L’impatto è avvenuto, ma ha deluso. Ecco in sintesi la reazione dopo che il razzo Centaur, seguito dalla sonda Lunar Crater Observation, si è schiantato dentro un cratere lunare. Un’operazione necessaria per scoprire eventuale presenza di ghiaccio d’acqua. Pubblicizzata in grande stile dalla NASA, si è però rivelata un mezzo flop, non per gli scienziati ma per stampa e curiosi.
La collisione del razzo avrebbe infatti dovuto generare un intenso bagliore, visibile e quindi analizzabile anche dai telescopi a terra. Invece, a malapena la sonda che loseguiva ha visto una flebile luce. Probabilmente il razzo ha colpito un punto dove il suolo è roccioso e compatto, sollevando così molta meno polvere di quanto ci si aspettasse. E producendo un impatto poco spettacolare, per la delusione di giornalisti e appassionati.
In ogni caso l’obiettivo della missione è stato raggiunto. Adesso si tratta di analizzare la quantità impressionante di dati raccolti, così numerosi da tenere impegnati i ricercatori per due mesi. Solo allora sapremo se all’ombra dei crateri lunari, a pochi centimetri di profondità, c’è ghiaccio d’acqua. Un’informazione fondamentale per la NASA: avere l’acqua a disposizione sul posto, semplificherebbe la realizzazione della prima base lunare permanente. Ma se il ghiaccio non ci fosse, la Luna potrebbe essere messa da parte, a favore dello sbarco dei primi uomini su Marte o su di un asteroide.
APOPHIS
Anche se il 13 aprile 2036 non è dopodomani, possiamo già cominciare a tirare un lungo sospiro di sollievo. Alla luce di nuovi calcoli, l’eventualità che in quella data un asteroide largo circa 300 metri possa colpire il nostro pianeta è sempre più lontana. Osservazioni recenti effettuate sulla sua orbita fanno scendere le probabilità di un impatto da 1 su 45’000 a 1 su 250’000. C’è quindi da stare tranquilli e Apophis, questo il nome dell’asteroide, lo si può considerare un visitatore gradito, non più una minaccia. Quello del 2036, infatti, non è il solo passaggio ravvicinato previsto: l’asteroide arriverà dalle nostre parti anche qualche anno prima, nel 2029, e qualcuno più tardi, nel 2068. L’ipotesi di un impatto nel 2029 era già stata scartata da qualche tempo, mentre per il 2068, stando ai calcoli della NASA, le probabilità sono inferiori a 1 su 300’000. Il nome di Apophis non è più sinonimo di pericolo ma di opportunità. Osservarlo e studiarlo da vicino permetterà ai ricercatori di conoscere più a fondo la natura degli asteroidi.
LA NASA E LA FINE DEI MAYA
Anche la NASA indaga sui Maya. La fine della civiltà che per 1200 anni dominò il centro america è infatti diventata argomento di studio per un gruppo di ricercatori finanziati dall’agenzia spaziale americana. Stando ai risultati ottenuti, non serve ricorrere a ipotesi fantasiose: i Maya si sarebbero involontariamente autodistrutti. E’ stato stabilito che intorno all’epoca della scomparsa, quelle regioni dell’america siano state colpite da una devastante siccità. Questo fenomeno, nelle ipotesi dei ricercatori, può essere legato a una insistente e incontrollata attività di deforestazione da parte dei Maya. Le simulazioni effettuate al computer, sfruttando due modelli collaudati per i cambiamenti climatici, confermano il legame deforestazione-siccità mostrando che in assenza di alberi la temperatura aumenta fino a 5 gradi mentre le piogge diminuiscono del 30%. Di certo, la siccità può essere stata solo una delle cause della fine, ma ha sicuramente aggravato problemi sociali già esistenti. Per saperne di più si indaga sulle rovine scoperte in tempi recenti grazie ai satelliti agli infrarossi. Con simulatori climatici e osservazioni dall’orbita, la tecnologia spaziale si dimostra ancora una volta di grande aiuto, anche per indagare sul passato.