Non servono gli occhiali per vedere le immagini tridimensionali prodotte da un nuovo schermo descritto sulle pagine di “Nature” in un articolo firmato da David Fattal, dei Laboratori Hewlett-Packard di Palo Alto, in California. Lo schermo, che sarebbe particolarmente indicato per i dispositivi mobili, sfrutta la capacità dell’ottica diffrattiva di produrre immagini tridimensionali, sia statiche sia in movimento, che possono essere viste da diversi angoli, anche quando lo schermo viene inclinato.
Tutte le tecnologie per creare immagini 3D sviluppate finora devono fare i conti con il fatto che la visione umana è stereoscopica, o più propriamente stereotassica: i due occhi inviano al cervello una stessa scena nel campo visivo osservata da due angolazioni leggermente differenti, poi nel cervello avviene la combinazione delle due stimolazioni che permette una percezione tridimensionale della realtà.
Logo HP come viene visualizzato dal nuovo display (Cortesia Kar Han Tan)
Quando guardiamo l’immagine proiettata da uno schermo le cose cambiano, perché l’immagine è piatta. Per ritrovare una parvenza di tridimensionalità, le tecnologie per immagini tridimensionali devono proiettare all’occhio destro e all’occhio sinistro due immagini leggermente diverse tra loro, o perché sono polarizzate in modo differente, o perché sono passate attraverso filtri di colori diversi (rosso e verde, tipicamente). Per tutte queste soluzioni è necessario che lo spettatore indossi occhiali speciali, come avviene oggi nei cinema che proiettano film in 3D.
Gli occhiali però sono scomodi in gran parte delle applicazioni, soprattutto se si tratta di dispositivi mobili come smartphone e tablet, che rappresentano attualmente il grosso del mercato dell’elettronica di consumo. Se si vuole farne a meno e sfruttare una tecnologia “autostereoscopica”, la funzione degli occhiali deve essere integrata nello stesso schermo, i cui pixel devono avere un controllo direzionale sulla luce emessa, diversamente da quelli degli schermi per immagini bidimensionali, che inviano la luce in ogni direzione. Questa soluzione è già stata adottata nelle tecniche olografiche, che però sono adatte solo a immagini statiche.
Per quelle in movimento sono già in commercio dispositivi in cui l’immagine dello schermo è filtrata da un secondo schermo trasparente costituito da schiere di minuscole lenti che indirizzano la luce in diverse direzioni. Questo tipo di tecnologia però provoca una perdita di qualità e risoluzione delle immagini.
Microfotografia della superficie del display che mostra i pixel strettamente impacchettati (Albert Jeans)
Fattal e colleghi hanno realizzato un dispositivo, chiamato “Display multiview 3D autostereoscopico”, che sembra risolvere molti di questi inconvenienti, perché ottiene l’emissione direzionale della luce senza perdere di risoluzione. Il dispositivo è costituito da un insieme di diodi a emissione di luce, da una sottile guida d’onda e da un reticolo di diffrazione (uno schema di incisioni su uno schermo trasparente in grado di separare le diverse componenti colorate della radiazione luminosa). Il prototipo può inviare la luce in 14 direzioni diverse, ma la struttura può essere ampliata fino ad arrivare a 64 direzioni, con altrettante zone di osservazione. Questo incremento porterebbe a una riduzione della distanza tra due zone al di sotto della distanza media tra i due occhi, rendendo graduale la variazione delle immagini osservate mentre si cambia posizione, un po’ come avviene con le immagini olografiche.
La tecnica deve essere ancora sviluppata pienamente. Tuttavia i ricercatori sperano in futuro di poter combinare l’ampio angolo di osservazione della tecnologia multiview con le prestazioni degli attuali schermi ad alta risoluzione e con i bassi costi di produzione dell’elettronica di consumo, in modo da arrivare a una visione 3D adatta ai dispositivi mobili, oltre che all’imaging medicale e all’industria del divertimento.