quasar di nome HE0940-1050 la cui luce ha viaggiato attraverso le nubi presenti nel mezzo intergalattico.
Le righe verticali sono segni di assorbimento: mostrano dove la luce è stata assorbita dal gas nel mezzo intergalattico e quindi perché è stata rimossa dallo spettro originale del quasar. L’intensità delle righe è legata alla quantità di materiale che ha attraversato la luce. Analizzando queste righe, gli astronomi possono dedurre tutta una serie di informazioni a proposito del materiale di cui sono composte le nubi. Il valore eccezionale di questo spettro in particolare sta nelle righe molto deboli, che sono tra le più deboli mai osservate nello spettro di un quasar.