Era un incontro ravvicinato atteso da tempo anche se è durato appena un minuto. Protagonisti la sonda europea Rosetta e l’asteroide Lutetia. Un minuto può sembrare poco ma è bastato per riprendere le immagini e i dati necessari a svelare i segreti di questo curioso asteroide lungo 130 chilometri. Le immagini ci hanno mostrato un corpo roccioso dalla superficie tormentata, piena di crateri: segno dei molti impatti che ha subito con altri suoi simili nel corso degli oltre 4 miliardi di anni di esistenza.
Riprese così dettagliate sono state possibili grazie a uno degli strumenti di bordo, la camera per immagini Osiris. Principale responsabile dello strumento è il professore Cesare Barbieri del Dipartimento di Astronomia dell’Università di Padova. A lui abbiamo chiesto che cosa sta emergendo dalle immagini:
“In effetti le prime immagini che sono arrivate a Terra già sabato notte ma che stiamo analizzando on attenzione ora, mostrano una superficie molto variegata come struttura. Sembrano esserci terreni molto craterizzati, il che vuol dire che hanno un’età molto più lunga rispetto ad altri terreni che sembrano essere quasi privi di crateri. Vediamo addirittura delle tracce di massi che sono rotolati nei crateri, una cosa veramente straordinaria. Lutetia è dunque un asteroide interessantissimo: i suoi 100 chilometri e oltre di diametro hanno mantenuto sulla superficie tutta una serie di testimonianze su un passato che presumiamo risalga ad almeno 3, 4 miliardi di anni fa.”
Oltre a queste informazioni, quali altri segreti potrebbe svelarci Lutetia?
“Potremmo forse rivelare attorno all’asteroide una sottilissima atmosfera di gas e di polveri. Se la trovassimo sarebbe la prima volta che un asteroide così piccolo mostra tracce di un’ atmosfera che invece proprio noi abbiamo trovato sulla Luna e su Mercurio. L’asteroide potrebbe anche avere uno o più piccoli satelliti: al momento non li abbiamo ancora visti ma li stiamo cercando.”
IO MI FACCIO SPINGERE!
IKAROS, il satellite dell’agenzia spaziale giapponese lanciato lo scorso 21 Maggio, va a gonfie vele. E’ proprio il caso di dirlo perché, una volta in orbita, ha davvero spiegato le vele: grandi fogli molto sottili studiati apposta per sfruttare la radiazione solare. Anche la luce che ci colpisce esercita su di noi una piccola pressione e nello spazio questo effetto può essere sfruttato per farsi spingere. L’idea non è nuova ma i tentativi fatti dai predecessori del satellite giapponese non sono mai andati a buon fine. Ora IKAROS è riuscito non solo ad aprire le sue delicate vele senza che niente si inceppasse, ma anche a ricevere quella spinta prevista dalla teoria. L’accelerazione ricevuta dal satellite è pari a circa un decimo di quella a cui è soggetto un corpo in caduta libera, sulla Terra. Questo tipo di propulsione economico e pulito potrà essere senz’altro sfruttato e perfezionato nel corso di missioni future.
LARGO AI PIÙ PICCOLI
E’ finita l’epoca dei satelliti grandi come autobus: più sono ingombranti e più tempo e denaro sono necessari per mandarli in orbita. Come succede per computer portatili e cellulari, anche la tecnologia satellitare tende a farsi sempre più piccola. Ed ecco che oggi CubeSats è lo standard mondiale per i piccoli satelliti che non hanno nulla da invidiare ai grandi. Sono dei cubi di appena 10 cm di lato, e li si può tenere in una mano. Le pareti sono dei pannelli solari e al loro interno si trova la strumentazione scientifica. Così piccoli da poter chiedere passaggi ad altre missioni, questi satelliti vengono sfruttati per una grande varietà di obiettivi: dagli studi ambientali ai test sui sistemi di volo spaziali. La NASA intende favorirne la messa in orbita per dare anche le università che fanno ricerca spaziale l’opportunità di avere il proprio mini satellite.