Sei ricercatori, in gran parte italiani, e un’idea vincente: realizzare un grande archivio su web, con dentro i risultati ottenuti dalle simulazioni teoriche sull’evoluzione delle stelle. Che l’archivio sarebbe stato utilizzato dai più importanti gruppi di ricerca era prevedibile, vista la facilità d’uso e l’importanza dei dati contenuti. Nessuno si aspettava però che l’articolo scritto per descrivere il lavoro in pochi mesi venisse consultato decine di volte.
Per l’agenzia Thomson Reuters, incaricata di contare il numero di accessi e citazioni delle pubblicazioni su riviste scientifiche, l’articolo si è guadagnato il titolo di “hot paper”, risultando il più consultato a livello mondiale nella categoria delle scienze spaziali. Quando è giunta la comunicazione del riconoscimento, i nostri ricercatori sono rimasti sorpresi: il titolo è molto difficile da ottenere perché viene dato ogni anno solo a sei articoli su un totale di migliaia di pubblicazioni.
Inoltre il lavoro svolto per costruire l’archivio ha richiesto poche risorse e doveva competere con migliaia di altri articoli nati da progetti miliardari. Un aspetto sottolineato dalla coordinatrice del gruppo, Paola Marigo del Dipartimento di Astronomia di Padova associata all’INAF- Istituto Nazionale di Astrofisica:
“La nostra soddisfazione aumenta se si pensa che la maggioranza degli hot papers passati si riferisce a imponenti progetti di ricerca, spesso relativi alla pubblicazione di dati da nuovi satelliti, come ad esempio il recente catalogo del satellite ultravioletto Galex. Questi sono tutti frutto di altissimi investimenti economici: al confronto il nostro è veramente un prodotto a costo zero!”
TAGLIA MEDIA
Sembra che la famiglia dei buchi neri sia più variegata del previsto. Finora eravamo a conoscenza di due soli tipi di buchi neri: quelli di piccole dimensioni, risultato finale dell’evoluzione di certe stelle, e quelli enormi che si trovano nel centro di alcune galassie. Fra questi due estremi, sembra però esserci anche una via di mezzo, una classe intermedia. La scoperta è opera di un gruppo di astrofisici il cui laboratorio ha sede a Tolosa, in Francia. I buchi neri non possono essere osservati direttamente, ma lasciano delle tracce evidenti che permettono di stabilire la loro presenza. Queste tracce, nel caso in esame, sono emissione di raggi X che di certo non proviene dal centro di una galassia, ma nemmeno da un buco nero standard. A produrre questa radiazione sembra essere proprio un buco nero di taglia media, un oggetto in cui fin’ora non ci si era mai imbattuti.
CERVELLO SOTTO CONTROLLO
E’ stato testato un nuovo strumento che permetterà di monitorare la salute cerebrale degli astronauti. Si tratta di un dispositivo che, una volta indossato, manda al cervello deboli impulsi di luce infrarossa. Il segnale inviato viene in parte riflesso e rispedito al mittente. In questo modo è possibile valutare come cambia il flusso sanguigno in rapporto all’attività cerebrale e monitorare così eventuali piccoli traumi ma anche l’insorgere di depressione o semplice affaticamento: tutti disagi che possono compromettere la buona riuscita delle missioni. Questo è stato solo il primo di una lunga serie di test che la NASA ha tutte le intenzioni di effettuare.