I confini di un buco nero possono emettere luce: a ipotizzarlo fu il celebre scienziato Stephen Hawking nel 1974. Ora un esperimento condotto da ricercatori italiani sembra dargli ragione. Sia l’ipotesi di Hawking che l’esperimento si basano su un presupposto: il vuoto non è veramente vuoto ma vi sarebbe un continuo apparire di coppie di particelle, una fatta dimateria e l’altra di antimateria.
La loro esistenza dura pochi istanti perché subito si scontrano e si annullano a vicenda. Ma che succede se una coppia appare proprio sulla linea di confine di un buco nero, il cosiddetto orizzonte degli eventi? Una particella si ritroverebbe all’interno del confine, e quindi rimarrebbe intrappolata nel buco nero. L’altra particella, quella all’esterno, sarebbe invece libera di viaggiare. E’ proprio l’insieme di alcune di queste particelle libere a costituire la luce di confine di unbuco nero prevista da Hawking.
Per oltre trent’anni tutto questo è rimasto una semplice ipotesi. Ora, Il recente esperimento condotto in Italia ha dimostrato che la separazione della coppia di particelle può avvenire davvero. E altre conferme stanno giungendo da esperimenti simili. C’è però da dire che la situazione ricreata in laboratorio è molto diversa da quella dell’orizzonte degli eventi di un buco nero. E’ quindi presto per dire che Hawking aveva ragione, anche se l’impressione è che ci abbia visto giusto.
IL QUARTETTO CLUSTER
Cluster è un sistema di quattro satelliti gemelli fra i cui obiettivi c’è lo studio del vento solare, quel flusso di particelle cariche che il Sole emette ininterrottamente nello spazio. Il gruppo Cluster orbita mantenendo una formazione rigida in modo da offrire una visione tridimensionale dei dati che ottiene. Recentemente si sono presentate le condizioni ideali per tenere d’occhio i processi fisici che rendono il vento solare così caldo e turbolento. Sono stati 50 minuti perfetti: i 4 satelliti si trovavano in una regione in cui il vento si presentava omogeneo, erano alla giusta distanza fra loro e in formazione ottimale. In questo modo è stato possibile avere misure 3D delle onde elettromagnetiche in gioco. Il vento solare mostra continue turbolenze su ogni scala, un po’ come succede negli oceani: dalle lunghe correnti, ai vortici di dimensioni grandi e piccole fino a giungere a microscopici mulinelli di particelle cariche che si muovono in circolo. Tuttavia, rispetto alle turbolenze oceaniche, quelle del vento solare sono molto più complicate: il movimento delle particelle cariche genera campi elettrici e magnetici, e c’è un continuo scambio di energia. In questo caos è difficile orientarsi, ma grazie a Cluster si è già fatta un po’ di chiarezza sull’azione “riscaldante” delle onde magnetiche.
PERCHÉ MARTE SI PERDE L’ATMOSFERA?
Continuiamo a parlare di vento solare e del suo probabile coinvolgimento in un caso su cui la NASA indagherà per mezzo di un nuovo satellite, MAVEN. Il caso in questione riguarda un pianeta che si sta perdendo l’atmosfera: Marte. Questa perdita costante del prezioso involucro gassoso avrebbe condannato il pianeta a diventare l’arido mondo deserto che conosciamo oggi. Un tempo Marte avrebbe potuto essere simile alla Terra, ma il progressivo assottigliamento dell’atmosfera non ha permesso all’acqua liquida, se mai c’è stata, di continuare a restare in superficie. Le particelle cariche del vento solare investono anche la Terra, ma la loro azione per così dire “erosiva” deve fare i conti con il campo magnetico del nostro pianeta che funziona come una barriera che protegge e conserva l’atmosfera. Questo non avviene su Marte che, invece, è privo di campo magnetico. Il compito di MAVEN, che raggiungerà il pianeta rosso nel 2014, sarà analizzare con accuratezza l’attuale composizione dell’atmosfera marziana per stabilire come fosse quella di un tempo, indagare sulla passata presenza di acqua e capire se la colpa sia davvero del vento solare o se siano da preferire altre spiegazioni.