Ha da poco concluso la sua ultima missione e ora per lo shuttle Discovery è giunto il momento di spegnere i motori e prendere posto in un museo. Si apre così l’ultimo atto nella storia di queste navette: ancora due lanci, uno per l’Endeavour e l’altro per l’Atlantis previsti entro la fine di giugno, dopo di che tutti gli shuttle avranno terminato la loro carriera.
Il pensionamento degli shuttle era inevitabile visto che da anni presentavano problemi causati dall’invecchiamento e da limiti dovuti al progetto di base. L’amministrazione Bush contava di chiudere il discorso entro il 2010, in modo da investire le risorse sulla costruzione di navette pensate per tornare sulla Luna. Un progetto che non si è mai realizzato: troppo costoso e poco affidabile, al punto che la successiva amministrazione Obama decise di cancellarlo.
E così, quando anche l’ultimo shuttle andrà in pensione la NASA si ritroverà senza navette: è vero che in fase di costruzione ci sono le Orion, ma si tratta di capsule che potranno solo andare in orbita. Per raggiungere traguardi più lontani ci sono progetti da sviluppare con industrie private. Una situazione che non piace agli astronauti dell’ultima missione del Discovery: fosse stato per loro avrebbero pilotato gli shuttle ancora per molti anni.
DOVE SOFFIA IL VENTO
A oltre 17 miliardi di chilometri dalla Terra, la sonda Voyager 1 è oggi lo strumento costruito dall’uomo che in assoluto si è spinto più lontano e, dopo 33 anni di viaggio è anche fra i più vecchi ancora in attività. Eppure, nonostante la lontananza e l’età, la sonda conserva ancora una certa agilità oltre che la prontezza di rispondere ai comandi. Lo ha dimostrato lo scorso 7 marzo quando ha compiuto una rotazione di 70 gradi su sé stessa in senso antiorario: era dal 1990 che non faceva qualcosa del genere e dopo 21 anni non ha avuto alcuna difficoltà a sgranchirsi. Per avere la conferma che il comando è stato ricevuto ed eseguito, i tecnici della NASA hanno dovuto avere pazienza e aspettare: ben 16 ore, questo è il tempo che i dati della Voyager impiegano ad arrivare a terra. A questa manovra ne seguiranno altre: lo scopo è permettere alla sonda di posizionarsi in modo da misurare come cambia la direzione in cui soffia il vento solare nella regione di confine in cui si trova adesso, dove l’intensità di questo flusso di particelle cariche emesse dal Sole si indebolisce gradualmente fino a non essere più rilevabile.
DOV’È L’ATMOSFERA DI MARTE?
È un’ipotesi oggi ritenuta estremamente plausibile che, nel corso della sua evoluzione, Marte si sia perso buona parte della propria atmosfera. Le domande riguardano però il “come” questa perdita possa essere avvenuta e le recenti osservazioni della sonda Mars Reconnaissance Orbiter forniscono delle interessanti informazioni su una delle modalità possibili. Analizzando, dall’alto della sua orbita, le rocce del sottosuolo marziano esposte alla luce in seguito a violenti impatti con i meteoriti, la sonda ha accertato che esse contengono un particolare tipo di minerali. Questi minerali potrebbero essersi formati rubando un ingrediente, l’anidride carbonica, presente proprio nell’atmosfera. In altre parole, parte dell’atmosfera mancante del pianeta sarebbe stata in un certo senso assorbita dal suolo. Questo non è il solo modo in cui può essere avvenuta la perdita: si ritiene che anche il vento solare abbia avuto, e abbia tuttora, un ruolo erosivo sull’atmosfera del pianeta. Ma su questo indagherà un’altra sonda, MAVEN, nel 2014.