Vinca il migliore, e speriamo sopratutto che almeno uno dei due contendenti vinca qualcosa. Due survey (progetti di osservazione astronomica su grande scala) stanno per partire, in competizione l’una con l’altra, alla caccia dell’energia oscura, quella misteriosa forza che contrasta il rallentamento dell’espansione dell’Universo, e della cui natura i cosmologi non sanno praticamente nulla.
Due progetti proveranno a capirci di più sfruttano su grande scala l’effetto del weak gravitational lensing, quello per cui la luce in arrivo dalle galassie più distanti viene “piegata” dalla presenza, lungo i suo cammino, di materia che con la sua attrazine gravitazionale distorce lo spazio-tempo. A differenze dell’effetto di lente gravitazionale “forte”, causato da grandi aggregati di materia, che è ben visibile anche su singole galassie, il weak lensing è rilevabile solo studiando migliaia di galassie. L’idea che accomuna i due progetti è di studiare questo tipo di effetto su grandi porzioni del cielo, prima di tutto per mappare la densità e la distribuzione della materia oscura (l’altro punto interrogativo negli attuali modelli cosmologici) e da qui, studiando come questa distribuzione si è modificata nel tempo, trovare tracce dell’azione dell’energia oscura.
Due i progetti, si diceva. Uno userà la Hyper Suprime-Cam (HSC), strumento inaugurato il 28 agosto sul telescopio da 8,2 metri “Subaru” nelle isole Hawaii. Entro il 2018 il progetto, coordinato da Satoshi Miyazaki del National Astronomical Observatory giapponese, conta di riprendere e catalogare 10 milioni di galassie lungo una sezione di cielo di 1500 gradi quadrati. L’altro progetto, chiamato Dark Energy Survey (DES), partirà alla fine di questo mese e userà il telescopio Blanco in Cile. Come ha spiegato a Nature Josh Frieman del Fermi National Accelerator Laboratory di Batavia, Illinois, coordinatore del progetto, DES avrà a disposizione più tempo osservativo rispetto a HSC, perché il telescopio sarà in gran parte dedicato a questa impresa. Dovrebbe così arrivare a 300 milioni di galassie su 5000 gradi quadrati, sempre entro il 2018. Tuttavia il telescopio Blanco è più piccolo (4 metri), e quindi non potrà osservare altrettando distante.
Certo, nessuno di questi progetti basati su telescopi terrestri può arrivare alla risoluzione che sarebbe consentita da un osservatorio spaziale, come la missione Euclid che l’Agenzia Spaziale Europea conta di lanciare nel 2019, e che consentirebbe di eliminare la distorsione introdotto dall’atmosfera terrestre.
Il flash luminoso su Giove ripreso da George Hall
Anche i dilettanti o gli appassionati possono lasciare un segno nello studio dei cieli, ed è sempre più la comunicazione digitale a fare la differenza. Lo dimostra quanto accaduto all’astrofilo Dan Peterson di Racine nel Wisconsin, che ieri ha avvistato con un telescopio un flash luminoso vicino all’equatore di Giove (quasi sicuramente l’impatto di un asteroide o di una cometa), segnalando l’evento all’intera comunità e permettendo agli astronomi professionisti di rivolgere in tempo reale i loro strumenti sul pianeta.
Non avendo catturato l’evento con una telecamera, Peterson ha inviato via email agli astronomi una descrizione dettagliata di ciò che aveva visto. Nella stessa notte l’astrofotografo George Hall di Dallas stava filmando Giove con un piccolo telescopio e una webcam: “Se Peterson non avesse avvistato l’evento e non lo avesse segnalato, non avrei rivisto in dettaglio i miei video per individuare l’impatto” ha spiegato Hall alla rivista New Scientist. Il fotografo dei cieli è riuscito, infatti, a catturare un video di quattro secondi di un lampo luminoso sul lato orientale di Giove.
Secondo gli astronomi, molto probabilmente l’evento è stato causato dall’impatto di una cometa o di un asteroide su Giove. Grazie all’aumento delle osservazioni, negli ultimi tre anni su questo pianeta sono stati avvistati quattro impatti.
Per gli astronomi professionisti è spesso prezioso poter contare anche sugli “occhi” dei dilettanti che seguono le vicende di Giove o altri pianeti, soprattutto da quando Internet permette dai far circolare le informazioni così rapidamente. “Non è che su Giove questi eventi siano diventati più frequenti” ha spiegato Franck Marchis del SETI Institute di Mountain View, in California “È solo che adesso gli astronomi dilettanti hanno la capacità di individuarli. Noi non possiamo osservare il pianeta continuamente.”
Vedere in tempo reale l’impatto e studiare le cicatrici lasciate su Giove darà agli scienziati spiegazioni uniche sulle proprietà atmosferiche del gigante gassoso. Questo tipo di eventi potrà fornire agli astronomi maggiori elementi sullo studio delle collisioni tra asteroidi, dando un quadro più preciso delle dimensioni e del numero degli oggetti di questo tipo che affollano il Sistema Solare. Gli impatti ripresi su Giove contribuiranno a redigere il primo censimento accurato dei corpi con 100 metri di diametro e di quelli più piccoli nella parte esterna del Sistema Solare.
“La recente ondata di impatti mette in evidenza il ruolo di Giove come “spazzino cosmico”, che con la sua attrazione gravitazionale sgombera il sistema solare dai detriti che altrimenti potrebbero colpire la Terra” dice Glenn Orton del NASA Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, in California.
Stanotte i telescopi saranno puntati sul pianeta per verificare se l’impatto abbia lasciato o meno delle cicatrici. In tal caso gli astronomi potrebbero decidere di utilizzare il telescopio Hubble per determinare la traiettoria dell’oggetto e la profondità di penetrazione nell’atmosfera di Giove.
Rappresentazione artistica del disco protoplanetario scoperto vicino al centro della Via Lattea (David A. Aguilar-CfA)
Si è sempre creduto che il centro della nostra galassia fosse un luogo troppo inospitale per la formazione di un pianeta, a causa delle potenti forze gravitazionali causate dal buco nero supermassiccio che si trova da quelle parti, e delle frequenti esplosioni di supernove le cui radiazioni investono tutto ciò che le circonda. Ma gli astronomi dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics provano a smentire questa convinzione, con la recente scoperta di una nube d’idrogeno e di elio che precipita verso il centro della Via Lattea. Gli studiosi sostengono che questa nube sia quanto resta di un disco protoplanetario in orbita attorno ad una stella che non riusciamo a vedere, ma che sta precipitando verso il buco nero. “Questa sfortunata stella si è gettata verso il buco nero centrale” ha detto Ruth Murray-Clay, l’autore principale dello studio, pubblicato sulla rivista Nature, “Mentre la stella sopravviverà ancora a lungo, il suo disco proto-planetario non è così fortunato”.
La nuvola in questione era stata scoperta lo scorso anno con l’utilizzo del VLT da un team di astronomi che avevano ipotizzato, come origine della nube, la collisione di due stelle.
Ora Murray-Clay e il co-autore Avi Loeb danno una spiegazione diversa. Secondo gli scienziati la stella vagante proviene da un anello di stelle che orbita intorno al centro della galassia, ad una distanza di circa un decimo di anno luce. Questo anello contiene dozzine di altre giovani e brillanti stelle di tipo 0, che fanno pensare alla presenza anche di centinaia di stelle più deboli simili al Sole, che però non riusciamo a osservare. Una di queste stelle potrebbe quindi essere stata lanciata al centro della galassia insieme al suo disco. Ma altre stelle dell’anello potrebbero essere più fortunate e mantenere i loro dischi, e formare così pianeti nonostante l’ambiente ostile in cui si trovano.
Quanto alla stella vagante e alla sua nube, continuerà il suo viaggio verso le fauci del buco nero e mentre lo farà il suo disco si disintegrerà, lasciando solo un denso nucleo. Il gas rimanente sarà riscaldato dall’attrito a temperature abbastanza elevate fino diffondere raggi X.
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