C’è mai stata vita su Marte? Non lo sappiamo ma è molto probabile. A dircelo è la NASA, dopo le analisi eseguite dal rover Curiosity in missione sul pianeta. Curiosity ha scavato un piccolo buco in una zona dove si sospetta che un tempo ci fossero fiumi o forse un grande lago. E in effetti le analisi del campione hanno rivelato la presenza di minerali che possono essersi formati solo dopo una lunga permanenza in acqua allo stato liquido. Inoltre sono state trovate altre sostanze ritenute compatibili con la vita. Acqua liquida e sostanze compatibili: due elementi importanti che però ancora non danno la certezza che la vita ci sia stata. Aumenta però la probabilità che in un remoto passato su Marte siano vissuti dei microscopici batteri. E forse i batteri ci sono ancora oggi, nascosti nel sottosuolo a qualche centimetro di profondità. Trovarli, o comunque avere la prova che ci sono stati nel passato, sarebbe una scoperta storica per l’umanità. Perchè per la prima volta avremmo la certezza che la vita è esistita e può esistere anche su altri pianeti oltre la Terra.
ALMA E L’UNIVERSO LONTANO
Nel giorno stesso della sua inaugurazione sono stati pubblicati anche i nuovi frutti del suo lavoro: il telescopio ALMA, infatti, ha cominciato a darsi da fare scrutando l’Universo lontano ancora prima di essere ultimato. ALMA, ovvero Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, è una rete di strumenti, 66 antenne giganti posizionate a 5000 metri di altezza su un altopiano delle Ande cilene ed è stato inaugurato lo scorso 14 marzo. I risultati pubblicati in quello stesso giorno sono frutto di osservazioni effettuate in precedenza, usando soltanto 16 antenne per studiare un gruppo di galassie molto particolari, denominate “starburst”. Sono così lontane che la radiazione che emettono, pur viaggiando alla velocità della luce, impiega 12 miliardi di anni per arrivare fino a noi. Significa che grazie ad ALMA è stato possibile studiare sistemi stellari primordiali e scoprire che quando l’Universo aveva appena un miliardo di anni la produzione di nuove stelle avveniva ad un ritmo serrato, proprio a partire dal gas e dalla polvere all’interno delle galassie starburst. I dati di ALMA rivelano quindi che il picco di produzione stellare si è verificato nell’Universo almeno un miliardo di anni prima di quanto si pensasse. E con sole 16 antenne operative, ALMA è stato in grado di stabilire che, fra le molecole presenti in queste remote galassie, c’è anche quella dell’acqua: un record di distanza. 66 antenne faranno di ALMA uno strumento ancora più sensibile e le sue indagini potranno spingersi ancora più lontano.
SERPENTI D’ARIA NELL’ATMOSFERA DI GIOVE
A volte, anche nella turbolenta e spessa atmosfera di Giove si aprono degli spiragli che ci permettono di indagare cosa succede negli strati più profondi del più grande pianeta del Sistema solare. Queste zone, di colore più scuro, prendono il nome di Hot spot, ovvero ‘punti caldi’ poiché nell’infrarosso risultano molto più brillanti di quelle circostanti, indice di temperature più elevate. La loro natura e i fenomeni che ne modellano continuamente la loro forma e ne determinano gli spostamenti all’interno della complessa circolazione dell’atmosfera gioviana sono da decenni oggetto di approfonditi studi da parte di ricercatori di tutto il mondo. Un grande passo in avanti arriva oggi da un lavoro guidato da David Choi, del Goddard Space Flight Center della NASA. Lo studio si basa sulle riprese fatte dalla sonda Cassini in occasione del passaggio ravvicinato a Giove del 2000, necessario per fornirgli la spinta gravitazionale che gli avrebbe fatto raggiungere quattro anni più tardi il suo obiettivo scientifico, ovvero Saturno e il suo sistema.
“Questa è la prima volta che è stato possibile seguire in dettaglio l’evoluzione nel tempo della forma e degli spostamenti di numerosi punti caldi, che è il modo migliore per apprezzare la dinamica di queste strutture atmosferiche” sottolinea Choi. Per far questo il team ha ricostruito una serie di animazioni con le centinaia di immagini scattate da Cassini durante il suo massimo avvicinamento al pianeta. I filmati più interessanti sono quelli che seguono l’evoluzione di una catena di hot spot situata circa 7 gradi a nord dell’equatore di Giove per circa due mesi, in cui sono ben evidenti le variazioni giornaliere e settimanali nelle loro dimensioni e forme.
Analizzando queste animazioni, i ricercatori hanno mappato i venti attorno ad ogni hot spot e hanno esaminato le loro complesse interazioni con vortici atmosferici. Per separare questi movimenti dalla corrente a getto presente nella zona dove sono presenti i punti caldi, gli scienziati hanno anche monitorato i movimenti di piccole e veloci nubi, simili per conformazioni a cirri presenti nell’atmosfera terrestre, usandoli come ‘traccianti’. Con il risultato di ottenere così la prima misura diretta della velocità del vento nella corrente a getto, che oscilla tra 500 e 720 chilometri all’ora, molto più di quanto si pensasse finora. I punti caldi invece sembrano prendersela più comoda, dato che si muovono a ‘soli’ 360 chilometri l’ora.
Compresa la dinamica di queste strutture, rimaneva però l’interrogativo di conoscere meglio la loro natura. Una delle ipotesi più accreditate spiega come gli hot spot vengono prodotti quando grandi masse d’aria sprofondano negli strati più bassi dell’atmosfera e vengono riscaldate nel processo. Ma la regolarità sorprendente con cui sono distribuiti i punti caldi ha portato i ricercatori ad andare oltre e a sospettare che ci sia una vera e propria onda atmosferica a governarli. Infatti in tutte le animazioni sono presenti tra otto e dieci punti caldi perfettamente allineati e più o meno equidistanti, con densi pennacchi di nuvole biancastre tra ciascuno. Gli scienziati hanno pensato che esistesse un gigantesco flusso d’aria che spinge quella fredda verso il basso, aprendo un varco tra le nubi, e solleva nelle vicinanze aria calda, generando la fitta coltre di nubi nei pennacchi. Un andamento sinuoso e regolare confermato anche dalle simulazioni fatte dal team al calcolatore.
Questo comportamento è sorprendentemente simile a ciò che accade anche qui sulla Terra. L’onda di Rossby scoperta dall’omonimo scienziato svedese nel 1939, provoca nella nostra atmosfera l’immissione di correnti di aria fredda proveniente dalle regioni artiche verso zone a latitudini temperate, modificando temporaneamente l’andamento tipico della corrente a getto polare.
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