Sarà pure un “immenso Paradiso” il superammasso di galassie che ospita anche la Via Lattea, la nostra ‘casa’, ma a volte, qua e là, in questa sterminata regione di spazio, l’esistenza di parecchi oggetti celesti può trasformarsi in un vero e proprio inferno. Proprio come per la stella scoperta da un gruppo di ricercatori guidati da astronomi della Ohio State University che è stata il pasto di un buco nero. Non però una consumazione completa, dall’antipasto fino al caffè, ma appena uno spuntino. L’astro infatti, seppure alleggerito di una parte della sua massa, è riuscito a sfuggire all’immensa forza di attrazione gravitazionale del famelico buco nero.
Il banchetto cosmico si è consumato in una galassia a circa 650 milioni di anni luce da noi (una delle migliaia che formano il superammasso Laniakea), in direzione della costellazione dell’Orsa Maggiore. L’evento è stato identificato grazie all’Automated Survey All-Sky per Supernovae (ASAS-SN) un sistema di telescopi che scandagliano in modo automatico il cielo, alla ricerca di fenomeni transienti che avvengono nell’universo, come ad esempio eventi di supernova. E proprio come supernova era stata inizialmente classificata l’improvvisa apparizione, il 25 gennaio scorso, di una sorgente luminosa tra le stelle del Grande Carro. Analizzando però la curva di luce del fenomeno i ricercatori, guidati da Thomas Holoien, dottorando presso la Ohio State University, si sono convinti che quel bagliore potesse rivelare una origine ben diversa.
E i sospetti si sono rivelati alla fine fondati. Ulteriori indagini condotte sulla sorgente con vari telescopi da Terra, come quello robotico da 1 metro del McDonald Observatory, il Liverpool da due metri, quello da 3,5 metri dell’Apache Point e il Large Binocular Telescope, insieme alle osservazioni dello strumento UVOT a bordo del satellite Swift della NASA e ai dati d’archivio della Sloan Digital Sky Survey hanno confermato che quell’insolito bagliore era il prodotto di un cosiddetto evento di distruzione mareale, TDE (Tidal Disruption Event): una stella, trovatasi a transitare in vicinanza di un buco nero supermassiccio, ha subìto la perdita di parte del suo gas, precipitato nel buco nero. Nella sua caduta, il materiale stellare si è progressivamente scaldato, fino ad emettere una enorme quantità di radiazione. Così tanta da essere captata fino da noi.
Calcolando in base ai dati raccolti la quantità di energia rilasciata durante l’evento, il team di ricercatori stima che comunque il buco nero abbia ingurgitato una frazione relativamente piccola di quella sfortunata stella: appena un millesimo della massa del nostro Sole o all’incirca quella del pianeta Giove.
Un evento molto raro quello colto da ASAS-SN appena pochi mesi dopo la sua entrata in funzione. Solo un colpo di fortuna dunque? «Si potrebbe dire che siamo stati fortunati, ma quando questi episodi fortunati si ripetono, vuol dire che stai facendo un buon lavoro» dice Krzysztof Stanek, professore della Ohio University che ha partecipato allo studio, in corso di pubblicazione sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. «Probabilmente la frequenza di questi fenomeni è più alta di quanto ci aspettassimo, e quindi dovremmo vederne molti di più in futuro. Addirittura forse più di uno ogni anno o due».
L’album fotografico di Chandra
Chandra è uno dei tre grandi telescopi orbitanti della NASA ancora attivi, con Hubble e Spitzer. Lanciato nel 1999, Chandra ha permesso ai ricercatori di tutto il mondo di effettuare scoperte incredibili ai raggi X e di portare a casa immagini inedite e impossibili da ottenere con altri strumenti. Come ogni anno, il team di Chandra scava negli archivi e condivide con esperti e amatori alcune delle immagini più belle mai realizzate.
B1509 visto agli infrarossi e ai raggi X. Si tratta di un’immagine composita rilasciata nel 2009. Credit: X-ray: NASA/CXC/SAO; Infared: NASA/JPL-Caltech.
Questa è una delle immagini più spettacolari: si tratta di un fenomeno di pareidolia, uno scherzo del nostro cervello, che tende ad associare immagini del tutto casuali a forme conosciute, e in particolare a volti o parti del nostro corpo. In questo caso, tra il 2004 e il 2005 Chandra catturò (in oro) la stella di neutroni PSR B1509-58 circondata da una coltre di nubi che quando venne mostrata al mondo nel 2009 sembrò avere la forma di una mano. Oltre ai dati ai raggi di X di Chandra, nell’immagini si vedono anche quelli all’infrarosso ottenuti con il telescopio della NASA Wide-field Infrared Survey Explorer (WISE) telescope (in rosso, verde e blu). Secondo molti la parte all’infrarosso potrebbe far pensare a un volto. Secondo voi?
Un giovane cluster stellare a 5,500 anni luce dalla Terra. RCW 38 visto ai raggi X e all’infrarosso. Crediti: X-ray, NASA/CXC/ESA-ESTEC/E.Winston et al, Near-IR: 2MASS/UMass/IPAC-Caltech/NASA/NSF; Infrared, NASA/JPL-Caltech
Questo che vedete qui sopra, invece, è il giovane cluster stellare RCW 38, che si trova a 5500 anni luce dalla Terra. Tramite i dati forniti da Chandra (in blu), Spitzer (in arancione) e altri dati all’infrarosso provenienti dalla survey 2MASS (in bianco), gli esperti hanno avuto la possibilità, nel dicembre del 2001, di esaminare “da vicino” la rapida evoluzione di queste giovani stelle in 27 ore di osservazioni consecutive.
La galassia attiva Hercules A: al centro un buco nero supermassiccio. Crediti: X-ray, NASA/CXC/SAO; Optical, NASA/STScI; Radio, NSF/NRAO/VLA
Sicuramente questa immagine composita (raggi X, infrarossi e luce visibile) è una delle più belle ritrovate dagli esperti nell’album fotografico di Chandra. Al centro della galassia Hercules A potete osservare un buco nero supermassiccio che, assorbendo grandi quantità di materiale, riscalda fino a milioni di gradi il gas che lo circonda illuminando tutta la scena. E’ quello che viene definito un Nucleo Galattico Attivo (AGN). Eppure nella luce visibile Hercules A appare come una normalissima galassia ellittica. Ai raggi X Chandra, invece, rivela (in viola) che il gas arriva a temperature altissime a causa dell’energia generata dall’attività del buco nero, 1000 volte più massiccio di Sagittarius A* al centro della Via Lattea.
Nell’immagine i resti della supernova Kes73 a 28000 anni luce dalla Terra.
Crediti: X-ray, NASA/CXC/Univ. of Manitoba/H.Kumar et al; Optical, DSS, Infrared, NASA/JPL-Caltech; Radio, NSF/NRAO/VLA
Anche in questo caso sono stati uniti i dati all’infrarosso con quelli di Chandra ai raggi X aggiungendo anche quelli raccolti da VLA (Very Large Array). Nell’immagine si vedono i resti della supernova Kes 73 a 28000 anni luce da noi. Secondo i dati raccolti da Chandra e altri satelliti, al centro della nube sarebbe nata una magnetar, cioé una stella di neutroni con un enorme campo magnetico. Attorno al centro della stella è possibile osservare i detriti che si sono formati dopo l’esplosione, avvenuta tra i 750 e i 2100 anni fa. I dati di Chandra sono quelli in blu, quelli in arancione sono all’infrarosso, le emissioni radio sono rappresentate in rosso, mentre in puntini bianchi sono i dati catturati dal Digitized Sky Survey optical telescope in luce visibile.
La galassia attiva Mrk 573. Crediti: X-ray, NASA/CXC/SAO/A.Paggi et al; Optical, NASA/STScI; Radio, NSF/NRAO/VLA
Tra il 2006 e il 2010 è stata osservata questa galassia attiva, Markarian 573, che, come è possibile vedere nell’immagine, mostra due coni di emissione provenire dal buco nero supermassiccio al centro. Gli esperti affermano che il toro (cioè la forma a ciambella che vedete) di gas freddo e polvere può bloccare una parte della radiazione prodotta dalla materia che cade nel buco nero, a seconda di come il toro è orientato verso la Terra. Il toro di questa galassia è piuttosto disomogeneo. Il collage mostra i dati ai raggi X di Chandra (blu), le emissioni radio riprese dal VLA (viola) e i dati ottici catturati da Hubble (in oro).
La galassia a Spirale Messier 94. Crediti: X-ray, NASA/CXC/Universita di Bologna/S.Pellegrini et al; IR, NASA/JPL-Caltech; Optical, SDSS & NASA/STScI
NGC 4736 (nota anche come Messier 94) è una galassia a spirale piuttosto insolita perché composta da due strutture ad anello. Inoltre è denifita come “una regione nucleare a line di emissione a bassa ionizzazione” (LINER) poiché emette radiazioni da specifici elementi come ossigeno e azoto. Le osservazioni risalgono al 2000 e i dati di Chandra sono in oro, i dati infrarossi di Spitzer sono quelli in rosso e i dati ottici di Hubble e della Sloan Digital Sky Survey sono in blu. Il collage fotografico mostra che l’emissione di raggi X viene da un recente e drammatico episodio di formazione stellare.
Il collage delle sei osservazioni ai raggi X di Chandra.
Gli astrofisici lo fanno meglio
Italians do it better, recita un vecchio slogan buono per T-shirt anni Novanta, roba da secolo scorso ormai. Ma a ‘farlo meglio’ in questo caso è una categoria inaspettata: quella degli astrofisici e dei genetisti. Ad assicurarci della performance degli scienziati delle due discipline sono i ricercatori della Michigan State University, autori di uno studio appena pubblicato su Bioscience.
Il lavoro dell’Università statunitense esplora il paradosso che vede molti uomini di scienza condividere pubblicamente i risultati tramite riviste scientifiche e di settore, senza però condividere i dati su cui si fondano gli studi. Trasparenza sì, ma non sempre fino in fondo.
Rendere pubblici i risultati di uno studio mettendo a disposizione dati e scoperte a tutta la comunità di ricercatori, senza temere la concorrenza altrui, è però il primo fra i segreti di un progresso nella scienza. Il team dell’Università del Michigan promuove astrofisici e genetisti, campioni di generosità con colleghi di ogni nazione. Bocciata invece la cultura ecologica, colpevole di omertà nei confronti di una comunità di ricerca che quanto mai come adesso avrebbe bisogno di lavorare nella migliore delle condizioni.
C’è ancora parecchia strada da fare. «Uno dei motivi per cui si tende a non condividere i dati di una ricerca è la paura che un altro scienziato possa farti le scarpe, ma solo quando sono disponibili tutti gli elementi si gioca sullo stesso campo di gioco. È a carte scoperte che si può lavorare meglio, con più persone, e aumentando l’impatto che si ha dal punto di vista scientifico», spiega Patricia Soranno, scienziata del Michigan State University AgBioResearch. «Pensate ai progressi compiuti nel campo dell’astrofisica e della genomica, si procede con un ritmo senza precedenti, e assistiamo a ricadute su molti altri campi di ricerca».
Che astrofisici e genetisti fossero bravi comunicatori, non solo all’interno ma anche all’esterno della comunità di riferimento, ce ne siamo resi conti lo scorso anno al Festival della Scienza di Genova, quando Giovanni Bignami ed Edoardo Boncinelli hanno fatto il tutto esaurito nella sala del Maggior Consiglio, discutendo di origine della vita.
La scienza è forte se è di tutti. I co-autori del paper pubblicato su Bioscience auspicano una nuova era per la condivisione della conoscenza in tema di ambiente e molti altri ambiti di ricerca. Per migliorare la condizione attuale il team evidenzia, dati alla mano, che la maggiore condivisione della ricerca permette alle persone più diverse – scienziati e comuni cittadini – di partecipare in maniera attiva al progresso scientifico: giovani ricercatori ancora non affermati, gruppi scarsamente rappresentati, scienziati che provengono da istituti più piccoli o storicamente meno influenti, ricercatori del Sud del mondo spesso esclusi dalla ricerca di punta, amatori e specialisti non appartenenti al mondo accademico.
Le cose stanno cambiando, ma è il momento di fare un salto di qualità.