Prima sonda ad orbitare attorno a Mercurio e non solo a passarci vicino, la MESSENGER sta cominciando a svelarne i segreti. A partire dalle macchie luminose viste all’interno dei crateri nel corso di precedenti sorvoli. Grazie alle nuove immagini, ottenute a un maggiore livello di dettaglio, ora sappiamo che quelle macchie sono in realtà depositi di materiale altamente riflettente.
E sempre all’interno dei crateri può nascondersi qualcosa di molto prezioso, come ci dice Gabriele Cremonese dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Padova, che insieme al suo gruppo di ricerca collabora con la NASA all’elaborazione dei dati di MESSENGER:
“Mercurio ha notevoli analogie con la Luna, dove c’è ghiaccio d’acqua nelle regioni polari. Per questo la MESSENGER sta cercando di capire se anche all’interno dei crateri più profondi di Mercurio, dove le pareti rimangono sempre in ombra, risiede del ghiaccio d’acqua”.
Le immagini attorno al polo nord mostrano strati di lava solidificata spessi diversi chilometri, segno che in passato l’attività vulcanica ha modellato la crosta del pianeta.
“Abbiamo la conferma di una passata e spiccata attività vulcanica, come dimostrano le immagini che evidenziano colate di lava e regioni dove sono avvenute esplosioni piroplastiche. Quando siano avvenute è ancora da stabilire, ma da uno studio di un bacino di chiara origine vulcanica abbiamo dedotto un’età di 400 milioni di anni. In termini geologi è un tempo molto breve, per cui possiamo dire che questa attività è avvenuta di recente.”
C’è anche spazio per un piccolo mistero:
“Stiamo osservando colate laviche e gli effetti di eruzioni avvenute in passato, per quanto possano oggi essere spenti, non abbiamo ancora identificato alcun vulcano sul pianeta. Questa è una cosa curiosa e ci aspettiamo che la MESSENGER faccia presto chiarezza.”
ALTRO CHE NOCCIOLINA!
L’analisi dei dati e delle immagini della cometa Hartley 2, avvicinata a novembre 2010 dalla sonda Deep Impact nell’ambito della missione NASA EPOXI, continua a fornire risultati inaspettati e di estremo interesse. Piccola, raggiunge un diametro di appena 1 Km, questa cometa dalla buffa forma di arachide si è rivelata essere iperattiva. Significa che dalla sua superficie, rispetto a quanto succede per le altre comete, fuoriesce una quantità di gas, vapore e polveri decisamente superiore. Questi getti di materia emessI nello spazio si sprigionano quando il ghiaccio di anidride carbonica, colpito dalla radiazione solare, passa direttamente dallo stato solido a quello gassoso. Una piccola percentuale del materiale espulso dai getti, ricadrebbe sulla cometa stessa, in corrispondenza della regione centrale che appare, appunto, ricoperta di depositi. Questo è un fatto inaspettato: la massa ridotta della cometa non dovrebbe essere tale da esercitare un’attrazione gravitazionale sufficiente a richiamare, per così dire, ciò che lei stessa spara nello spazio.
AI CONFINI DI CASA NOSTRA
Quello della sonda Voyager 1 è un viaggio iniziato ben 34 anni fa e che ancora continua: si è spinta a 117 unità astronomiche dal Sole, ovvero a una distanza di oltre 17 mila milioni di Km. Un tragitto compiuto accompagnata dal soffio del vento solare, quell’insieme di particelle emesse continuamente dal Sole. Gli strumenti di bordo sono in grado di misurarne il flusso e risulta che, negli ultimi tre anni, la velocità del mix delle particelle che circondano la sonda è passata da 70 chilometri al secondo a zero e tale è rimasta negli ultimi otto mesi. Non significa che il vento solare non soffia più, ma che nella regione di spazio raggiunta dalla Voyager, oltre a quello proveniente dal Sole giunge anche quello delle altre stelle. Questo indica che la Voyager 1 è vicina all’eliopausa, la frontiera dove il vento solare si confonde del tutto con quello emesso dalle stelle vicine. 34 anni per raggiungere un confine di casa nostra, quindi, un traguardo che nessuna altra sonda ha mai raggiunto.