L’osservatorio orbitante a raggi X della NASA Chandra ci stupisce con una nuova scoperta. Un gruppo di ricercatori, utilizzando anche il radio telescopio Very Large Array (VLA), ha finalmente trovato prove quasi certe della presenza di un potente getto proveniente da Sagittarius A* (Sgr A*), il massiccio buco nero al centro della nostra Via Lattea (almeno 4 milioni di volte più massiccio del Sole). Le scrupolose ricerche sono andate avanti per decenni, usando anche altri strumenti, ma mai finora erano riuscite a confermare tale ipotesi.
Come nascono questi getti? Gli scienziati ritengono che si formino quando del materiale galattico cade al centro del buco nero, che lo respinge all’esterno. Sgr A* è un buco nero che si trova a 26 mila anni luce dalla Terra e, almeno negli ultimi secoli, è poco attivo (vuol dire che ingloba poco materiale) ed è per questo che il getto non è molto visibile ed è debole. Lo studio è stato effettuato dal settembre 1999 al marzo del 2011, con un totale di 17 giorni di esposizione.
I getti di particelle ad alte energie sono stati studiati già in passato e si trovano in tutto l’Universo e sono prodotti da giovani stelle o da buchi neri anche migliaia di volte più grande della nostra galassia. A cosa servono? Trasportano grandi quantità di energia dal centro dell’oggetto e regolano così, in certo senso, la formazione delle nuove stelle in zone limitrofe. Dalle ultime osservazioni si nota che l’asse di rotazione di Sgr A* punta nello stesso verso dell’asse di rotazione della Via Lattera. Questo suggerisce agli studiosi che gas e polvere sono migrati costantemente nel buco nero negli ultimi 10 miliardi di anni.
Il getto produce raggi X rilevati da Chandra e le emissioni radio, invece, sono state catturate dal VLA. Le due prove maggiori dell’esistenza del getto sono una linea retta di raggi X che emette gas puntando verso Sgr A * e un’onda d’urto vista nei dati di VLA, dove il getto sembra scontrarsi col gas. Inoltre, lo spettro di Sgr A * assomiglia a quella dei getti provenienti da buchi neri supermassicci in altre galassie.
Sono piccole, veloci e molto, molto antiche. Le due stelle appena individuate dal gruppo di astronomi guidati da David Pinfield dell’Università di Hertfordshire potrebbero essere tra le più vecchie nane brune della nostra Galassia. Visibili nelle costellazioni dei Pesci e dell’Idra, le nuove scoperte si muovono a circa 100-200 chilometri al secondo, molto più veloci delle stelle normali o delle altre nane brune conosciute. E probabilmente si sono formate più di dieci miliardi di anni fa, quando la Galassia era ancora molto giovane.
Ma la cosa più affascinante è che le due stelle nane potrebbero essere parte di una vasta popolazione di oggetti celesti mai osservati prima d’ora: in questo caso si tratterebbe solo della “punta di un iceberg”, secondo le parole di David Pinfield. Lo scienziato aggiunge: “Le due nane brune sono un intrigante pezzo di archeologia astronomica. Siamo stati in grado di trovarle solo cercando i più freddi e tenui oggetti possibili individuati da WISE”.
WISE sta per Wide-field Infrared Survey Explorer, un osservatorio della NASA che è stato in orbita dal 2010 al 2011, fornendo agli astronomi una miniera preziosa di informazioni. Per questo le due nuove scoperte hanno preso il suo nome: sono state battezzate rispettivamente WISE 0013+0634 e WISE 0833+0052, e la loro presenza è stata confermata anche da diversi telescopi a terra (Magellano, Gemini, VISTA e UKIRT).
La ricerca, pubblicata su Monthly Notices della Royal Astronomical Society, ha coinvolto astronomi di varie parti del mondo. Tra le firme compare anche Catia Cardoso, ricercatrice dell’Osservatorio Astronomico di Torino dell’INAF. “Abbiamo utilizzato alcuni dati provenienti dal telescopio italiano TNG che sono serviti per la classificazione iniziale delle due stelle”, ha detto Cardoso. “Le stelle si muovevano molto velocemente nel cielo, e così abbiamo capito che appartenevano a popolazioni diverse da quelle che osservavamo normalmente.”
Individuare le due nane brune era infatti impresa tutt’altro che scontata: il cielo infrarosso, in cui si muoveva WISE, è pieno di gas nebulosi, polveri e altre galassie molto lontane dalla Via Lattea. Per questo la squadra di Pinfield ha messo a punto un nuovo metodo, che trae vantaggio dal modo con cui WISE scansionava diverse volte la stessa porzione di cielo. Questo ha permesso agli astronomi di individuare le stelle nane, più fredde e dalla luce più tenue degli altri oggetti celesti rilevati. Analizzando gli spettri infrarossi emesse dalle nane brune si è potuta così stabilire l’età della loro atmosfera, composta quasi interamente da idrogeno e non da altri elementi più pesanti, presenti nelle stelle più giovani.
La veneranda età delle due nuove stelle ha confermato una volta di più come il tempo non abbia un valore univoco nell’Universo: “A quanto pare gli abitanti più vecchi della Galassia si muovono più velocemente di quelli giovani”, ha commentato Pinfield.
E’ partita puntuale la sonda Maven della NASA diretta verso il pianeta Marte, alla quale il via libera definitivo al lancio è stato dato solo venerdì scorso dall’ente spaziale americano. Il razzo Atlas V è decollato alle ore 19:28 (ora italiana, 13.28 in Florida) da Cape Canaveral e porterà fin sull’orbita marziana il prossimo settembre la nuova sonda spaziale, che avrà il compito di studiare l’atmosfera e il clima avvenuto sul Pianeta rosso.
La sonda cercherà di scoprire perché una buona parte dell’atmosfera di Marte è volata via in tempi remoti innescando un drastico cambiamento climatico: un pianeta secco ed arido dove un tempo c’era acqua e umidità. L’analisi dei dati raccolti potranno fornire informazioni sul livello di abitabilità del pianeta.
Nel corso del primo anno MAVEN svolgerà la sua missione primaria, lo studio della parte alta dell’atmosfera marziana a tutte le latitudini, ad altezze variabili tra 150 e circa 6.000 chilometri. Scenderà in alcuni casi fino a 125 chilometri sopra la superficie, al limite inferiore dello strato più alto d’atmosfera.
La missione dovrebbe durare circa un anno. Maven, che sta per Mars Atmosphere and Volatile Evolution, è costata 671 milioni di dollari.
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