Dopo il primo volo di test dello scorso maggio, ha presto il via durante la notte la prima missione commerciale della capsula Dragon verso la Stazione Spaziale Internazionale. Il lancio è avvenuto alle 2:35 dell’8 ottobre (ora italiana) dalla base di Cape Canaveral (Florida), con un lanciatore Falcon 9. La NASA ha così dato il via al primo volo commerciale diretto alla Stazione Spaziale Internazionale (ISS).
Con il programma Commercial Resupply Services, dal costo complessivo di 1,2 miliardi di dollari, NASA ha acquistato dalla Space Exploration Technologies (Space X) di un pacchetto di 12 voli commerciali per portare nello spazio materiali per esperimenti scientifici, pezzi di ricambio e rifornimenti per l’equipaggio fino all’anno 2016.
Da quando lo shuttle è andato in pensione, Dragon è stato il primo veicolo spaziale statunitense ad aver raggiunto in sicurezza la Stazione Spaziale, ed è l’unico veicolo (Soyuz a parte) in grado di consegnare materiali alla stazione orbitale e di riportare a Terra materiali, come quelli relativi agli esperimenti completati.
Con questo volo, Dragon porterà in orbita un totale di 400 chili di forniture per il laboratorio orbitante, tra cui 118 chili di forniture per l’equipaggio, 177 chili di materiale dedicato alla ricerca scientifica, 102 chili di strumentazioni hardware e parecchi chili di altri beni di consumo. Quando tornerà sulla Terra, Dragon porterà un carico di 758 chili di forniture.
I materiali trasportati dalla capsula Dragon consentiranno di effettuare esperimenti su cellule vegetali e test di biotecnologia umana. Un esperimento chiamato Micro 6 esaminerà gli effetti della microgravità sul lievito endogeno Candida albicans, che è presente in tutti gli esseri umani. Un altro esperimento, chiamato Resist Tubulo, valuterà come la microgravità influenza la crescita delle pareti cellulari in una pianta chiamata Arabidopsis.
Nessun problema per il lanciatore Falcon 9 che ha portato Dragon. Il prossimo 10 ottobre la navetta si aggancerà alla stazione orbitale, dopo aver effettuato una serie di manovre: resterà agganciata alla ISS orbitale per due settimane e rientrerà sulla Terra il 28 ottobre
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La sonda Huygens ha scavato un foro profondo 12 centimetri prima di rimbalzare su un superficie piana. E tutto questo nei primi 10 secondi dopo aver toccato il suolo di Titano, la luna più grande di Saturno. E’ questa la ricostruzione di come nel 2005 la sonda, lanciata con la missione Cassini (NASA/ESA/ASI) nel 1997, ha rimbalzato scivolato e oscillato poco dopo l’atterraggio.
A rivelarlo è uno studio pubblicato recentemente sulla rivista Planetary and Space Science, che ha ricostruito gli istanti immediatamente successivi all’arrivo. «Un picco nei dati dell’accelerazione suggerisce che durante la prima oscillazione la sonda probabilmente si sia scontrata con un sasso sporgente di circa 2 cm dalla superficie di Titano, che potrebbe aver spinto nel terreno, suggerendo che la superficie ha una consistenza morbida, simile alla sabbia umida», ha detto Stefan Schröder del Max Planck per la ricerca sul Sistema solare, autore principale dell’articolo pubblicato su “Planetary and Space Science” in cui viene presentata la ricostruzione dell’atterraggio. Dai dati raccolti in questi anni i ricercatori hanno visto inoltre che durante l’atterraggio si sono sollevati aerosol di natura organica, indicando che il suolo era probabilmente asciutto al momento dell’impatto.
La sonda dopo lo “scontro” con la roccia si è inclinata di circa 10 gradi ed è scivolata di 30-40 centimetri sulla superficie. La sonda non ha potuto che rallentare a causa dell’attrito con la superficie per poi oscillare avanti e indietro cinque volte.
Lo ricerca fornisce, quindi, nuove informazioni sulla natura della superficie di Titano. I dati sono stati confrontati con i risultati di simulazioni al computer e una prova di caduta, utilizzando un modello di Huygens progettato per replicare l’atterraggio.
«Questo studio — ha osservato Nicolas Altobelli dell’Esa — ci riporta indietro nel tempo al momento in cui Huygens ha toccano il mondo alieno più remoto su cui si sia mai posato una sonda»
C’è qualcosa che brilla nel cielo, ma non è una stella: è un pianeta di diamante, chiamato 55 Cancri e. È vero non brilla, ma secondo i ricercatori che lo hanno studiato è costituito per almeno un terzo da materia in tutto simile a quella dei diamanti.
Quello studiato da un gruppo di ricercatori dell’Università di Yale è un esopianeta grande due volte la Terra, scoperto nel 2004: «La superficie di questo pianeta è probabilmente coperta di grafite e diamante piuttosto che acqua e granito», ha detto Nikku Madhusudhan, ricercatore di fisica e astronomia a Yale. Un primo caso di pianeta simile fu oggetto di una ricerca internazionale pubblicata su Science alla quale parteciparono quattro astronomi dell’Osservatorio Astronomico di Cagliari dell’INAF, guidati dal suo Direttore Andrea Possenti.
Gli astronomi ritengono che il pianeta sia composto per la maggior parte da carbonio, ferro e carburo di silicio: almeno un terzo del pianeta è probabile sia fatto proprio di cabonio sotto forma di diamante.
La ricerca, pubblicata su Astrophysical Journal Letters, descrive 55 Cancri e come una “super Terra”: il suo raggio, misurato nel 2011 con il telescopio spaziale Spitzer, supera di 2,3 volte quello della Terra e la sua massa, simile a quella di Nettuno, è otto volte maggiore. È uno dei cinque pianeti che orbitano attorno a una stella simile al Sole, 55 Cancri, localizzata a 40 anni luce dalla Terra, ma comunque visibile a occhio nudo nella costellazione del Cancro. 55 Cancri e è un pianeta super caldo: può raggiungere temperature fino a 2148 gradi Celsius. Il suo anno dura solo 18 ore, ben poco in confronto ai 365 giorni della Terra.
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