Raramente capita di studiare una singola stella, poiché si presta maggiore attenzione alle strutture che sono in grado di formare. C’è da dire che quando le stelle si raggruppano riescono a creare scenari mozzafiato, in grado di competere anche con la più luminosa delle nebulose. L’immagine scattata dal telescopio spaziale Hubble raffigura l’ammasso di stelle denominato Trumpler 14, uno dei più grandi gruppi di stelle calde, massicce e brillanti presenti nella Via Lattea.
L’immagine dell’ammasso stellare Trumpler 14 è stata scattata dal telescopio spaziale Hubble. L’ammasso è uno dei più grandi e giovani della Via Lattea e ospita alcune delle stelle più luminose di tutta la nostra galassia. Crediti: NASA/ESA, Jesús Maíz Apellániz (Instituto de Astrofisica de Andalucia)
Ad oggi conosciamo circa 1.100 ammassi aperti all’interno della nostra galassia, anche se si ritiene ne esistano molti di più. Trumpler 14 appartiene a questa categoria di oggetti celesti, e si trova a circa 8.000 anni luce di distanza da noi, in direzione della Nebulosa della Carena.
Con un’età di ‘appena’ 500.000 anni, una piccola frazione rispetto ai 115 milioni di anni delle Pleiadi, Trumpler 14 è uno degli ammassi più popolati e giovani all’interno della Nebulosa. Tuttavia, sta rapidamente recuperando il tempo perso, e forma stelle a un tasso altissimo, regalando un aspetto spettacolare all’ambiente che lo circonda.
Questa regione dello spazio ospita una delle concentrazioni più alte di stelle massicce e luminose di tutta la Via Lattea. Tali stelle stanno compiendo il proprio destino sotto ai nostri occhi, consumando l’idrogeno a loro disposizione, e avvicinandosi a grandi passi al loro gran finale: una drammatica e intensa esplosione come supernovae. Nel frattempo stanno avendo un impatto notevole sul gas nei loro dintorni, creando delle vere e proprie onde.
Questa immagine è stata ottenuta componendo riprese con diversi filtri e puntando sulla Nebulosa della Carena il telescopio MPG da 2.2 metri dell’ESO a La Silla, in Cile. All’interno del cerchio rosso si trova l’ammasso aperto Trumpler 14. Crediti: ESO
Le particelle lanciate ad alta velocità dalla superficie delle stelle, infatti, creano un intenso vento nello spazio circostante. Tale vento si scontra con il materiale che trova lungo il cammino, provocando la formazione di onde d’urto, che riscaldano il gas fino a temperature pari a milioni di gradi, innescando l’emissione di raggi X. Questi venti stellari possono interagire con le nubi di gas e polveri nelle vicinanze, dando il via alla formazione di nuove stelle.
La nube visibile nella parte inferiore dell’immagine, con la forma arcuata, potrebbe essere dovuta a un vento di questo tipo, a seguito dello shock creato della stella denominata Trumpler 14 MJ 218. Gli astronomi hanno osservato con attenzione questa stella, scoprendo che si muove nello spazio a circa 350.000 km/h e plasma con il suo passaggio la forma di gas e polveri che la circondano.
Gli scienziati ritengono che l’ammasso Trumpler 14 contenga all’incirca 2000 stelle di differenti taglie, che vanno da una frazione a diverse decine di volte la massa del Sole. La stella più brillante dell’ammasso è la supergigante HD93129a, una stella di tipo spettrale O (le più calde e grandi dell’Universo), che è circa due milioni e mezzo di volte più luminosa del Sole, e ha una massa 80 volte superiore. HD93129a è una delle stelle più brillanti e calde di tutta la Via Lattea.
DECaLS: l’Universo è online
La galassia lontana lontana è finalmente a portata di mano. E non c’è bisogno di un pericoloso salto nell’iperspazio per raggiungerla. È più che sufficiente avere una buona connessione internet.
Si chiama DECaLS (Dark Energy Camera Legacy Survey) la nuova mappa 3D dell’Universo, interamente navigabile online e che raccoglie la bellezza di 40 milioni di galassie e oltre 2,5 milioni di quasar. Grazie alle immagini a risoluzione 520 megapixel della Dark Energy Survey Camera si raddoppiano le dimensioni dell’Universo perlustrabile rispetto alla prima versione del progetto DESI (Dark Energy Spectroscopic Instrument) rilasciata lo scorso maggio.
DESI è stato concepito per migliorare la comprensione e il ruolo che ha l’energia oscura nell’espansione dell’Universo. Gestito dal dipartimento Energia del Lawrence Berkeley National Laboratory, Stati Uniti, California, si sta adoperando alla costruzione del telescopio da 4 metri Mayall, presso il Kitt Peak National Observatory. L’obiettivo è ottenere una nuova mappatura 3D dell’Universo a una risoluzione senza precedenti, partendo dai “cieli” più vicini per raggiungere una distanza di 12 miliardi di anni luce.
Tutti i dati e le immagini raccolte sono comodamente fruibili da remoto, grazie a un software sviluppato da Dustin Lang, ricercatore dell’Università di Toronto, Canada. Attualmente DECaLS triplica in profondità le mappe della survey precedente, la Sloan Digital Sky Survey, e ampliano a un terzo del cielo l’area sottoposta a indagine.
«L’ultima versione di DECaLS raccoglie circa 370 milioni di oggetti fra stelle e galassie», spiega David Schlegel, co-responsabile del progetto al Berkeley Lab. «Quando avremo finito con il lavoro (presumibilmente nel 2018) avremo un paio di miliardi di oggetti con immagini in tre diverse bande di colore». Una profondità di dieci volte maggiore alla Sloan Digital Sky Survey.
Intanto, parallelamente allo sviluppo del progetto, procede il lavorio degli astrofisici per sviluppare algoritmi matematici buoni per identificare automaticamente gli oggetti “fotografati” nelle immagini raccolte.
L’interfaccia di Galaxy Zoo. Crediti: www.galaxyzoo.org
«Le immagini in RAW sono già disponibili a tutti e il codice che stiamo utilizzando è open source», spiega Schlegel. «Mi sembra corretto, dal momento che le risorse che ci consentono di lavorare al progetto arrivano direttamente dai contribuenti».
C’è un mondo di immagini tutto da studiare e potrebbe tornare utile il contributo della piattaforma di citizen science Galaxy Zoo, che da anni si avvale di bravi volontari e appassionati di scienza in collaborazioni con ricercatori e università. La piattaforma ha già importato un primo lotto di circa 30.000 galassie fra quelle “fotografate” da DECaLS, con l’obiettivo di raccogliere qualcosa come 1,2 milioni totali di classificazioni (40 per ogni galassia).
Planet Nine: tracce d’un nono pianeta
Nessuno l’ha mai visto, non ancora. Ma i due ricercatori che hanno firmato lo studio, Konstantin Batygin e Mike Brown del Caltech – il Californian Institute of Technology – assicurano che le prove, questa volta, ci sono. Prove di cosa? Dell’esistenza, niente meno, d’un nuovo pianeta ai confini del Sistema solare.
Battezzato in fretta e furia “Planet Nine”, il nuovo arrivato – se davvero ne sarà confermata l’esistenza, il condizionale è più che mai d’obbligo – non sarebbe un oggettino in bilico fra grosso asteroide e pianeta nano, tutt’altro: se i calcoli sono corretti, parliamo di un mondo extra-large, un gigante con una massa pari a grosso modo 10 volte quella della Terra. Insomma, un mondo la cui stazza è assai più simile a quella d’Urano o Nettuno che non a quella del declassato Plutone.
«Questo sarebbe un vero e proprio nono pianeta. Dall’antichità a oggi sono stati scoperti solo due veri nuovi pianeti», sottolinea Brown, «e questo sarebbe il terzo. Si tratta di un tassello piuttosto importante del nostro Sistema solare che ancora ci sfugge, il che è alquanto eccitante».
Un mondo remoto in tutti i sensi, questo Planet Nine: la sua orbita sarebbe circa 20 volte più lontana dal Sole di quanto non sia quella di Nettuno (che pure viaggia alla bellezza di circa quattro miliardi e mezzo di km di distanza dalla nostra stella), e un anno, lassù, durerebbe fra i 10 e i 20 mila anni terrestri.
Le anomale orbite (in viola) dei sei oggetti della Fascia di Kuiper analizzate dai ricercatori potrebbero essere spiegate dall’esistenza di Planet Nine, la cui ipotetica orbita è qui tracciata in giallo. Crediti: Caltech/R. Hurt (IPAC)
Ma se ancora nessun telescopio è riuscito a individuarlo, di che prove stiamo parlando? Dei risultati di modelli matematici e simulazioni al computer, spiegano i due ricercatori. Modelli messi a punto per spiegare le orbite anomale di alcuni oggetti osservati nella Fascia di Kuiper, sei in particolare (vedi immagine qui sopra). Costretti via via a escludere ipotesi meno rivoluzionarie (come, per esempio, la presenza di un corpo di dimensioni minori), a Batygin e Brown, per far tornare i conti, non è rimasto che prendere in considerazione l’ipotesi di un pianeta gigante. E i conti hanno cominciato a tornare.
«Benché all’inizio fossimo alquanto scettici circa la possibilità che questo pianeta potesse esistere, continuando a indagare la sua orbita e a valutare cosa significherebbe per il Sistema solare esterno, ci siamo sempre più convinti che sia proprio là fuori», dice Batygin. «Per la prima volta in oltre 150 anni, ci sono prove solide secondo le quali il censimento planetario del Sistema solare è incompleto».
Lo studio è uscito oggi su Astronomical Journal, e la palla passa ora ai telescopi, a partire dai giganti hawaiiani della classe 10 metri, Keck e Subaru. «Certo, sarei entusiasta di trovarlo», confida Brown a proposito del “suo” pianeta, «ma sarei comunque felicissimo anche se a trovarlo fosse qualcun altro. È per questo che abbiamo pubblicato il nostro articolo: speriamo che altre persone ne traggano ispirazione per mettersi a cercare».
Lo studio, come dicevamo, è appena uscito. Promettiamo di approfondirlo meglio domani, sempre qui su Media INAF, con qualche dettaglio in più e con l’aiuto di esperti dell’INAF.
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