Grazie ai dati raccolti dal satellite Kepler, gli astronomi hanno scoperto migliaia di sistemi planetari extrasolari nella nostra galassia, molti dei quali hanno più pianeti in orbita intorno alla singola stella ospite. Analizzando questi sistemi planetari, i ricercatori dell’Australian National University e del Niels Bohr Institute di Copenhagen hanno calcolato la percentuale di stelle della Via Lattea che potrebbero ospitare pianeti nella zona abitabile. I risultati mostrano che miliardi di stelle potrebbero avere da uno a tre pianeti nella zona abitabile, ovvero dove è possibile trovare acqua allo stato liquido. Questo lavoro è stato pubblicato sulla rivista scientifica Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.
L’immagine mostra uno schema delle diverse zone abitabili (indicate in verde) per stelle di diversa massa e temperatura.
I pianeti che orbitano vicino alle proprie stelle avrebbero temperature troppo alte per ospitare la vita, così per scoprire se all’interno di quei sistemi è possibile trovare pianeti nella zona abitabile, un gruppo di ricercatori della Australian National University e del Niels Bohr Institute dell’Università di Copenaghen ha effettuato calcoli basati su una versione rivisitata di un metodo di 250 anni fa: la legge di Titius-Bode.
La legge di Titius-Bode risale circa al 1770 e ha permesso di calcolare la posizione di Urano prima che venisse scoperto. La legge stabilisce che esiste un rapporto preciso fra i periodi orbitali dei pianeti in un sistema planetario. Ovvero il rapporto tra il periodo orbitale del primo e del secondo pianeta è uguale al rapporto tra il secondo e il terzo pianeta e così via. Pertanto, sapendo quanto tempo occorre ad alcuni pianeti per orbitare intorno alla propria stella, è possibile calcolare le orbite di altri pianeti nel sistema planetario. È inoltre possibile valutare se un pianeta ‘manca’ nella sequenza.
«Abbiamo deciso di utilizzare questo metodo per calcolare le potenziali posizioni dei pianeti in 151 sistemi in cui il satellite Kepler aveva già trovato da 3 a 6 pianeti. In 124 di questi sistemi planetari la legge di Titius-Bode fornisce risultati corretti per la posizione dei pianeti, e abbiamo quindi cercato di utilizzarla per prevedere dove potessero trovarsi altri pianeti non ancora osservati. Per questo studio abbiamo selezionato solo i sistemi dove c’è una buona probabilità di poter osservare i pianeti mancanti con il satellite Kepler », dice Steffen Kjær Jacobsen, dottorando del gruppo di ricerca di Astrofisica e Scienze Planetarie presso l’Niels Bohr Institute dell’Università di Copenaghen e co-autore dello studio.
In 27 dei 151 sistemi planetari studiati, i pianeti che erano stati osservati non si adattavano alla legge di Titius-Bode. I ricercatori hanno quindi cercato di collocare i pianeti nelle possizioni previste dal modello, e quindi hanno aggiunto i pianeti che sembravano mancare tra i pianeti già noti. In questo modo hanno previsto un totale di 228 pianeti in 151 sistemi.
«Abbiamo poi selezionato 77 pianeti in 40 sistemi planetari, poiché erano quelli con la più alta probabilità di transitare davanti alla stella ospite, e di essere quindi visti da Kepler. Abbiamo incoraggiato anche altri ricercatori a cercare questi pianeti. Se dovessimo trovarli, sarebbe un’indicazione che la teoria funziona», spiega Steffen Kjær Jacobsen.
I pianeti che orbitano molto vicino ad una stella sono troppo caldi. Di contro, pianeti troppo lontani dalla stella ospite sarebbero troppo freddi. La zona abitabile intermedia, dove c’è la possibilità di presenza di acqua liquida, non si trova ad una distanza fissa. La zona abitabile di un sistema planetario varia a seconda delle dimensioni e della luminosità della stella ospite.
I ricercatori hanno stimato il numero di pianeti nella zona abitabile sulla base dei pianeti aggiunti utilizzando la legge di Titius-Bode, ottenendo un valore pari a 1-3 pianeti per ognuno dei 151 sistemi studiati.A partire da questi 151, ora stanno procedendo ad un ulteriore controllo su 31 sistemi planetari all’interno dei quali erano già presenti pianeti nella zona abitabile o dove è stata necessaria l’aggiunta di un solo pianeta in più.
«I nostri calcoli hanno mostrato che in questi 31 sistemi planetari c’era una media di due pianeti nella zona abitabile ciascuno. Secondo le statistiche e le indicazioni che abbiamo, buona parte dei pianeti presenti nella zona abitabile sarà composta da pianeti solidi, su cui potremmo trovare acqua allo stato liquido e dove la vita potrebbe esistere», afferma Steffen Kjær Jacobsen.
Se poi estendiamo questi calcoli a regioni più vaste, questo risultato indica che solo nella nostra galassia potrebbero esserci miliardi di stelle con pianeti nella zona abitabile.
Steffen Kjær Jacobsen spiega che il prossimo passo sarà incoraggiare altri ricercatori ad analizzare nuovamente i dati Keplero per i 40 sistemi planetari che sembrano ben posizionati per le osservazioni con il satellite Kepler.
A.A.A. Cacciatori amatoriali asteroidi cercasi
Mentre la NASA lanciava una nuova applicazione sviluppata per facilitare la partecipazione ai programmi di osservazione dei cacciatori di asteroidi amatoriali, il cielo della Svizzera, dell’Austria e del nord Italia veniva illuminato da quello che potrebbe proprio essere un asteroide, o meglio la scia dei suoi frammenti in fiamme a contatto con l’atmosfera terrestre.
L’evento per fortuna non ha avuto conseguenze per le persone come avvenne a Chelyabinsk, in Siberia, nel febbraio del 2013, quando i frammenti di un meteorite (o quelli residui dello scontro tra due meteoriti) provocarono una grande onda d’urto e caddero provocando oltre 1000 feriti e, soprattutto, ricordarono a tutti noi che il nostro pianeta è esposto al rischio d’impatto con asteroidi e comete.
Il protagonista dell’avvistamento che ieri sera verso le 20.45 è stato possibile osservare nei cieli del sud della Germania, del Tirolo in Austria e in quasi tutta la Svizzera, si sarebbe poi schiantato a pochi chilometri da Zurigo dopo aver illuminato a giorno la volta celeste per 5-6 secondi prima di toccare terra. Potrebbe essersi trattato di un meteorite, che nonostante gli sforzi congiunti della NASA e dei tanti astrofili che danno man forte al suo programma ha ‘eluso’ la sorveglianza, ma non è escluso che si possa trattare di un frammento di satellite artificiale.
Più appropriato, finché non sarà chiarita la natura dell’oggetto, parlare di bolide, termine con il quale viene definito un oggetto proveniente dallo spazio che precipitando si infuoca in ragione dell’attrito con l’atmosfera terrestre. Il bolide di ieri è stato ripreso in innumerevoli immagini e filmati raccolte grazie alle dash camera delle auto ed ai telefoni cellulari
.
Tutto ciò proprio in contemporanea con il lancio del software per ‘cacciatori di asteroidi’ migliorato che la NASA ha sviluppato grazie a un nuovo algoritmo che aumenterà potenzialmente del 15% le possibilità degli astronomi amatoriali di individuare asteroidi con una semplice applicazione, utilizzabile su un qualsiasi computer. Lo scorso fine settimana nel corso del South by Southwest Festival di Austin, Texas, i delegati NASA hanno discusso dell’argomento e presentato il nuovo algoritmo, sottolineando la grande utilità del lavoro svolto da comuni cittadini-scienziati e di quanto sia stato rilevante il loro ruolo nel programma Asteroid Data Hunter, inserito nell’ambito dell’Asteroid Grand Challenge.
«Questo aumento della potenzialità del sistema aiuterà a valutare in modo più rapido se gli asteroidi osservati siano potenziali minacce, se siano abitabili o se siano ricchi in risorse» , ha detto Chris Lewicki , presidente e ingegnere capo della Planetary Resource Inc., azienda che intende espandere le risorse naturali basilari della Terra sviluppando e dispiegando tecnologie per l’estrazione mineraria da asteroidi.
Gli astronomi individuano gli asteroidi prendendo immagini dello stesso ‘pezzo’ di cielo e cercando oggetti simili a stelle che si muovano tra i fotogrammi, un approccio che è stato usato da prima che venisse scoperto Plutone 1930. Con una pluralità di telescopi a scansionare il cielo, l’enorme volume di dati disponibile rende impossibile per gli astronomi verificare ogni rilevamento. Questo nuovo algoritmo consentirà agli astronomi di usare il computer per controllare autonomamente e rapidamente le immagini e determinare quali oggetti sono adatti per il follow-up.
L’applicazione sviluppata è gratuita e può essere utilizzata su qualsiasi computer fisso o portatile. Gli astrofili potranno esportare le immagini da loro telescopi e analizzarle con l’applicazione che segnalerà all’utente se esiste un record di asteroidi corrispondente e offrendo un modo per comunicare le eventuali nuove scoperte al Minor Planet Center, che provvederà a certificarle ed archiviarle. Attraverso le iniziative dell’Asteroid Grand Challenge la NASA cerca di migliorare la sua attività in corso per l’identificazione e la caratterizzazione di oggetti vicini alla Terra utile per ulteriori indagini scientifiche e per rilevare eventuali situazioni di pericolo da impatto.
Insomma il bolide svizzero, in barba alla NASA e agli astrofili americani, sembrerebbe essersi andato a schiantare a poca distanza dall’LHC.
Negli USA potranno consolarsi usando l’episodio come canovaccio per un nuovo catastrofista film di fantascienza.
Video
Rosetta trova l’azoto molecolare
La missione Rosetta dell’ESA si intasca un altro primato scientifico. Sua infatti la prima misura della presenza di azoto molecolare (N2) in una cometa. Non che l’azoto sia sconosciuto su questi corpi celesti,anzi. Questo elemento chimico è già stato rivelato nella chioma e nella coda di altre comete, ma legato con altre specie a formare vari composti, come acido cianidrico e ammoniaca. L’avere scoperto ora anche la sua variante ‘pura’ allo stato di molecola, ovvero due atomi identici legati insieme, da informazioni assai preziose per chiarire le condizioni ambientali del Sistema solare ancora in fase di formazione, la stessa epoca in cui risale l’origine della cometa 67P/Churiumov/Gerasimenko. Gli scienziati ritengono infatti che l’azoto molecolare fosse la forma di aggregazione più comune di questo elemento all’alba del nostro sistema planetario, soprattutto nelle regioni più periferiche e fredde, oggi il regno dei giganti gassosi, dove lo si trova in abbondanza anche nell’atmosfera di Titano, la maggiore delle lune di Saturno, o nelle atmosfere e nei ghiacci superficiali di Plutone e Tritone, satellite di Nettuno.
I nuovi risultati, che vengono pubblicati in un articolo sull’ultimo numero della rivista Science, sono basati su 138 misure raccolte dallo strumento ROSINA (Rosetta Orbiter Spectrometer cor Ion and Neutral Analysis) a bordo di Rosetta tra il 17 e il 23 ottobre scorso, quando il veicolo spaziale orbitava a circa 10 km dal centro della cometa.
«Identificare le zone dove si trova l’azoto molecolare ci permette di fissare vincoli stringenti sulle condizioni in cui si è venuta a formare la cometa, poiché questo composto richiede molto basse per essere intrappolato nel ghiaccio», dice Martin Rubin dell’Università di Berna, primo autore dello studio.
La cattura di azoto molecolare nei ghiacci presenti nella nebulosa protosolare dovrebbe essere avvenuta a temperature analoghe a quelle richieste per l’intrappolamento di monossido di carbonio. Così, gli scienziati hanno confrontato il rapporto tra azoto molecolare e monossido di carbonio sulla cometa a quello della nebulosa protosolare, come calcolato sul rapporto tra azoto e carbonio misurato su Giove e nel vento solare.
Tale rapporto per la cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko risulta essere circa 25 volte inferiore a quello del valore ricavato per l’ambiente di formazione del Sistema solare. Gli scienziati pensano che questa diminuzione possa essere una conseguenza della formazione di ghiaccio a bassissime temperature nella nebulosa primordiale.
Un altro interessante aspetto legato alla presenza di azoto nella cometa è il ruolo che questi corpi celesti possono aver avuto nel disseminare questo elemento chimico sui pianeti del Sistema solare, Terra inclusa.
«Così come abbiamo indagato per conoscere il ruolo delle comete nel rifornire di acqua la Terra, vorremmo trovare vincoli sul rilascio di altri ‘ingredienti’, in particolare quelli che costituiscono i mattoni della vita, come l’azoto», dice Kathrin Altwegg, sempre dell’Università di Berna, Principal Investigator per ROSINA.
Le indagini condotte, basate sui rapporti sui rapporti di due isotopi dell’azoto, 14N e 15N, indicano però che le quantità di questo elemento nell’atmosfera terrestre non possono essere completamente spiegate attraverso il meccanismo del rifornimento da parte di comete come quella che sta studiando Rosetta.