Pianeti solitari che vagano nella nostra galassia. Non sappiamo se esistono ma in teoria nulla vieta che un pianeta venga strappato dal suo sistema solare, ad esempio perché spinto via dalle perturbazioni gravitazionali di un’altra stella passata nelle vicinanze. Così come nulla vieta che vi siano ancora condizioni ambientali adatte alla vita. Non in superficie, ma al suo interno. Secondo quanto dedotto da uno studio dell’Università di Chicago. nel cuore di un pianeta di grandezza simile al nostro, possono infatti avvenire decadimenti di elementi radioattivi che generano calore. Proprio grazie a questo calore interno, se il pianeta fosse costituito per lo più di acqua, sotto lo spesso strato di ghiaccio potrebbe nascondersi un oceano di acqua allo stato liquido. E l’acqua liquida è uno degli elementi ritenuti necessari per lo sviluppo della vita come noi la conosciamo.
Abbiamo chiesto un parere a Silvano Desidera dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, ricercatore nel campo dei pianeti extrasolari. Quanto è probabile che un pianeta venga strappato dal suo sistema?
“Ci aspettiamo che sia abbastanza frequente che in un sistema planetario le interazioni gravitazionali tra i pianeti che si sono formati possano portare a delle instabilità, per cui uno, due pianeti rimangono attorno alla loro stella mentre un altro viene eiettato fuori per ritrovarsi a vagare nell’Universo”.
Ma sarà mai possibile riuscire a individuare un pianeta solitario?
“Dobbiamo essere così fortunati che ci passino sostanzialmente sotto casa, in modo da poter individuarli attraverso la loro riflessione della luce del Sole. Quindi devono passare a non più di qualche centinaio di unità astronomiche per poter essere rilevati con la strumentazione attuale. La conferma dell’esistenza di un oceano liquido richiederebbe poi una missione in situ, sicuramente non fattibile con la tecnologia attuale”.
UN’ALTERNATIVA ALLA MATERIA OSCURA
Una discussa teoria, che propone una versione modificata di alcune classiche formule fisiche, ha trovato recentemente nuove conferme. La teoria si chiama MOND, da Modified Newtonian Dynamics, è stata presentata negli anni ’80 e rappresenta un’alternativa alle teorie che ipotizzano l’esistenza della materia oscura. Quest’ultima, secondo la maggior parte degli astronomi, è qualcosa che non riusciamo a rilevare con gli strumenti ma che comunque c’è e in abbondanza ad esempio all’interno delle galassie. Se fossero formate soltanto di stelle, gas, polveri, di tutto ciò che riusciamo a osservare, le galassie ruoterebbero su se stesse in modo molto diverso da quello che misuriamo. Invece si comportano come se contenessero molta più materia di quella che mostrano ed ecco che diventa necessario ipotizzare la materia oscura. La teoria MOND, invece, propone un’altra soluzione: senza aggiungere ingredienti extra, di cui non riusciamo ancora a comprendere la natura, basterebbe modificare le leggi fisiche per adattarle alle scale galattiche. Lo studio effettuato di recente su 47 galassie ha dimostrato che la teoria MOND descrive bene il comportamento di tutte. Tuttavia lo scetticismo nei confronti di questa soluzione resta e si dovranno trovare ben altre conferme prima di intaccare il consenso di cui gode la materia oscura.
VI PRESENTO JAMES WEBB, TELESCOPIO
A vederlo non assomiglia molto alla nostra idea di telescopio. Si tratta di un telescopio spaziale, ma sembra non avere nulla in comune nemmeno con “il” telescopio spaziale per eccellenza, Hubble Space Telescope, di cui tutti abbiamo sentito parlare almeno una volta, visto che ormai è in orbita da vent’anni. Eppure il James Webb Telescope è il successore dell’Hubble, è lo strumento di osservazione destinato allo spazio più potente fra quelli realizzati finora e ci permetterà di guardare davvero molto lontano. Il lancio non avverrà prima del 2014, ma la novità di questi giorni è che si può cominciare a fare la sua conoscenza grazie a un tour virtuale e interattivo che la NASA ha reso disponibile online sul suo sito. Struttura e strumenti sono a portata di click per sapere tutto in anteprima sullo strumento che ci porterà ancora oltre i traguardi dell’Hubble.