L’ultima frontiera della telefonia è il cellulare emozionale, un apparecchio sviluppato dall’Università delle Arti di Berlino, in grado di simulare grazie a dei sensori l’intensità di una stretta di mano, il ritmo di un respiro, il calore di un bacio
“Mi ami? Ma quanto mi ami? E mi pensi? Ma quanto mi pensi?”. Erano i primi anni ’80 e una giovanissima Yovonne Sciò faceva pubblicità alla Sip passando le ore al telefono col fidanzato, incurante della mamma che indelicatamente chiedeva: “Ma quanto mi costi?. In trent’anni il modo di comunicare è cambiato ma identica è rimasta la voglia di trasmettere e ricevere emozioni e il cellulare, ormai propaggine del nostro corpo, viene costantemente perfezionato con l’obiettivo di accorciare le distanze tra noi e gli altri.
L’ultima frontiera è il telefonino emozionale, un apparecchio sviluppato dall’Università delle Arti di Berlino, in grado di simulare grazie a dei sensori l’intensità di una stretta di mano, il ritmo di un respiro, il calore di un bacio. A idearlo è stato il gruppo di studio della dottoressa Gesche Jost e del ricercatore Fabian Hemmert del Design Research Lab, che ha presentato i primi quattro prototipi alla conferenza “Mobile HCI” (Human-Computer Interaction with Mobile Devices and Services) di Stoccolma. Sul palco lo studioso ha dimostrato come sia possibile simulare il contatto fisico con una telefonata: un microgetto d’aria posizionato sull’apparecchio trasmette da un capo all’altro l’intensità del respiro, e un manicotto da stringere sistemato sulla cornetta permette di capire quanto è forte la stretta dell’interlocutore.
La conversazione fatta col telefono emozionale non si limita alle parole ma viene quindi integrata da sensazioni tattili che”riducono” la distanza tra noi e l’altra persona. Il momento clou della presentazione è stata la trasmissione del bacio, la cui passionalità viene simulata grazie a un sensore che registra il tasso di umidità della bocca e lo replica all’altro apparecchio. Certo, bisognerà accontentarsi di assaporare il surrogato attraverso labbra finte ricavate da una spugnetta umida, ma chi si accontenta gode, dice il proverbio. “I telefonini moderni – ha spiegato Hemmert sul palco svedese – sfruttano pochissimo i cinque sensi e le nostre risorse personali. Sono ottimi per trasmettere informazioni ma non comunicano alcun senso di vicinanza”.
L’invenzione finora non ha suscitato l’entusiasmo dei colleghi, che dopo averla sperimentata l’hanno definita “disturbante” e “disgustosa”. Le critiche però non preoccupano il giovane co-ideatore, consapevole di aver solleticato la fantasia dei grandi magnati della telecomunicazioni. Anche la Artificial Muscle, un’azienda collegata al Bayer Material Science, è interessata e sta studiando come dare agli schermi dei telefonini capacità motorie, e altri studi in America e in Giappone stanno facendo passi da gigante nel campo della sensorialità tattile e della tridimensionalità.
E qualcosa di simile è in via di sviluppo anche in Italia: quest’anno, nell’ambito del premio nazionale sull’innovazione Working Capital, due studiosi modenesi della facoltà di Ingegneria hanno ottenuto un assegno di ricerca di 30 mila euro per il loro progetto “Kappa”, che punta a creare una piattaforma per smart phone in grado di interpretare le emozioni, consentendo ad esempio al telefonino di riconoscere dal tono di voce lo stato d’animo di chi parla.
“Si tratta di strumenti interessanti, ottimi per chi è costretto a stare a distanza dai propri cari – spiega la psicologa della comunicazione Patrizia Marzola – ma siamo certi questi “scambi tecnologici” non diventino surrogati della nostra realtà emotiva? Prendiamo i social network: il rapporto che si instaura viene definito “amicizia” ma non ha niente a che vedere con essa. La comunicazione è efficace quando permette uno scambio aperto e trasparente. Ricreare artificialmente quello che per definizione è un contatto fisico, fatto di intimità, odori e sapori, rischia di impoverire il dialogo e il rapporto stesso. Senza contare che questa nuova modalità comunicativa potrebbe spingere le persone ad accontentarsi di una soluzione “a distanza” quando invece avrebbero bisogno di un autentico contatto fisico”.
Fonte:la Repubblica