Quaoar potrebbe riscrivere la definizione di pianeta nano e tutto per la sua forma a uovo. Andiamo con ordine: Quaoar è uno tra migliaia di piccoli oggetti di roccia e ghiaccio che orbitano lontano dal Sole, nella cosiddetta fascia di Kuiper. Tra tanti oggetti, quattro di questi hanno ottenuto il titolo di pianeta nano: Plutone, Makemake, Eris e Haumea. Tutti gli altri corpi finora scoperti, più piccoli e dalla forma irregolare, sono classificati come semplici asteroidi. Ci sono però alcune situazioni incerte, come nel caso di Quaoar. E’ grande poco più di 1.000 chilometri e sembra avere tutte le carte in regola per venire classificato pianeta nano. L’unico dubbio è la sua forma: per essere pianeta nano bisogna essere sferici. Peccato che gli ultimi dati ci hanno mostrato che Quaoar assomiglia a un uovo allungato. Ecco allora che alcuni astronomi chiedono di cambiare la definizione di pianeta nano in modo da includere in questa categoria Quaoar e altri casi simili. D’altra parte c’è chi sostiene che la forma sferica deve essere rispettata per evitare che il numero di pianeti nani possa aumentare a decine se non a centinaia.
SATURNO ED ENCELADO
Lo scorso 19 luglio la sonda Cassini, dal 2004 in orbita intorno a Saturno, ha ottenuto un’immagine del pianeta, dei suoi anelli e anche di tutti noi offrendoci una visione della Terra così come appare dalla distanza di circa un miliardo e 400 milioni di Km. Una cartolina suggestiva realizzata in un momento particolare, ma il lavoro della grande sonda (le sue dimensioni sono paragonabili a quelle di un autobus), ha dato frutti che sono maturati nel corso di anni di osservazioni, come nel caso dei geyser di una della lune di Saturno: Encelado. Nel 2005 Cassini rilevò che dal uno dei suoi poli si dipartono getti di acqua ghiacciata e particelle organiche, come pennacchi che si allungano nello spazio. La loro presenza lascia supporre che al di sotto della superficie solida ci sia una riserva liquida, ma per saperne di più è stato necessario monitorarli nel tempo, soprattutto nei momenti in cui Encelado viene a trovarsi alla minima e alla massima distanza da Saturno. Più di 200 immagini ottenute fra il 2005 e il 2012 hanno permesso agli scienziati di tirare le somme, pubblicandole ora in un nuovo studio. Si può dire che l’azione gravitazionale che Saturno esercita, apra e chiuda i “rubinetti” dei geyser che sono più intensi quando la piccola luna è lontana. Diminuiscono invece quando Encelado è più vicino a Saturno: l’azione gravitazionale comprime le spaccature dalle quali fuoriescono i getti, restringendo l’apertura delle faglie. Questo andamento rafforza l’ipotesi della presenza di una cospicua massa di acqua liquida nel sottosuolo.
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Sono trascorsi quasi vent’anni dalla scoperta del primo pianeta extrasolare, e da allora ne sono stati visti a migliaia intenti a transitare innanzi alla loro stella madre. Sempre, però, in luce visibile. Ora per la prima volta, complice un allineamento propizio, il fenomeno è stato rilevato in banda X. Protagonisti di quest’osservazione da record, il pianeta HD 189733b – in orbita attorno a una stella distante da noi 63 anni luce – e i due telescopi spaziali sensibili ai raggi X che hanno assistito al transito: Chandra della NASA e XMM-Newton dell’ESA.
HD 189733b – definito giusto qualche settimane fa, qui su Media INAF, “il pianeta dipinto di blu” – è un cosiddetto “Giove caldo” (il più vicino alla Terra fra quelli conosciuti), ovvero un esopianeta paragonabile, quanto a stazza, al nostro Giove, ma con un’orbita molto più stretta. Per la precisione, la distanza fra HD 189733b e la sua stella è 30 volte più piccola di quella che separa la Terra dal Sole. E un anno, lassù, dura appena 2.2 giorni.
Un’osservazione senza precedenti, dunque, questa messa a segno da Katja Poppenhaeger dello Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics (CfA) e colleghi. Ma soprattutto un risultato che apre la strada a nuove scoperte. Studiare un esopianeta in banda X offre infatti la possibilità di ottenere informazioni preziosissime sulla composizione della sua atmosfera. HD 189733b, proprio per la sua relativa prossimità alla Terra, era già da tempo nel mirino degli astronomi.
Dai dati raccolti con la sonda Kepler e il telescopio spaziale Hubble era emersa la presenza, nella sua atmosfera, di particelle di silicati, responsabili della sua caratteristica colorazione blu. L’osservazione con Chandra e XMM Newton offre ora nuovi indizi sullo spessore e sulla composizione della sua atmosfera. Durante i transiti, i due telescopi spaziali hanno infatti rilevato una diminuzione della luce in banda X tre volte superiore alla corrispondente diminuzione in banda visibile. «I dati a raggi X suggeriscono l’esistenza di strati estesi, nell’atmosfera del pianeta, trasparenti alla luce ottica ma opachi ai raggi X», spiega Jurgen Schmitt, dell’Hamburger Sternwarte (Germania), uno dei coautori dell’articolo in uscita su The Astrophysical Journal. «Tuttavia, per averne certezza, occorrono altri dati».