Arriva la mappa più precisa dell’atmosfera di un pianeta esterno al Sistema Solare. L’ha ottenuta, e pubblicata sulla rivista Science, il gruppo di ricerca coordinato da Kevin B. Stevenson, del dipartimento di Astronomia e Astrofisica dell’università di Chicago. Ottenere una mappa così completa è stato possibile perchè i ricercatori hanno potuto osservare ben tre anni di storia del pianeta, ma per farlo hanno impiegato appena quattro giorni.
Il pianeta orbita infatti vicinissimo alla sua stella, tanto che il suo anno è il più breve mai misurato: dura appena 19 ore. Chiamato Wasp-43b, è un pianeta gigante e ha una massa doppia rispetto a quella di Giove. Ad osservarne l’atmosfera con un dettaglio senza precedenti è stato il telescopio spaziale NASA/ESA, Hubble.
“WASP43-b è un pianeta delle dimensioni di Giove ma due volte più massiccio – spiega Isabella Pagano, dell’INAF – Osservatorio Astrofisico di Catania e esperta nella ricerca e studio degli esopianeti – che orbita attorno a una stella un po’ più fredda del Sole, mostrando sempre la stessa faccia alla stella come accade nel sistema Terra-Luna”.
“Per via della vicinanza alla stella (WASP-43b è 40 volte più vicino alla stella di quanto non sia Mercurio al Sole) – continua la ricercatrice – la sua atmosfera è estremamente più irradiata di quanto non sia quella dei pianeti gassosi nel sistema solare. Con la WFC3 a bordo di Hubble Space Telescope è stato possibile ottenere una mappa della temperatura dell’atmosfera di WASP-43b a varie altezze, scoprendo in questo modo che questa diminuisce lentamente con l’altezza e che esiste una notevole differenza di temperatura tra l’emisfero illuminato, dove è sempre giorno, e quella buio, dove è sempre notte, a qualunque altezza. Questo risultato ci dice che in questa atmosfera non sono in funzione efficienti meccanismi di rimescolamento. Le misure mettono anche in evidenza la presenza di vapor d’acqua nell’atmosfera di WASP-43b”.
“È la prima volta – conclude Isabella Pagano – che si riesce a ricostruire la distribuzione della temperatura con l’altezza con questo dettaglio. Osservazioni simili saranno possibili anche per altre tipologie di pianeti extrasolari con il James Webb Space Telescope (JWST), il telescopio spaziale di 6.5m in fase di realizzazione dalla NASA con l’ESA e il CSA (l’Agenzia Spaziale Canadese), che sarà lanciato nel 2018″.
Sogni voi dite? No signori, realtà, realtà!
l titolo di questo articolo riporta una frase, pronunciata proprio da Bepi Colombo durante una conferenza all’Accademia dei Lincei a proposito di quanto avrebbe voluto realizzare. E quest’anno, 2014, per l’Astronomia e per l’esplorazione spaziale in particolare, è uno di quei momenti in cui i sogni si sono tradotti in affascinante realtà.
Dopo dieci anni di permanenza nello spazio interplanetario la sonda europea Rosetta, cui il polo astronomico padovano ha contribuito in modo importante, ha incontrato la cometa Churyumov-Gerasimenko e, a novembre, sgancerà un modulo che atterrerà sulla sua superficie.
Questa eccezionale missione spaziale è stata possibile solo grazie alla genialità e all’impegno di uomini e donne di scienza, tra i quali abbiamo voluto ricordare Giuseppe Colombo, a trent’anni dalla sua morte.
Colombo fu premiato con la medaglia d’oro della NASA per gli straordinari successi scientifici, nel 1971 ottenne il premio Feltrinelli e numerosissimi altri. Il suo nome è legato principalmente agli studi sull’orbita di Mercurio che hanno permesso alla sonda americana Mariner 10 di compiere tre giri attorno al pianeta nel 1974 e 1975, e al calcolo del periodo di rotazione di Mercurio. A lui si deve anche il progetto del “satellite al guinzaglio” NASA-Aeritalia e, sempre a lui, è dedicata la missione BepiColompo che partirà nel 2016 alla volta di Mercurio per arrivare in orbita attorno al pianeta nel 2024.
Per questo, a partire dal 14 ottobre per un mese, si tengono a Padova diversi eventi e incontri pubblici che ruotano attorno alla mostra “In Orbita! Rosetta cacciatrice di comete … e altre storie” (www.oapd.inaf.it/inorbita).
Per la realizzazione e l’organizzazione di questa mostra promossa dall’Agenzia Spaziale Italiana, l’INAF di Padova ha collaborato con il Centro Studi di Ateneo “G. Colombo” – CISAS – dell’Università degli Studi di Padova con il supporto del Comune e dell’Università stessa.
La mostra prevede visite guidate didattiche per le scuole e una serie di eventi, primo tra i quali il convegno “Bepi Colombo, un italiano nell’avventura spaziale”. Al convegno parteciperanno diverse personalità del campo aerospaziale tra i quali Charlses Elachi, attuale direttore del Jet Propulsion Laboratory della NASA, Maurizio Cheli, primo astronauta italiano ad avere il ruolo, nel 1996, di mission specialist durante la missione STS-75 Tethered Satellite. Il tutto proseguirà con una tavola rotonda dedicata a Rosetta moderata dal giornalista Giovanni Caprara per poi concludersi con l’inaugurazione della mostra.
“Il convegno sulla figura di Bepi Colombo e la mostra dedicata all’incontro di Rosetta con la Cometa Churyumov-Gerasimenko sono un’occasione importante per sottolineare quanto le attività spaziali siano importanti nella ricerca astronomica moderna e per quella padovana in particolare”. Ci dice Massimo Turatto, direttore dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Padova, e continua: “L’importanza del contributo di Bepi Colombo alle Scienze dello Spazio non ha bisogno di essere commentato visto che l’ESA gli ha intitolato la prossima missione dedicata all’esplorazione di Mercurio. Sono certo che la mostra su Rosetta avrà il successo che si merita visto l’interesse scientifico e mediatico della missione, destinato ad accrescersi nelle prossime settimane”.
All’interno del programma della mostra è infatti prevista un’escalation di incontri che culmineranno con l’evento di chiusura appena due giorni dopo quello che sarà un evento eccezionale: l’atterraggio del modulo Philae, sganciato da Rosetta, sul suolo della Churyumov-Gerasimenko previsto per il 12 novembre.
Il format usato per questi incontri è simile ai caffè scientifici: ogni venerdì pomeriggio, per tutta la durata della mostra, cinque incontri informali intitolati “Tè in orbita!” durante i quali si potrà chiacchierare con gli astronomi degli argomenti inerenti alla mostra degustando tè e pasticcini.
I Tè si apriranno con il Direttore del Museo Egizio di Torino, Christian Greco, che ci svelerà tutto sulla stele di Rosetta, da cui il nome della sonda che ci sta effettivamente svelando moltissimo sulle comete. Proseguiranno con due incontri sull’esplorazione dei pianeti del nostro Sistema Solare dove Gabriele Cremonese, Astronomo dell’INAF Osservatorio Astronomico di Padova, ci racconterà tutto riguardo alla missione BepiColombo, altra protagonista della mostra insieme a Rosetta. Abbiamo chiesto a Cremonese quel è il ruolo del nostro Paese in questa missione volta allo studio di Mercurio: ”L’Italia sta fornendo un contributo alla missione BepiColombo fondamentale in quanto è responsabile di 4 strumenti tra i più importanti a bordo, basti pensare che piu’ del 50% dei dati raccolti dalla missione arriveranno in Italia. Per questa missione”, prosegue Cremonese responsabile della Stereo Camera di BepiColombo, “abbiamo ideato e realizzato un nuovo concetto di stereo camera e di ricostruzione 3D, che non ha mai volato su un satellite anche terrestre e che fornirà le immagini 3D dell’intera superficie di Mercurio”.
Il tutto come dicevamo si concluderà con le “Ultimissime da Rosetta”, tenuto dal Professor Casare Barbieri, Astronomo Ordinario dell’Università degli studi di Padova e responsabile scientifico della camera WAC (Wide Angle Camera) a bordo di Rosetta.
LHC: due nuove particelle
Nel 2006 hanno causato un picco di energia registrato dall’esperimento BaBar della Stanford University in California, ma la cosa è rimasta insoluta fino a quando i fisici dell’esperimento LHCb (al quale lavorano ricercatori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) non ci hanno messo su gli occhi nell’affascinante laboratorio sotterraneo del Large Hadron Collider al CERN di Ginevra (che da poco ha festeggiato 60 anni di attività.) Ed ecco, all’improvviso, saltano fuori due nuove particelle: nome scientifico DS3*(2860)– e DS1*(2860)–, circa tre volte più massicce dei protoni, una delle quali presenta una combinazione di proprietà mai osservate prima.
«I risultati in nostro possesso mostrano che il picco rilevato dall’esperimento BaBar è stato causato da due nuove particelle», spiega Tim Gershon della Warwick University (Regno unito) e primo autore della scoperta.
In fisica particellare, i mesoni sono un gruppo di particelle subatomiche composte da un quark e un antiquark legati dalla forza forte, una delle quattro forze fondamentali che legano le componenti di un nucleo all’interno degli atomi. Della forza forte, va detto, sappiamo ancora poco all’interno del modello standard della fisica particellare. Sappiamo invece che i quark sono disponibili in sei diversi gusti, conosciuti come: up, down, strange, charm, bottom e top. Nell’ordine: dal più leggero al più pesante.
Le nuove particelle individuate da LHCb contengono ciascuno un antiquark charm e un quark strange. DS3*(2860)– ha un valore di spin a 3, cosa che la rende di fatto la prima particella a contenere, a parità di caratteristiche, un quark charm. Una peculiarità che promuove la nuova particella a chiave di volta nell’esplorazione di quel che ci resta da scoprire riguardo la forza forte. Non fosse altro per il semplice fatto che la matematica dei quark pesanti è di gran lunga meno complessa di quella necessaria per i quark più leggeri.
I ragazzi di LHCb hanno utilizzato una tecnica nota come “Dalitz plot analysis” per districare il problema del picco di energia e arrivare alle due componenti in radice. Un lavoro complesso, mai messo in pratica per i dati di LHC, che tuttavia ha permesso di separare e visualizzare i diversi percorsi che una singola particella può assumere nel processo di decadimento.
«Ora che la tecnica Dalitz è stata testata con successo sul banco di prova di LHCb possiamo mettere mano ai dati di LHC e facilitare il processo di scoperta di nuove particelle, anche e soprattutto per capire come queste siano legate fra loro», spiega Gershon.
«Un ottimo lavoro di fisica sperimentale», aggiunge Robert Jaffe del Massachusetts Institute of Technology di Cambridge. «Anche senza spingerci oltre il modello standard, possiamo chiarirci le idee in tema di quark e gluoni. Il fatto che i fisici di LHCb siano stati in grado di servirsi del metodo Dalitz è una conferma circa la qualità e la quantità dei dati accumulati. Cambia il modo in cui guardiamo al futuro della ricerca in questo settore».