Microchip ancora più piccoli, veloci ed economici. Saranno prodotti entro il prossimo anno, aumentando le prestazioni di computer, automobili e telefonini senza incidere sul prezzo. Tutto questo grazie alla tecnologia spaziale italiana, sviluppata dall’industria Media Lario.
Negli anni 90, la Media Lario aveva ottenuto l’incarico di costruire degli specchi d’avanguardia da montare a bordo del telescopio spaziale XMM Newton. E’ grazie a questi specchi che il telescopio può studiare ai raggi X l’Universo con un dettaglio senza precedenti. Ora, dopo anni di lavoro, una versione rinnovata degli specchi può essere utilizzata per costruire nuovi microchip.
Gli specchi serviranno per focalizzare i fasci di radiazione ultravioletta utilizzata nella fase di incisione dei chip. Grazie alla loro elevata precisione, permetteranno incisioni ancora più minuziose: i microchip saranno così più piccoli, più potenti e più economici. Questo è solo uno dei tanti risultati ottenuti applicandola tecnologia spaziale alla produzione in serie di oggetti di uso quotidiano, come ci spiega Luigi Lessio, tecnico dell’Istituto Nazionale di Astrofisica:
“Altri esempi oltre a questi microchip sono i led blu colorati delle automobili, che stanno praticamente rivoluzionando e sostituendo il sistema di illuminazione per il loro basso consumo e alto rendimento. Ma penso anche al diaproiettore realizzato con gli specchi deformabili, i cosiddetti micromirror. Queste sono tutte applicazioni nate in ambiente scientifico e in particolare in quello astronomico.”
SULLA VIA DEL RITORNO
La sonda giapponese Hayabusa ha accumulato tre anni di ritardo, ma ora sta finalmente tornando a casa. La sua travagliata avventura spaziale si concluderà a metà giugno. Il suo compito era raggiungere l’asteroide Hitokawa, appoggiarvisi sopra, raccogliere dei campioni di materiale, e tornare indietro per rilasciare sulla Terra la capsula con il prezioso contenuto. Facile come dire “Vado, raccolgo e torno” ma solo a parole, perché ad Hayabusa sono andate tutte storte. Perdita di carburante, batterie che non funzionano, comunicazioni interrotte per mesi e tre dei quattro motori fuori uso hanno decisamente compromesso la missione. Ora manca poco al ritorno, ma bisogna aspettare a cantare vittoria perché qualcosa è andato storto anche sull’asteroide: durante la procedura di raccolta si è verificato l’ennesimo malfunzionamento. Significa che i ricercatori, al momento di aprire la tanto sospirata capsula con i campioni di asteroide, potrebbero anche trovarla vuota!
SCATOLA A VELA
E’ più piccolo di una scatola di scarpe ma ha grandi potenzialità. Si chiama Cube Sail, è un satellite progettato in Inghilterra ed è l’ennesimo tentativo di sfruttare l’idea della vela spaziale. Una volta raggiunti i 700 km di altezza, questa scatola tecnologica, aprirà una specie di grande lenzuolo che misura 5 metri per lato. Una vela che servirà per farsi spingere, non dal vento, ma dalla radiazione del Sole che è in grado di esercitare una pressione. Si tratta quindi di un mezzo propulsivo alternativo ed ecologico, ma non solo: con la giusta orientazione la vela può diventare un efficiente sistema di frenaggio. L’utilità starebbe nel riuscire a porre il satellite in un orbita più bassa, facendolo precipitare e disintegrare nell’atmosfera in tempi brevi, mantenendo il controllo. Sfruttando questa possibilità si potrebbe andare oltre: i satelliti CubeSail potrebbero attaccarsi ai vecchi dispositivi ancora in orbita ma non più funzionanti, la cosiddetta spazzatura spaziale, e trascinarli giù facendo pulizia. Per il momento però ci si accontenta che Cube Sail riesca a spiegare la propria vela senza intoppi, una volta in orbita.