Un’esplosione nel cielo dell’Indonesia ci ha ricordato che la Terra non è invulnerabile. A provocarla, lo scorso 8 ottobre, è stato un asteroide di circa 10 metri, scoppiato in volo a un altezza di 20 chilometri. Nessun danno ma solo sconcerto tra le persone che dopo il fragore hanno visto comparire in cielo una scia di polvere.
L’energia liberata dall’esplosione è risultata tre volte quella della bomba atomica su Hiroshima. Inevitabile quindi pensare a cosa sarebbe accaduto se l’asteroide fosse scoppiato più in basso, o se fosse caduto sopra un centro abitato. Un evento quest’ultimo poco probabile ma non impossibile: per questo c’è chi spinge per creare nuovi sistemi capaci di individuare in tempo tutti gli oggetti in rotta di collisione con il nostro pianeta.
Gli attuali telescopi riescono infatti a vedere asteroidi estesi oltre 100 metri. Con quelli più piccoli cominciano le difficoltà. E’ quindi necessario realizzare una rete di telescopi più potenti, un’operazione dal costo di miliardi di dollari. Far partire questi lavori è nella lista dei futuri impegni del governo americano, che già da qualche anno ha commissionato vari studi per valutare i rischi di impatto e le difese da adottare. La decisione finale è attesa nel corso del prossimo anno.
OTTIMO INIZIO PER ARES I
Lancio di prova riuscito con successo per Ares I, il razzo con cui la NASA intende sostituire gli Shuttle. Il decollo è avvenuto mercoledì 28 ottobre, presso il Kennedy Space Center, in Florida. A differenza degli Shuttle, Ares I è un razzo a stadi che ricorda quelli del programma Apollo grazie ai quali arrivammo sulla Luna. Il suo compito sarà principalmente portare in orbita il modulo Orion, che ospiterà gli astronauti, mentre il suo fratello maggiore, Ares V avrà la funzione di portacarichi. La prima destinazione sarà la Stazione Spaziale, ma la NASA ha già studiato le modalità per il ritorno degli astronauti sulla Luna facendo lavorare in coppia i due razzi. Ares V porterebbe in orbita il veicolo progettato per l’allunaggio, mentre Ares I il modulo con l’equipaggio umano. In altre parole si porta su un pezzo alla volta, dopodiché modulo e veicolo diventeranno un tutt’uno agganciandosi l’uno all’altro proseguendo così verso la Luna. Per realizzare il progetto servono però i finanziamenti e non è detto che il governo degli Stati Uniti intenda stanziarli.
IL NOBEL AL CCD
Quest’anno il premio Nobel per la fisica se lo sono spartiti il padre della fibra ottica e gli inventori del dispositivo ad accoppiamento di carica. Se fibra ottica è un nome che ci suona familiare, magari non siamo tutti convinti di sapere cosa sia un dispositivo ad accoppiamento di carica. Eppure lo usiamo ogni volta che facciamo fotografie con il cellulare o con una fotocamera digitale. Il suo nome in breve è CCD: ci permette di ottenere immagini senza essere schiavi del rullino. Tuttavia, molto prima che questo dispositivo cambiasse il nostro modo di fare foto, ha rivoluzionato l’astronomia. La prima immagine astronomica ottenuta con un CCD, mostra la superficie lunare e risale al 1974: il risultato era molto scadente ma bisogna considerare che gli 0,001 megapixel utilizzati erano davvero pochi. Da allora i progressi sono stati enormi: il dispositivo ad accoppiamento di carica ha portato a risultati scientifici che le lastre fotografiche non avrebbero permesso.
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