Da quando è stato riparato e aggiornato, Hubble è di nuovo in piena forma e già sta affrontando una nuova sfida: osservare migliaia di galassie lontane per ricostruire le prime fasi della loro evoluzione.Per il telescopio orbitante si tratta di un compito meticoloso, che lo impegnerà per un totale di tre mesi e mezzo, diluiti nell’arco dei prossimi tre anni.
E’ la prima volta che si assegna un tempo di osservazione così lungo a un singolo programma di ricerca, ma del resto le galassie da osservare sono veramente tante: ben 250mila. Ma perché andare a osservare galassie così distanti? Sentiamo Adriano Fontana, tra gli astronomi dell’INAF coinvolti nella ricerca:
“La luce impiega miliardi di anni ad arrivare sino a noi da questi oggetti così lontani. Quindi noi stiamo vedendo queste galassie come erano 10-12 miliardi di anni fa.”
Che cosa sta emergendo dalle prime osservazioni di Hubble?
“Le galassie che noi vediamo nei primi dati arrivati da Hubble, e che vedremo molto meglio con i nuovi dati, sono diverse dalle galassie odierne. Sono molto più piccole, hanno una forma irregolare, non ci sono i “disegni” a spirale come la nostra Via Lattea. Queste osservazioni ci permetteranno di capire quali sono i meccanismi e le leggi fisiche che hanno portato alla loro formazione e alla successiva evoluzione e più in generale ci aiuteranno a capire come si è evoluto l’Universo in questi 13 miliardi di anni.”
Guardare lontano per guardare indietro nel tempo: non poteva esserci compito più appropriato per un telescopio spaziale che sta vivendo la sua seconda giovinezza.
NANA IN ARRIVO
Gliese 710 è una stella nana che viaggia alla velocità di 14 km al secondo, puntando proprio verso il Sistema solare. Da non confondere con i fantasiosi spauracchi del 2012, questa stella è nota agli astronomi da almeno un decennio e nonostante si stia effettivamente avvicinando possiamo dormire sonni tranquilli per almeno un altro milione e mezzo di anni. Questo il tempo necessario perché si spinga ad appena 1.3 anni luce dal Sole, ai confini del nostro Sistema nella cosiddetta nube di Oort, dove orbitano miliardi di pezzi di ghiaccio. Secondo le ultime stime, le probabilità che questo succeda sono dell’86%. Le orbite dei pezzi di ghiaccio, cioè dei nuclei di comete della nube di Oort, verrebbero sicuramente disturbate e molti di essi potrebbero venir scagliati anche verso l’interno, in direzione della Terra. Per noi si tratterebbe di conseguenze indesiderate ma non catastrofiche: il rischio di impatto aumenterebbe ma ancora non diventerebbe certezza.
NIENTE BOMBE SULL’ASTEROIDE
Nel caso che un asteroide si diriga minaccioso verso il nostro pianeta, l’ipotesi di correre ai ripari bombardandolo, come succede nel film Armageddon, è sempre meno consigliabile. Negli ultimi anni sono stati proposti vari altri piani di salvezza, più sicuri e probabilmente più efficaci. Ora i risultati di una nuova simulazione al computer allontanano ancora di più il cosiddetto metodo “bombarda e spera” dalla rosa delle soluzioni possibili. La simulazione mostra che un asteroide, una volta fatto esplodere, potrebbe ricomporsi: i singoli pezzi di roccia, infatti, potrebbero risentire della reciproca attrazione gravitazionale e tornare a raggrupparsi. L’asteroide continuerebbe sulla propria strada e noi avremmo fatto tanta fatica per niente.