Appena 27 gradi: meno di quanto fanno registrare i nostri termometri nelle calde giornate d’estate. E’ la temperatura superficiale di una nana bruna che dista da noi 63 anni luce. Per gli astronomi rappresenta un valore record, che potrebbe presto essere battuto con la scoperta di altre nane brune ancora meno calde.
Sino a poco tempo fa le nane brune erano descritte come stelle mancate: la loro massa non è sufficiente a produrre nel nucleo quei valori di pressione e temperatura necessari ad innescare le reazioni termonucleari che permettono ad una stella di accendersi. Oggi più che di stella mancata si preferisce parlare di via di mezzo tra stella e pianeta gassoso.
I dati raccolti dal telescopio spaziale Hubble, attualmente in fase di elaborazione, ci daranno presto nuove informazioni sulle nane brune scoperte di recente. Ma c’è ancora più attesa per il primo set di dati raccolto da WISE, un altro telescopio spaziale NASA che ha tra gli obiettivi proprio la scoperta di nane brune. Il set sarà disponibile ad aprile: la speranza è di individuare nane brune ancora meno calde e ancora più piccole, sino a trovare il punto di unione con i pianeti giganti gassosi.
CIAO STARDUST
È stata lanciata nel ’99, ha fatto un lungo viaggio e incontri importanti. Ora però, anche per la sonda Stardust è arrivato il momento dei saluti. Si conclude l’avventura della cacciatrice di comete della NASA, che ha acceso i motori per l’ultima volta il 24 marzo, consumando tutto il carburante rimasto nei suoi serbatoi e fornendo, proprio con questa azione conclusiva, un’ultima occasione per ottenere dati importanti. Dati che stavolta non riguardano le comete, ma i consumi della sonda stessa. Far restare definitivamente a secco la Stardust permetterà ai responsabili della missione di capire esattamente quanto carburante le fosse rimasto e se questa quantità corrispondesse con il valore previsto dai calcoli. Prima di effettuare l’accensione finale, la sonda ha orientato la sua antenna verso la Terra, dalla quale dista ormai ben 312 milioni di km, così da poter trasmettere queste ultime informazioni. Nelle stazioni di controllo di missioni come Stardust, non ci sono indicatori di benzina simili a quelli sul cruscotto delle automobili, per lo meno gli strumenti che forniscono queste informazioni danno ancora risposte non del tutto soddisfacenti. Gli ultimi dati di Stardust serviranno a calibrare meglio i metodi per il calcolo dei consumi, a vantaggio delle nuove missioni. L’ultimo incontro della sonda è stato con la cometa Tempel 1, ma in precedenza aveva avvicinato la cometa Wild 2 della quale era riuscita a raccogliere alcuni campioni di polvere, poi spediti a terra in una apposita capsula.
DUETTO STONATO DA SATURNO
Che il pianeta Saturno emettesse onde radio si sapeva, ma che le emissioni provenienti dal suo emisfero nord non fossero in sintonia con quelle dell’emisfero sud è un risultato recente, una scoperta effettuata dalla sonda Cassini. In altre parole, su Saturno, nord e sud formano un duetto stonato. Queste differenze, inoltre, variano con il tempo, con un andamento che segue l’alternarsi delle stagioni sul gigante gassoso. Le onde radio vengono prodotte quando le particelle cariche, elettroni in particolare, trasportate dal vento solare, penetrano nell’atmosfera di Saturno, secondo i percorsi obbligati imposti dal campo magnetico del pianeta. I ricercatori ritengono che questo bizzarro comportamento e queste differenze fra nord e sud siano da attribuire alla diversa incidenza con cui la radiazione del Sole colpisce il pianeta alle varie latitudini. I venti che si formano nell’alta atmosfera del pianeta influiscono sull’emissione delle onde radio, e l’azione di questi venti cambia a seconda dell’emisfero in cui ci si trova. Si tratta di fenomeni di cui non saremmo a conoscenza se non fosse per la strumentazione della Cassini: non potremo vederli con i nostri occhi né tantomeno ascoltarli. I ricercatori NASA, tuttavia, hanno tradotto le onde radio registrate dalla Cassini, in modo che l’orecchio umano le possa percepire. Le si possono ascoltare grazie al video divulgativo raggiungibile dal sito www.jpl.nasa.gov.