Deserto della Namibia o altipiani delle Ande? Forse meglio il complesso dell’Osservatorio astronomico del Leoncito in Argentina? La scelta del sito che ospiterà la porzione a sud dell’equatore del Cherenkov Telescope Array (CTA), una batteria di telescopi destinati a studiare le sorgenti di radiazione gamma provenienti dall’universo che, una volta realizzato, sarà il più potente e sensibile osservatorio per i raggi gamma mai costruito, non è stata ancora presa.
Di certo però ora c’è che il prototipo del gruppo di telescopi di piccola taglia che comporranno questa fantastica rete di strumenti per indagare i più violenti fenomeni che avvengono nello spazio è italiano e verrà inaugurato il 24 settembre prossimo sulla stazione osservativa di Serra La Nave sull’Etna, gestita dall’Osservatorio Astrofisico di Catania dell’INAF. Lo strumento si chiama SST ed è stato realizzato nell’ambito di ASTRI (Astrofisica con Specchi a Tecnologia Replicante Italiana), il “Progetto Bandiera” finanziato dal MIUR e condotto dall’INAF.
Per raccontarci meglio questo importante passo verso la realizzazione di CTA, abbiamo rivolto alcune domande a Giovanni Pareschi, direttore dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Brera e Principal Investigator del progetto ASTRI.
Immagino che ci sia un bel po’ di emozione nel vedere finalmente pronto il vostro telescopio SST…
Sicuramente è una grande soddisfazione per noi perché stiamo lavorando a questo progetto da ormai 3 anni e mezzo e il prototipo che abbiamo completato è innovativo per tanti aspetti. Ricordo che questo strumento userà per la prima volta una configurazione a due specchi, mentre finora telescopi per analoghe indagini utilizzavano un singolo specchio. Su SST verranno inoltre utilizzati dei rivelatori innovativi al silicio. La tecnologia degli specchi è tutta italiana ed è la stessa inventata da INAF con l’appoggio di alcune industrie nazionali e che è stata sperimentata con successo sui telescopi Cherenkov Magic 1 e 2 che sono operativi sulle isole Canarie.
SST è un prototipo di un gruppo di telescopi che comporrà CTA. Può raccontarci qualche dettaglio in più su questo osservatorio?
Il CTA è un progetto internazionale che vede tantissime nazioni e istituti partecipanti. Sarà il primo osservatorio che osserverà i raggi gamma ad alta energia tramite la tecnica Cherenkov da terra. Ci sono stati e ci sono esperimenti in corso come MAGIC – a cui partecipa INAF – , HESS e Veritas che hanno aperto una nuova finestra di osservazioni astronomiche, quelle dell’astronomia dei raggi TeV (tera elettronvolt, ovvero mille miliardi di elettronvolt), le energie legate ai più grandi fenomeni di accelerazione noti nell’astrofisica. Il CTA vuole essere un osservatorio aperto alla comunità scientifica, non soltanto a piccoli gruppi di ricerca, e possiede qualità osservative molto migliori degli analoghi strumenti oggi a disposizione. Sarà formato nel suo sito sud da circa 100 telescopi, alcuni dotati di specchio principale grande ben 27 metri di diametro che saranno collocati al centro dell’array, una serie di altri (tra 20 e 25) di medie dimensioni (12 metri di diametro) e poi i tanti (circa 70) piccoli telescopi di 4 metri di diametro. Quest’ultimo è proprio il settore in cui INAF vuole partecipare con la produzione di metà o più di questi piccoli telescopi. Il prototipo di ASTRI è proprio il capofila di questi telescopi che saranno distribuiti su un’area di 10 km quadrati e sarà rivolto ad osservare i segnali di energia più alta che si osservano con la tecnica Cherenkov, quelle che vanno da circa 2-3 tera elettronvolt fino a 100 e più TeV.
Come si inserisce il progetto ASTRI nel programma CTA e quali sono i suoi punti di forza?
ASTRI è un progetto bandiera del MIUR, che ha sostenuto la partecipazione italiana, e in particolare dell’INAF, a livello di sviluppo tecnologico a questo grande progetto che è CTA. Vi partecipano più di cento persone, distribuite in una decina di strutture dell’INAF e di strutture universitarie. Devo dire che è una bellissima avventura che ha visto lavorare insieme tanti ricercatori e tecnici in grande armonia e con grande entusiasmo. Noi miriamo a costruire una parte importante di CTA e abbiamo coinvolto un pool di aziende (italiane per il 90 per cento del totale) che hanno risposto con grande entusiasmo alle nostre richieste. Credo che sia veramente un’avventura bellissima: mentre in CTA ci sono altri gruppi che stanno lavorando alla realizzazione di prototipi, noi siamo il primo gruppo che farà un test con un telescopio prototipale di tipo end-to end, cioè compreso di specchi, camere, elettronica, software che rispetta perfettamente i requisiti imposti dal programma CTA. Questo strumento potrà fare prove operative osservando delle sorgenti celesti in luce Cherenkov, cosa possibile in quanto il nostro prototipo si trova su un sito astronomico, quello di Serra la Nave sull’Etna gestito dall’Osservatorio INAF di Catania, che è a un’altitudine ottimale per compiere questo tipo di osservazioni. Tra gli obiettivi che ci proponiamo in questi test, oltre a calibrazioni con sorgenti celesti già note come il resto di supernova nella Nebulosa del Granchio (Crab Nebula), ci sarà quella di osservare l’interazione dei raggi cosmici con il vulcano Etna. Questo per capire se si possa fare un qualche tipo di analisi tomografica della montagna ed aiutare così a comprendere quando ci saranno nuove eruzioni. Uno studio davvero innovativo che deve essere provato, ma il nostro telescopio servirà anche per quello. Il prototipo SST è importantissimo anche perché ci darà le informazioni necessarie per partire immediatamente con la realizzazione di un mini array attorno a cui sarà costruito il primo nucleo di CTA da installare al sito sud. In questo caso, nel giro di poco più di due anni, otterremo risultati senz’altro molto importanti perché esploreremo la banda dei raggi gamma ad alta energia fino a 100 TeV che potranno rivelarci aspetti del nostro universo finora ancora sconosciuti.
Un sistema planetario invertito
Siamo abituati a sistemi planetari con pianeti giganti distanti dalla stella madre e con conseguenti grandi orbite, mentre pianeti più simili, per dimensioni e massa, alla Terra, più vicini al sole. Ma non è così per Kepler-101, un sistema planetario «invertito», osservato dal cacciatore di pianeti dell’emisfero Nord: HARPS-N.
Grazie a quaranta misure precise di velocità radiale ottenute con lo spettrografo Harps-N al Telescopio Nazionale Galileo, e alla fotometria del satellite Kepler, gli astronomi della collaborazione GTO (Tempo Garantito di Osservazione) hanno caratterizzato un sistema planetario anomalo: Kepler-101. Si è trovato che questo sistema planetario è composto da un super-Nettuno caldo, Kepler-101b, e da un pianeta più esterno di dimensioni terrestri e massa inferiore a quattro volte la Terra, Kepler-101c. I due pianeti orbitano intorno alla loro stella madre – una stella di tipo spettrale G un po’ evoluta e ricca di metalli – ad una distanza rispettivamente di 0.05 e 0.07 UA (1 Unità Astronomica vale 150 milioni di chilometri – ndr).
Kepler-101b e Kepler-101c erano già stati scoperti dal telescopio spaziale Kepler grazie al metodo dei transiti, ovvero osservando le diminuzioni della luce della stella dovute alla parziale occultazione del disco stellare durante il passaggio dei pianeti davanti al disco stesso (o transito). L’osservazione dei transiti aveva permesso al team della missione Kepler di determinare le dimensioni e i periodi orbitali dei due pianeti ma non la loro massa, che rappresenta un’informazione cruciale per comprendere la loro struttura interna e le loro caratteristiche.
Osservazioni di fotometria dallo spazio Kepler che mostrano i transiti del super-Nettuno Kepler-101b (a sinistra) e del pianeta di dimensioni terrestri Kepler-101c (a destra). Le linee rosse indicano il best-fit del modello del transito
Misure di velocità radiale HARPS-N della stella Kepler-101 che rappresentano la variazione di velocità della stella lungo la linea di vista dovute alla perturbazione gravitazionale del pianeta più massivo Kepler-101b. La linea nera indica il modello dell’orbita Kepleriana di Kepler-101b ottenuta dall’analisi dei dati HARPS-N
Con l’analisi dei dati spettroscopici HARPS-N, si è riusciti a derivare la massa di Kepler-101b e fornire limiti a quella di Kepler-101c. Questa migliore caratterizzazione del sistema planetario ha così permesso di identificare e studiare per la prima volta in modo dettagliato un pianeta di tipo super-Nettuno. Infatti, Kepler-101b fa parte della classe scarsamente popolata di pianeti con raggio e massa intermedi fra Saturno e Nettuno del nostro sistema solare. Inoltre esso ha una struttura interna formata da elementi pesanti per oltre il 60% della massa totale.
Questa nuova ricerca, in fase di pubblicazione su Astronomy&Astrphysics, mette in evidenza la prima osservazione di una architettura planetaria con un pianeta interno gigante e uno esterno di taglia terrestre. «Questo è davvero uno dei principali risultati del nostro lavoro: Kepler-101 non segue la regola (riscontrata nella maggior parte dei sistemi planetari doppi di Kepler) che il pianeta più grande ha anche il più lungo periodo orbitale, come succede anche nel nostro sistema solare» ci spiega Aldo Bonomo, post-doc all’INAF – Osservatorio Astronomico di Torino, il primo autore di questo articolo, frutto della collaborazione del consorzio Harps-N (Italia, Svizzera, Stati Uniti e Regno Unito).
In particolare, dato che questi pianeti sono osservati transitare davanti alla loro stella, gli astronomi ritengono che l’evoluzione e la migrazione dei due pianeti verso la stella sia avvenuta attraverso una interazione fra pianeta e disco protoplanetario piuttosto che un’interazione dinamica. Inoltre è probabile che il super-Nettuno sia si formato più lontano dalla stella rispetto al pianeta di taglia terrestre ma lo abbia poi ‘sorpassato’ durante la migrazione senza drastiche conseguenze per il pianeta più piccolo.
Come enfatizzato da Emilio Molinari, direttore del TNG, «tali conclusioni sono state possibili solo grazie alle precise misure di velocità radiale del nostro spettrografo Harps-N».
Paolo Vettolani, direttore scientifico dell’INAF, con soddisfazione per i risultati ottenuti, commenta che «questi pianeti continuano a sorprendere gli astronomi che li stanno studiando. Stiamo scoprendo solo ora la geografia dei sistemi planetari, per tentare di capire la loro storia!».
Viaggi spaziali per gente normale
Per chi ha sempre sognato di andare nello spazio, ma non avendo il physique du role dell’astronauta ha messo il suo sogno nel cassetto è finalmente giunta l’ora della riscossa.
Con l’avvento dei voli spaziali di tipo commerciale sembra infatti destinata a cambiare anche l’immagine dell’astronauta tipo ed i ricercatori della facoltà di Medicina dell’Università del Texas hanno condotto una ricerca volta a stabilire se vi siano condizioni mediche di particolare rischio per chi si volesse cimentare nell’impresa. Le informazioni disponibili in merito, infatti, sono ad oggi ancora molto scarse.
Storicamente gli astronauti sono stati selezionati in base alle loro perfette condizioni psicofisiche, che dovevano essere adatte a superare le situazioni più estreme e le sfide più inaspettate, nell’immaginario comune si tratta quasi di superuomini.
Nel prossimo futuro invece – quando con i voli spaziali commerciali si realizzerà la possibilità di viaggiare nello spazio per piacere, o magari per necessità – l’ultima frontiera verrà aperta anche alla gente comune.
Ma quali sono le condizioni di salute ed i problemi che si riscontrano con maggior frequenza nella popolazione mondiale e, soprattutto, quali sarebbero ostative per affrontare un viaggio spaziale?
Le ricerche si sono concentrate sulle patologie più comuni e diffuse – pressione alta, cardiopatie, diabete e disturbi polmonari come asma ed enfisema – ed i risultati dimostrano che, se opportunamente monitorati e con il necessario controllo medico, i pazienti osservati sarebbero stati quasi tutti in grado di sopportare lo stress dovuto al volo. La ricerca è stata condotta con il supporto del Center of Excellence for Commercial Space Transportation della Federal Aviation Administration statunitense.
I comportamenti sono stati osservati simulando le condizioni di un viaggio spaziale, tra cui la microgravità e le enormi forze di accelerazione cui l’organismo viene sottoposto durante il volo, e i risultati dello studio sono stati recentemente pubblicati sulla rivista Aviation, Space and Environmental Medicine, edita dall’Aerospace Medical Association.
La dottoressa Rebecca Blue, che ha guidato il team di ricerca dice in proposito «I maggiori stress fisiologici che il viaggio spaziale comporta sono quelli legati alle forza di accelerazione durante il lancio ed il rientro e alle condizioni di microgravità. Il nostro obiettivo è stabilire se persone che abbiano uno stato di salute “medio”, quindi lontano dalla perfetta forma fisica degli astronauti per professione, sarebbero in grado di sopportare un volo spaziale».
Come fare però per monitorare in modo sistematico e ripetuto le reazioni delle persone osservate, soprattutto durante le fasi di lancio e rientro (quelle considerate più critiche e per le quali gli stessi astronauti professionisti devono allenarsi molto) per capire e monitorare i possibili episodi medici, magari improvvisi, cui dover eventualmente far fronte? Esattamente con gli stessi strumenti con cui gli astronauti si preparano per le loro missioni: le centrifughe.
Le forze di accelerazione cui si sarebbe sottoposti durante un volo spaziale commerciale sarebbero tollerate, ma non certo piacevoli anche per gli individui più sani. I ricercatori volevano verificare se esse fossero tollerabili anche per individui con un quadro medico complesso, e a chi fosse del tutto sconsigliabile intraprendere un viaggio spaziale.
«Sulla base dei risultati ottenuti» aggiunge la dottoressa Blue «possiamo dire che, anche in presenza di patologie croniche significative, il sogno di volare nello spazio è praticamente alla portata di tutti». Magari con un medico a bordo, come nella serie di fantascienza Star Trek, in cui il dottor McCoy accudiva l’equipaggio dell’astronave e i vari passeggeri occasionali con la massima tranquillità. La realtà in questo caso anticipa di molto la fantascienza, secondo quanto immaginato dagli sceneggiatori di Star Trek il dottor McCoy nascerà soltanto il 20 gennaio 2218!