Rendere verde la superficie del pianeta rosso. Ecco l’ultima, curiosa sfida lanciata dalla NASA, che in meno di un decennio vuole far crescere rigogliose piantine su Marte.
L’obiettivo ha già un nome in codice, MPX, che sta per Mars Plant Experiment, e ha come traguardo il 2021. Data in cui dovrebbe avvenire la “colonizzazione del suolo marziano”, come hanno detto i responsabili del progetto.
E proprio la capacità di far sopravvivere organismi vegetali su un atro pianeta potrebbe essere la chiave per la sua conquista. È quanto afferma Heather Smith, leader di MPX: “Sarebbe il primo passo per creare una base su Marte sostenibile e a lungo termine. Mandiamo i semi e li guardiamo crescere”.
Ma la preparazione per spedire un pacchetto di semi nello spazio e sperare che germoglino non è uno scherzo. I ricercatori della NASA stanno lavorando alla progettazione di una serra altamente tecnologica, che viaggerà a bordo del prossimo rover diretto su Marte.
Quindi nessun buco sul suolo marziano: l’esperimento sarà completamente auto-contenuto, nel senso che la serra farà tutto da sé.
Per questo riceverà un trattamento di riguardo: al prezioso carico di semi sarà riservato un posto su uno dei cosiddetti CubeSat, i mini-satelliti che negli ultimi anni la NASA ha spedito nello spazio a bordo dei razzi. Questa scatola magica conterrà circa 200 semi di Arabidopsis, una piccola pianta fiorita comunemente utilizzata nella ricerca scientifica.
I semi saranno adeguatamente innaffiati non appena il rover toccherà il suolo marziano. Tempo di crescita precisto: due settimane.
“In quindici giorni, avremo una piccola serra su Marte” commenta Smith. E aggiunge che MPX condurrà dei test organici sull’ambiente marziano, in modo da capire come forme di vita terrestri si comportano ad alti livelli di radiazione (circa il 40% più forti rispetto al nostro pianeta).
“Da questo semplice esperimento, arriveremo a una base sostenibile di serre su Marte” conclude Smith. “Questo sarà l’obiettivo finale”. Obiettivo che per la NASA sembra essere davvero prioritario, a giudicare dai fondi investiti in progetti simili. Come il recentissimo Veg-01, che nei prossimi mesi proverà a far crescere germogli di lattuga sulla Stazione Spaziale Internazionale.
Video
Sorridi: sei in diretta dallo spazio
Un’occasione imperdibile per tutti quelli che hanno la testa fra le nuvole. Anzi, sopra le nuvole. Grazie alla NASA è ora possibile ammirare la Terra in alta definizione da un punto di vista ancora migliore di quello degli astronauti. Con il progetto HDEV, infatti, l’ente spaziale statunitense sta sperimentando quattro diverse telecamere HD commerciali, installate all’esterno della Stazione Spaziale Internazionale, per controllare come questi strumenti elettronici reagiscano all’ambiente spaziale, in particolare all’esposizione alle radiazioni cosmiche. Le riprese vengono inviate a Terra, elaborate e trasmesse in streaming in un canale Ustream, visibile a questo indirizzo assieme alla posizione in tempo reale della stazione spaziale.
Se vedete tutto nero significa che la ISS sta attraversando la parte notturna del globo, mentre uno schermo grigio indica problemi di connessione. Certo lo spettacolo non è sempre entusiasmante, se confrontato con gli straordinari video time-lapse che siamo ormai abituati a fruire in rete. Tuttavia, l’emozione di sapere che tutto quanto scorre sullo schermo sta accadendo proprio in questo momento è impagabile. Per i più romantici e pazienti, c’è poi la possibilità di gustarsi un’alba o tramonto ogni 45 minuti, visto che la Stazione impiega 90 minuti per un giro completo attorno al pianeta d’origine.
HDEV non è l’unico progetto di ripresa della Terra a bordo della ISS. L’impresa canadese UrtheCast (pronunciato come Earthcast) ha recentemente installato sul laboratorio orbitante due camere HD, dalle prestazioni assai spinte e dal costo complessivo di 17 milioni di dollari, con l’intento di vendere le immagini ad altissima risoluzione della Terra a istituzioni pubbliche e private. E’ previsto a breve anche uno streaming in tempo quasi reale della prospettiva terrestre attraverso la piattaforma web aziendale che, come assicura il sito web, almeno a livello basico sarà fruibile gratuitamente.
Ecco l’universo virtuale
Un universo virtuale, nel quale una straordinaria quantità di numeri e dati si trasforma in spettacolari immagini di galassie: il modello più completo dell’evoluzione dell’universo racconta con un’accuratezza senza precedenti la nascita delle galassie, avvenuta 12 milioni di anni dopo il Big Bang, e ne ricostruisce l’evoluzione attraverso 13 miliardi di anni. Descritto sulla rivista Nature, l’universo virtuale è il risultato della collaborazione coordinata dal Massachusetts Institute of Technology (Mit).
Il risultato è uno strumento senza precedenti per la cosmologia perché non si limita, come facevano i modelli precedenti, a ricostruire a distanza la ‘ragnatela cosmica’ delle galassie: questo nuovo universo virtuale scende nei dettagli e permette di viaggiare attraverso le popolazioni di galassie ellittiche e a spirale, ne analizza la composizione in modo coerente con i dati finora pubblicati nella letteratura scientifica, ricostruisce la proporzione dei gas presenti nelle diverse epoche dell’universo.
”È la descrizione più realistica delle proprietà delle galassie finora ottenuta”, osserva l’astrofisico Giuseppe Murante, dell’osservatorio di Trieste dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, commentando il risultato. Il modello, spiega l’esperto, ”è il frutto di una simulazione numerica, che integra al computer le equazioni che descrivono l’universo. La traduzione in immagini della simulazione numerica non è stata affatto banale: ”il video scientifico è stato prodotto mentre la simulazione andava avanti e il risultato è spettacolare”, commenta Murante.
È uno strumento unico nelle mani dei cosmologi. Innanzitutto ”è una conferma ulteriore della validità delle attuali teorie cosmologiche”, osserva l’astrofisico. È ”un modello realistico – aggiunge – non soltanto del comportamento della materia visibile (barionica) che si aggrega nel formare le galassie, ma permette di conoscere anche il modo in cui la materia visibile agisce su quella oscura, sei volte più numerosa”. In questo, conclude l’esperto ”conferma il risultato ottenuto in passato anche nell’osservatorio di Trieste”. C’è di più: il modello ”non è una semplice riproduzione dell’universo, ma prevede dove potrebbe trovarsi la materia che non vediamo”.