Gli studi sui pianeti extrasolari non sono mirati solamente alla ricerca di una “Terra 2.0″ ovvero un pianeta roccioso simile al nostro che orbiti attorno a una stella simile al Sole a una distanza compresa nella cosiddetta fascia di abitabilità. Risultati decisamente interessanti si trovano anche se si va a setacciare il cosmo alla ricerca di mondi esotici, come per esempio i cosiddetti Hot Jupiter, i pianeti gioviani caldi, totalmente assenti nel nostro sistema solare ma relativamente comuni nel resto della Via Lattea.
Dei Giove caldi, della loro origine e della loro natura, sappiamo ancora troppo poco, tanto più che spesso questi esopianeti giganti sembrano avere caratteristiche che sfuggono alla teoria standard della formazione planetaria. Ogni nuovo dettaglio che riusciamo a studiare di un pianeta di questo tipo è quindi un tassello di un puzzle ancora lontano dalla soluzione. Una tessera del rompicapo è stata però appena aggiunta grazie alla scoperta della presenza di vapore acqueo su un Giove caldo, in una ricerca da poco pubblicata su The Astrophysical Journal Letters. Secondo John Carr, ricercatore degli U.S. Naval Research Laboratory e co-autore del paper, “la scoperta di vapore acqueo in questo Giove caldo è un passo importante ed emozionante nella comprensione della composizione di questi pianeti esotici”.Il pianeta preso in analisi dai ricercatori si chiama Tau Boo b, e di particolare non ha solo il nome. È un esopianeta, per l’appunto, grande come Giove ma molto più massiccio, che orbita molto da vicino la sua stella madre Tau Boötis (completa un giro in poco più di tre giorni). Proprio per questa sua vicinanza con Tau Boötis, esaminare le proprietà fisiche e la composizione dell’atmosfera del pianeta non è stato affatto semplice dal momento che ogni rilevazione diretta di Tau Boo b era impedita dalla potente radiazione infrarossa della stella, 10.000 volte superiore a quella del pianeta (un problema comune a tutti i Giove caldi).
La versione di Kaku
Se su Google cercate “fisico teorico” il primo nome che spunta fuori è quello di Michio Kaku, professore di Fisica del City College di New York e autore di successo di libri e programmi TV a tema scientifico destinati al grande pubblico.
Nei panni del divulgatore Kaku ama la spettacolarità (il titolo del suo più grande best seller è La fisica dell’impossibile), non disprezza le strizzate d’occhio alla fantascienza e non si tira indietro se c’è da parlare di viaggi nel tempo e teletrasporto.
Intervistato da NBC NEWS, Kaku dice oggi di stare “segretamente sorridendo” per il fatto che i tanto osannati risultati dell’esperimento BICEP 2 sembrano rendere meno folli le idee e i concetti di cui lui parla da decenni.
Come sappiamo, il team di BICEP 2 ha rilevato la firma della presenza di onde gravitazionali primordiali nella polarizzazione della radiazione cosmica di fondo. Dopo le opportune verifiche, questi risultati potrebbero portare a una conferma decisiva della teoria dell’inflazione. E, secondo Kaku, aprire le porte allo sviluppo di nuove teorie.
“L’inflazione rende tutto deliziosamente complesso”, dice il fisico americano, grande sostenitore dei multiversi, una teoria fisica affascinante ma molto speculativa, sviluppata negli anni Novanta, secondo la quale il nostro universo è solo uno dei tanti. Secondo Kaku i dati di BICEP 2 sono il primo passo per approfondire meglio queste ipotesi: “Ora si apre un vaso di Pandora. La teoria dell’inflazione è come un cavallo di Troia. Apre la porta a molti big bang e molti universi. È questa la natura della teoria quantistica”.
Luca Valenziano, dell’INAF-Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica cosmica di Bologna, spiega che, qualora confermati, i risultati di BICEP 2, “potrebbero implicare l’esistenza di molti universi, con caratteristiche diverse, che per altro potremmo non essere mai in grado di osservare direttamente”. Al di là della spettacolarità legata al personaggio, le osservazioni di Kaku sulle implicazioni teoriche della scoperta di BICEP 2 secondo Valenziano sono dunque condivisibili.
“Uno dei problemi fondamentali della fisica contemporanea è legato al ‘fine tuning‘ di alcune costanti fondamentali che rendono il nostro universo abitabile”, spiega Valenziano. “Ad esempio, l’intensità delle interazioni nucleari forti, se fosse leggermente differente, avrebbe portato al collasso troppo rapido delle stelle o all’impossibilità di sintetizzare gli elementi quali il carbonio, mattoni fondamentali della vita quale noi la conosciamo. Una delle spiegazioni è che questo sia solo uno degli universi possibili: negli altri, generatesi anche nello stesso evento iniziale e separati tra loro da un processo di inflazione, le leggi fisiche potrebbero non aver dato luogo alla possibilità di ‘vita in grado di riflettere’”.
Esistono tuttavia anche altre teorie, spiega Valenziano, secondo le quali ci sarebbero leggi fisiche non ancora individuate in grado però di render conto sia della relazione tra le costanti fisiche osservate sia della grandezza di quei parametri liberi che oggi ricaviamo sperimentalmente e non possiamo dedurre da nessun principio primo.
Quale che sarà la strada giusta, il percorso sembra appena iniziato. “L’inflazione dice semplicemente c’è stato un botto e una rapida espansione, ma non dice cosa ha acceso la miccia”, spiega Kaku a NBC NEWS. “Nessuno è ancora in grado di sapere qual è fusibile”. Il fisico americano si augura tuttavia che possa essere la teoria delle stringhe a fornire la giusta risposta.
Grazie proprio a BICEP e agli altri grandi esperimenti di cosmologia come quello del satellite Planck, i prossimi anni potrebbero portare quindi allo sviluppo di alcuni modelli teorici o al definitivo accantonamento di altri. “Lo studio dettagliato della radiazione di fondo cosmico che è possibile dai dati di Planck potrà fornire ulteriori informazioni per l’interpretazione teorica delle osservazioni”, conclude Valenziano.
Una galassia piccina picciò
E’ un satellite della Via Lattea il nuovo oggetto celeste scoperto dal telescopio VLT Survey Telescope (VST). Si tratta di un pugno di stelle, che molto probabilmente costituiscono una galassia assai piccola, tanto piccola da meritarsi l’appellativo di subnana. La scoperta, resa possibile grazie alle qualità del VST, tra cui il suo grande campo di vista, è apparsa sul Web in un articolo sottomesso per la pubblicazione sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society. Il lavoro porta la firma di un gruppo di astronomi britannici che lavorano nell’ambito della survey pubblica di ESO denominata ATLAS.
“E’ noto da tempo che la Via Lattea è attorniata da galassie satelliti, le più brillanti delle quali sono la Grande e la Piccola Nube di Magellano, visibili magnificamente a occhi nudo dal cielo australe” commenta Massimo Capaccioli, Principal Investigator del progetto VST e membro del Consiglio di Amministrazione dell’INAF. “Solo negli ultimi anni, però, si è capito come utilizzare questi minuscoli gregari per raccogliere informazioni fondamentali sui meccanismi di formazione delle galassie”. Massimo Dall’Ora, ricercatore presso l’INAF-Osservatorio Astronomico di Capodimonte e anche lui impegnato in un progetto per la ricerca di satelliti della Via Lattea nell’altra grande survey pubblica di ESO, la Kilo Degree Survey (KiDS), spiega: “Il trucco è presto detto. La Via Lattea e i suoi gregari gravitazionali sono oggetti vicini. E’ dunque possibile osservare i singoli astri delle popolazioni stellari che li compongono e ricavare dettagli sulle loro età, composizione chimica e stato dinamico. L’insieme di queste informazioni viene poi confrontato con le previsioni dei modelli cosmologici.”
Il censimento delle galassie satelliti della Via Lattea è tuttora in corso, poiché nella maggior parte dei casi si tratta di oggetti estremamente deboli e rarefatti, rivelabili solo con i moderni telescopi a grande campo e con raffinate tecniche di analisi dei dati. Ed è proprio grazie a queste nuove facility che negli ultimi dieci anni sono stati snidati oltre il 50% degli oggetti conosciuti ad oggi, consentendo così un confronto più significativo del loro numero e della loro distribuzione con quanto previsto dai modelli cosmologici. Si è così scoperto che le briciole di materia gravitazionalmente associate alla Galassia paiono disporsi lungo una gigantesca struttura ad anello che circonda il nostro sistema di stelle passando per i suoi poli.
La ricerca dei satelliti è però tutt’altro che conclusa. Le strutture deboli scoperte finora sono state per lo più rivelate dalla Sloan Digital Sky Survey (SDSS), una survey statunitense che ha però riguardato solo una parte dell’emisfero settentrionale. Il cielo a Sud è un territorio tuttora inesplorato, ed è ragionevole supporre che nasconda un cospicuo numero di oggetti ancora da scoprire.
“Il telescopio ideale per un lavoro del genere”, dice ancora Capaccioli, “è il VST, per via del suo grande campo di vista (un grado quadrato) e della squisita qualità delle sue immagini. Molti sono i progetti scientifici già avviati con questo strumento, e molto ci si attende dall’analisi dei dati che sono già stati raccolti”.
E’ stato accolto quindi con grande soddisfazione l’annuncio, da parte di un team della survey pubblica VST-ATLAS, della (prima) scoperta di questo nuovo satellite della Via Lattea, nella costellazione del Cratere, appena a Sud del Leone e della Vergine. L’articolo relativo, firmato da Vassily Belokurov e collaboratori, è stato sottomesso per la pubblicazione alla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, ed è disponibile sul web. La nuova struttura individuata – non è ancora ben chiaro se si tratti di una vera e propria galassia o di un esteso ammasso di stelle – appare costituita da popolazioni stellari di età differente, da quella più antica (10 miliardi di anni) alla più recente (circa 350 milioni di anni), mostrando quindi una complessa storia di formazione stellare.
Questo risultato è stato discusso nel corso dello science meeting della survey pubblica ESO KiDS, anch’essa basata sui dati del telescopio VST, che si è svolto all’Osservatorio INAF di Capodimonte il 18 e 19 marzo scorsi. KiDS è un progetto internazionale a guida olandese e italiana, che copre una porzione di cielo pari a circa 1.500 gradi quadrati. L’area osservata è contenuta a sua volta in ATLAS, ma è investigata con una diversa strategia osservativa che, privilegiando la profondità all’estensione spaziale, consente di raggiungere oggetti molto più deboli di quelli osservabili con ATLAS. “L’obiettivo scientifico primario di KiDS”, dice Nicola R. Napolitano, responsabile del progetto KiDS per l’INAF-Osservatorio di Capodimonte “è di rispondere, attraverso l’osservazione di galassie lontane, ad alcune fra le più importanti questioni tuttora aperte in cosmologia. Tuttavia, nelle sue immagini sono contenute anche informazioni sulla nostra stessa Galassia, e molti ricercatori che vi collaborano sono convinti di poter ottenere importanti scoperte sulla struttura dell’alone galattico, che è l’involucro più esterno e antico della Via Lattea”.
“Le osservazioni e l’analisi dei dati, sia di KiDS che di ATLAS, sono tuttora in corso, e altri annunci di satelliti scoperti dal VST sono quindi attesi con fiducia”, conclude Aniello Grado, responsabile del software delegato a estrarre i dati dalla miniera delle immagini VST.
Il VST, che da tre anni osserva il cielo australe dall’Osservatorio di Cerro Paranal in Cile, è il contributo dell’INAF al programma congiunto con l’European Southern Observatory (ESO) per la realizzazione di facility per survey ottiche e infrarosse nello splendido sito andino. Un telescopio di nuova tecnologia ideato e progettato dall’INAF-Osservatorio di Capodimonte a Napoli e interamente realizzato in Italia; un esploratore dal quale ci aspettiamo conferme di ciò che pensiamo di sapere già ma anche scoperte inaspettate, sorprendenti e, con un pizzico di fortuna, persino rivoluzionarie.