Il cast non è esattamente di quelli da produzione hollywoodiana, essendo interamente formato da molecole d’azoto. Per di più freddissime: appena 6 gradi sopra lo zero assoluto. E nemmeno la sceneggiatura si può dire che avvinca, visto che le suddette molecole altro non fanno se non ruotare su sé stesse. Però vi garantiamo che non correrete il rischio d’annoiarvi: il film racconta 0.013 miliardesimi di secondo della loro esistenza. Riprodotta a un rallenty esasperante (oltre duemila miliardi di volte), è vero. Ma il risultato finale, titoli di coda esclusi, è comunque contenuto: appena 33 terminabilissimi secondi. Pensate di poter resistere? Allora eccolo qui, in anteprima mondiale:
Questa originale pellicola, che potrebbe tranquillamente intitolarsi Quantum rotation: the movie (in realtà, il titolo scelto dai “produttori” è un austero the movie), è appena uscita sulle pagine di Nature Advances. A realizzarla, negli studios del Tokyo Tech e dell’Institute for Molecular Science di Okazaki, entrambi in Giappone, un team di fisici sotto la regia di Kenta Mizuse.
Quello che mostra, per la prima volta al mondo, è l’immagine diretta, e ad alta risoluzione, di pacchetti d’onda rotazionali (rotational wave packets) a direzione controllata in molecole d’azoto. Non sarà semplice, ma proviamo comunque a capirne un po’ di più. In meccanica quantistica, un pacchetto d’onda è il risultato di una somma di onde, e viene usato per rappresentare una particella. Semplificando, possiamo dire che la particella ha maggiori probabilità di trovarsi laddove l’ampiezza del pacchetto d’onda è maggiore. I pacchetti d’onda rotazionali rappresentano gli stati di moto (velocità e direzione), variabili nel tempo, d’oggetti in rotazione. Oggetti microscopici: nel nostro caso, appunto, molecole d’azoto.
Controllate come? Anzitutto, per allinearle, Mizuse e colleghi le hanno colpite con un impulso prodotto da un laser allo zaffiro di titanio: evento che avviene nel video all’istante zero (634 femtosecondi dopo l’inizio, quando si vede apparire la freccia verde verticale). Poi, per farle ruotare nella direzione voluta (in senso antiorario), dopo altri 4000 femtosecondi (freccia verde inclinata, a rappresentare un angolo di polarizzazione di 45 gradi) le hanno colpite di nuovo.
Le tre immagini mostrano gli effetti di queste azioni, nel corso del tempo, sulla probabilità d’orientamento delle molecole. Cominciando dalla destra, abbiamo un’animazione nella quale il valore di questa probabilità è rappresentato dall’opacità dei dischetti. Al centro, il diagramma polare delle probabilità angolari osservate. E a sinistra il film vero e proprio: l’immagine diretta degli ioni d’azoto che formano le molecole.
Immagine ottenuta certo non con una pellicola. Per catturare l’orientamento delle molecole, i ricercatori hanno dovuto far ricorso alla tecnica dell’esplosione coulombiana: usando sempre lo stesso laser, hanno cioè ionizzato gli atomi d’azoto (ecco il perché degli ioni di prima), inducendo così rapidissimi fenomeni esplosivi che l’apparato sperimentale costruito ad hoc è stato in grado di registrare. Con una risoluzione temporale che nemmeno la più estrema delle GoPro potrebbe mai sognarsi: ogni fotogramma dura infatti 33 femtosecondi, vale a dire 33 milionesimi di miliardesimo di secondo.
Insomma, non sarà al livello d’un film di Kubrick, ma quanto a ossessione per le sfide tecnologiche al limite dell’impossibile ci va vicino. Tutto per vedere qualche molecola ruotare, dite? Ebbene, in realtà quello che si intravede è qualcosa di più: ciò che i fisici giapponesi hanno immortalato è la natura ondulatoria esibita da queste molecole in rotazione, dovuta al fatto la scala del fenomeno è talmente piccola da comportarsi secondo le bizzare leggi della meccanica quantistica. La speranza dei ricercatori è che la tecnica da loro sperimentata apra le porte a possibilità di manipolazioni a livello molecolare fino a oggi mai esplorate. Per arrivare, per esempio, a creare veri e propri cronometri molecolari ultraveloci.
La pulsar e la gigante blu faranno scintille
L’appuntamento è previsto a primavera del 2018, ma gli astrofisici di tutto il mondo sono già in fibrillazione. E hanno tutte le ragioni per esserlo. Quello che attendono è l’incontro ravvicinato tra due oggetti celesti davvero estremi: una pulsar e una tra le stelle più brillanti della nostra Galassia. Un evento che, sono sicuri, produrrà uno spettacolo unico, generando una enorme quantità di energia, soprattutto sotto forma di radiazione elettromagnetica. E per non perdere questo spettacolo, stanno già pianificando in dettaglio una estesa campagna di osservazioni con i migliori telescopi dallo spazio e a terra, dalle onde radio alla luce visibile, fino nella banda dei raggi X e gamma.
La pulsar, denominata J2032+4127, o più brevemente J2032 è ciò che rimane di una stella massiccia che, alla fine del suo ciclo evolutivo, è esplosa come una supernova. Distante da noi circa 5.000 anni luce, è una sfera di materia iperdensa e magnetizzata, che nel diametro di appena 20 chilometri contiene una massa quasi due volte quella del nostro Sole e che ruota su sé stessa 7 volte ogni secondo. La combinazione del suo intenso campo magnetico e del suo veloce moto rotatorio produce due fasci di radiazione che si allontanano da essa in direzioni opposte, come la luce di un faro, e possono essere captati quando incontrano la nostra linea di vista. Di solito gran parte delle pulsar vengono scoperte con osservazioni nelle onde radio, ma J2032 è stata identificata nel 2009 dall’osservatorio spaziale Fermi della NASA grazie allo strumento LAT (Large Area Telescope) che osserva il cielo nei raggi gamma.
Una volta nota la sua posizione grazie alla sua emissione di alta energia, la pulsar è finalmente stata individuata anche nelle onde radio. Un gruppo di ricercatori del Jodrell Bank Centre for Astrophysics a Manchester, nel Regno Unito, ha monitorato la pulsar per ben quattro anni, dal 2010 al 2014. Scoprendo qualcosa di strano. «Abbiamo registrato anomale variazioni nella velocità di rotazione e nell’andamento con cui la rotazione diminuisce, un comportamento che non era mai stato osservato in tutte le altre pulsar isolate» dice Andrew Lyne, professore di Fisica all’Università di Manchester, primo autore di un articolo su J2032 pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical society. «Alla fine, abbiamo capito che queste peculiarità erano dovute al moto della pulsar attorno ad un’altra stella. Dunque ci troviamo di fronte a un sistema binario di cui uno dei componenti è una pulsar, che ad oggi è quello con il più lungo periodo orbitale noto».
Via libera: Plutone, sto arrivando!
‘All clear’, tutto libero sulla rotta della sonda New Horizons. Dopo sette settimane di attente ricerche per eventuali nugoli o anelli di polvere, piccole lune, o altri potenziali rischi che potessero danneggiare la navicella – per la quale, vista la velocità superiore ai 50.000 kilometri all’ora, una singola particella grande quanto un chicco di riso potrebbe essere letale –, il team della sonda NASA ha deciso che non era necessario deviare la traiettoria già prevista per raggiungere Plutone e le sue lune, da cui la sonda dista ora solo 15 milioni di kilometri.
«Per la maggior parte di noi, non avere trovato nuove lune o anelli di polvere è stata un po’ una sorpresa dal punto di vista scientifico», ha dichiarato Alan Stern del Southwest Research Institute (SwRI), responsabile scientifico di New Horizons. «Comunque, c’è di buono che non abbiamo dovuto accendere i motori per stare alla larga da potenziali pericoli, ricevendo dalla NASA il ‘go’ per la migliore tra le traiettorie pianificate per l’incontro con Plutone».
Stabilmente avviato verso la sua meta grazie a un’ultima, breve, accensione dei propulsori ordinata dal centro di controllo lo scorso 28 giugno, questo proiettile scientifico avrà il suo mezzogiorno di fuoco fra una decina di giorni, precisamente martedì 14 luglio 2015 alle 11:49:57 UTC.
Immagine ottenuta dalla combinazione di diverse esposizioni della camera LORRI effettuate il 26 giugno 2014. Nessuna luna sconosciuta vi compare. Crediti: NASA/JHU-APL/SwRI
Nelle ultime immagini valutate, ottenute con la fotocamera telescopica Long Range Reconnaissance Imager (LORRI), sono visibili Plutone e tutte le sue cinque lune conosciute, ma nessun anello, nessun corpo potenzialmente pericoloso. Se da una parte gli scienziati tirano un sospiro di sollievo, dall’altra rimane una punta di rammarico per non avere scoperto nessuna nuova luna da esaminare.
Pazienza, «New Horizons ha già sei meravigliosi oggetti da analizzare in questo incredibile sistema», ha commentato John Spencer, sempre del Southwest Research Institute, a capo del gruppo di valutazione del rischio di New Horizons.
Nel frattempo, il Sistema di Plutone diventa sempre più chiaro alla vista. In nuove immagini, ottenute dalla combinazione di immagini in bianco e nero con altre riprese a colori di più bassa risoluzione, il misterioso pianeta nano mostra di avere due facce piuttosto differenti. Una faccia presenta alcune interessanti macchie scure, del diametro di circa 500 kilometri, uniformemente distribuite lungo la linea equatoriale. Questi spot hanno attirato la curiosità degli scienziati soprattutto a causa della loro apparente regolarità in quanto a dimensioni e spaziatura.
Immagini a colori di Plutone e di Caronte ottenute componendo immagini in bianco e nero con riprese a più bassa definizione ma a colori. A sinistra, la faccia di Plutone che sarà visibile il giorno del fly-by. Nell’altra faccia, a destra, si notano delle macchie scure allineate sull’equatore. Crediti: NASA/Johns Hopkins University Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institute
«Non abbiamo idea di cosa siano queste macchie. Naturalmente, non vediamo l’ora di scoprirlo», ha confessato Alan Stern. «Un altro fatto misterioso è la perdurante e considerevole differenza nei colori e nell’aspetto di Plutone rispetto alla sua più scuro e più grigia luna, Caronte».
Lo spettrometro infrarosso Ralph di New Horizons ha rilevato metano su Plutone, indicato in rosa nell’immagine in falsi colori nel riquadro. Crediti: NASA/Johns Hopkins Applied Physics Laboratory/Southwest Research Institute
Le nuove immagini a colori, che raffigurano complessivamente circa la metà della superficie di Plutone, sono molto vicine a quello che vedrebbero gli occhi di un ipotetico passeggero terrestre a bordo di New Horizon. Il naso dello stesso passeggero comincerebbe invece a sentire odore di metano, ma solo ed esclusivamente affidandosi alle narici tecnologiche di Ralph, lo spettrometro infrarosso di cui è equipaggiato New Horizons. Proprio in questi giorni, infatti, Ralph ha rilevato la presenza di metano ghiacciato sulla superficie di Plutone. Al contrario di quello terrestre, si tratta di un metano primordiale, abiotico, proveniente dalla nube attorno al Sole da cui sono emerso i corpi del sistema solare, circa 4,5 miliardi di anni fa.
«Sapevamo che doveva esserci metano su Plutone, ma questo è il nostro primo vero rilevamento», ha spiegato Will Grundy, del Lowell Observatory di Flagstaff. «Presto sapremo se ci sono differenze nella presenza di ghiaccio di metano tra una parte e l’altra di Plutone».
Una delle soddisfazioni maggiori per gli scienziati di New Horizons sarà vedere l’alba. O, meglio, la luce solare che filtra attraverso l’atmosfera di Plutone. Nessun romanticismo: servirà per determinare la composizione atmosferica del pianeta nano.
«Sarà come se dietro Plutone fosse piazzata una lampada da un milione di miliardi di watt», ha spiegato Randy Gladstone, ancora del Southwest Research Institute. Per prepararsi a questa unica, irripetibile, scena madre in controluce, gli scienziati responsabili di Alice – lo spettrografo ultravioletto a immagini a bordo di New Horizons che effettuerà l’osservazione – hanno puntato il loro strumento verso il remotissimo Sole. Il diagramma ottenuto servirà come metro di misura, per studiare quali elementi presenti nell’atmosfera di Plutone si interpongano nel flusso dei fotoni solari.