La cometa ISON, che dovremmo poter vedere anche a occhio nudo a novembre quando raggiungerà la sua minima distanza dal Sole, è già una sorvegliata speciale. Un’immagine realizzata il 10 aprile grazie al telescopio Hubble ci mostra l’oggetto quando si trovava a 634 milioni di km dalla Terra, già vistosamente attivo ovvero con una chioma e una coda di polvere ghiacciata emessa dal nucleo. Questi frammenti di polvere, secondo il ricercatore Paul Wiegert, potrebbero dar luogo a una insolita pioggia di meteore quando il nostro pianeta attraverserà quella regione dello spazio in cui la cometa li ha seminati, lasciandoseli alle spalle. Intorno al 12 gennaio 2014, secondo Wiegert, i minuscoli granelli, incontreranno gli strati alti della nostra atmosfera, ma non si trasformeranno nelle cosiddette stelle cadenti bruciando in scie fulminee e luminose. La discesa sarà lenta e, in pratica, non ci accorgeremo di nulla. C’è però la possibilità che questa spruzzata di polvere possa nel tempo dar luogo al fenomeno delle nubi nottilucenti, bagliori dalle sfumature blu a più di 80 km di altezza nei cieli polari. Per il momento sono solo ipotesi, staremo a vedere che tipo di spettacolo ci regalerà la ISON.
ACQUA DI COMETA SU GIOVE
Molecole d’acqua nell’alta atmosfera di Giove: da dove arrivano, perché sono lì? I sospetti, molto forti, c’erano da tempo ma a risolvere il caso ci ha pensato il telescopio orbitante Herschel, dell’ESA. A portare quelle molecole fra le nuvole del gigante gassoso, ci avrebbe pensato la cometa Shoemaker-Levy 9, nel luglio del 1994. Il nucleo cometario di ghiaccio e roccia, spintosi pericolosamente vicino a Giove, non aveva resistito alla sua attrazione: andò in pezzi, si spaccò in 21 frammenti che poi il pianeta inghiottì uno a uno. Poiché il vapore d’acqua osservato non può essere stato prodotto sullo stesso Giove, deve esserci stato portato: da qui i sospetti sulla cometa kamikaze. Per avere la conferma è stato necessario studiarne la distribuzione. Il monitoraggio effettuato da Herschel ha evidenziato una concentrazione d’acqua 2-3 volte maggiore nell’emisfero sud, soprattutto nell’area in cui vennero ingoiati i frammenti cometari. Si deduce così che circa il 95% dell’acqua nella stratosfera gioviana è un souvenir portato dalla Shoemaker-Levy 9.
Uno crede di conoscere bene una stella, e basta guardarla da un’altra angolazione per scoprire un sacco di cose nuove. Prendete Betelgeuse, per esempio. E’ una delle supergiganti più vicine alla Terra, ed è una delle stelle più note e identificabili del cielo notturno, nella costellazione di Orione. Ora una nova immagine ripresa dal radio telescopio britannico e-MERLIN mostra caratteristiche di Betelgeuse finora sconosciute. Hot spots, o regioni di gas sorprendentemente caldo nell’atmosfera esterna, e un arco di gas più freddo, nella parte ancora più esterna, la cui massa si avvicina a quella della Terra. La ricerca, pubblicata sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, mostrano che l’atmosfera di Betelgeuse si estende per cinque volle la superficie visibile della stella (che è circa 1000 volte più grande del Sole).
Gli hot spot hanno una temperatura tra i 4000 e i 5000 gradi kelvin, molto superiore alla media della temperatura della stella che è di 1200 gradi. L’arco di gas freddi (alla temperatura di circa 150 gradi Kelvin) si trova invece a quasi 7,4 miliardi di chilometri dalla stella. Come spiega Anita Richards dell’Università di Manchester, prima autrice dello studio, non è chiaro perché gli hot spot siano così caldi. “Potrebbe essere che le onde d’urto causate dalle pulsazioni della stella o dalla convezione di calore negli strati esterni stiano comprimendo e riscaldando il gas. oppure che l’atmosfera esterna sia come bucherellata, e che in realtà stiamo osservando strati inferiori più caldi attraverso essa. Quanto all’arco, pensiamo sia il risultato di un periodo di perdita di massa dalla stella avvenuto nell’ultimo secolo, ma se abbia una relazione con gli hot spot non lo sappiamo”.
Il meccanismo che porta stelle come Betelgeuse a perdere materia nello spazio, aumentando così la riserva di materia interstellare da cui si possono formare nuove stelle non è stato ancora del tutto spiegato. Studi come questo (che proseguirà con altri strumenti tra cui ALMA e VLA) potranno contribuire a chiarire il mistero.
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