Grazie ai dati forniti dalla Hyper Suprime-Camera (HSC), un gruppo di ricercatori della Ehime University, Princeton University e del National Astronomical Observatory of Japan (NAOJ) ha realizzato una ricerca estensiva sulle cosiddette “galassie oscurate” dalla polvere, o Dust-Obscured Galaxies (DOGs). I ricercatori hanno identificato 48 oggetti da cui è stato possibile ricavare una stima su quante ce ne sono nell’Universo. Poiché si ritiene che le galassie oscurate ospitino nei loro nuclei un buco nero supermassiccio che sta crescendo rapidamente, questi risultati, pubblicati su Publications of the Astronomical Society of Japan (PASJ), forniscono preziosi indizi per comprendere l’evoluzione delle galassie e dei rispettivi buchi neri.
Immagini di tre galassie oscurate. I pannelli a sinistra, al centro e a destra mostrano rispettivamente l’immagine nell’ottico realizzata dalla HSC, nel vicino infrarosso fornita da VIKING e nell’infrarosso intermedio ottenuta da WISE. Si nota che gli oggetti sono deboli nell’ottico mentre invece appaiono estremamente brillanti nell’infrarosso. Credit: Yoshiki Toba et al. 2015
Come si sono formate ed evolute le galassie nel corso di 13,8 miliardi di anni? È una domanda che è stata ed è oggetto di intensi studi osservativi e teorici. Sappiamo che nel nucleo di quasi tutte le galassie massicce risiede un buco nero supermassiccio, che può raggiungere centinaia di milioni o persino miliardi di volte la massa del Sole, e che esiste una stretta correlazione tra la massa dei buchi neri e quella delle rispettive galassie ospiti. Questa correlazione suggerisce che i buchi neri supermassicci e le galassie ospiti siano evoluti di pari passo, interagendo nel corso del tempo.
Il team, guidato da Yoshiki Toba della Ehime University e primo autore dello studio, si è concentrato sulle galassie oscurate che sono considerate la chiave per risolvere il problema della co-evoluzione delle galassie e dei rispettivi buchi neri. Queste galassie appaiono molto deboli in luce visibile, a causa della enorme quantità di polvere che le oscura, ma allo stesso tempo sono brillanti nell’infrarosso. In particolare, si ritiene che negli oggetti più brillanti risiedano i buchi neri più attivi che si trovano in una fase di rapida evoluzione. Inoltre, la maggior parte delle galassie oscurate vengono osservate ad una epoca in cui l’attività di formazione stellare raggiunse il suo picco, cioè 8-10 miliardi di anni fa. Dunque, tutto ciò implica che le galassie e i rispettivi buchi neri stanno crescendo rapidamente ad un’epoca primordiale della loro co-evoluzione. Ad ogni modo, bisogna dire che nonostante questi oggetti siano rari ed estremamente oscurati dalla polvere, studi precedenti nell’ottico hanno permesso di trovarne solo pochissimi esemplari.
La Hyper Suprime-Cam venne installata nel 2012 al telescopio di 8,2 metri Subaru. Si tratta di una camera a grande-campo di vista, pari a 9 volte la dimensione apparente sottesa dalla Luna piena, e rappresenta uno strumento potente ed ideale per studiare questa particolare classe di galassie oscurate. Nel 2014 è iniziata una survey ambiziosa del cielo, nota come Subaru Strategic Programme (SSP), caratterizzata da 300 notti di osservazioni allocate per un periodo di 5 anni. Lo scopo del programma strategico SSP è quello di produrre una grande quantità di immagini di alta qualità.
Gli autori del presente studio hanno selezionato le galassie oscurate facendo uso dei dati iniziali del programma strategico del telescopio Subaru. Dato che questi oggetti sono migliaia di volte più brillanti nell’infrarosso che alle lunghezze d’onda del visibile, gli astronomi li hanno selezionati non solo per mezzo della HSC ma anche grazie ai dati forniti dal satellite della NASA WISE (Wide-field Infrared Survey Explorer) e da quelli ottenuti dalla survey VISTA Kilo-degree Infrared Galaxy survey (VIKING). Le osservazioni su tutto il cielo realizzate da WISE sono state fondamentali per scoprire questi oggetti essendo spazialmente rari mentre i dati di VIKING sono stati utili per identificarli in maniera più precisa. Tutto questo ha permesso di scoprire 48 nuovi oggetti ognuno dei quali è 10 mila miliardi di volte più luminoso del Sole in banda infrarossa. Si stima che la densità numerica di queste galassie sia di circa 300 per gigaparsec cubico (ricordiamo che 1 parsec = 3,26 anni luce).
Il grafico mostra la densità numerica delle galassie oscurate che sono state selezionate nel presente studio in funzione della luminosità infrarossa. Il dato rappresentato dalla stella rossa è associato alla HSC. I risultati indicano che la luminosità infrarossa supera 10 mila miliardi di volte la luminosità del Sole e che la densità numerica è pari a circa 300 per gigaparsec cubico. Credit: Yoshiki Toba et al. 2015
Questo lavoro fornisce in particolare, e per la prima volta, nuovi dati sulle proprietà statistiche di questa classe di oggetti. Inoltre, Questi risultati forniscono ai ricercatori preziosi indizi sul problema della co-evoluzione delle galassie e dei rispettivi buchi neri supermassicci da una nuova prospettiva. “Non ci sono strumenti installati nei più grandi telescopi che abbiano la sensibilità e il campo di vista della Hyper Suprime-Camera per la ricerca di queste galassie oscurate”, dice Toba. “La survey che eseguirà la HSC coprirà alla fine un’area di cielo 100 volte maggiore rispetto a quella del presente studio, il che permetterà l’identificazione di migliaia di altre galassie oscurate. Al momento, stiamo pensando di studiare in dettaglio le proprietà di questi oggetti e dei rispettivi buchi neri utilizzando le osservazioni di diversi telescopi”.
“Il programma strategico del telescopio Subaru con la Hyper Suprime-Camera è appena iniziato. Nel futuro immediato saranno resi pubblici tutta una serie di risultati eccitanti che riguarderanno non solo gli studi sull’evoluzione delle galassie ma anche studi provenienti da altri campi, quali sistemi planetari, stelle, galassie vicine e osservazioni cosmologiche”, conclude Tohru Nagao, co-autore dello studio.
SLAC cattura un’onda di antimateria
Uno studio condotto da ricercatori dello SLAC National Accelerator Laboratory, gestito dal Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, e dell’Università della California ha dimostrato l’esistenza di un modo nuovo ed efficace per accelerare positroni, la particella di antimateria corrispondente agli elettroni. Il metodo può contribuire ad aumentare l’energia prodotta dai futuri acceleratori, riducendone le dimensioni. Questi nuovi e potenti acceleratori potrebbero essere utilizzati per svelare le proprietà dei costituenti fondamentali della materia.
Gli scienziati del team avevano già dimostrato che facendo “scivolare” degli elettroni su del gas ionizzato, o plasma, era possibile aumentarne in modo molto efficiente l’energia. Anche se questo metodo di per sé potrebbe portare alla costruzione di acceleratori più piccoli, gli elettroni sono solo metà dell’equazione. Ora i ricercatori sono riusciti ad applicare la stessa tecnica ai positroni utilizzando il Facility for Advanced Accelerator Experimental Tests (FACET) presso lo SLAC.
I futuri acceleratori di particelle richiederanno metodi di accelerazione altamente efficienti sia per elettroni e positroni. L’accelerazione di entrambi i tipi di particelle con l’uso di plasma, come mostrato in questa simulazione, potrebbe portare ad acceleratori più piccoli e più potenti rispetto a quelli a nostra disposizione. Crediti: F. Tsung/W. An/UCLA/SLAC National Accelerator Laboratory
«Insieme al risultato precedente, il nuovo studio è un passo molto importante verso la realizzazione di acceleratori di nuova generazione, più piccoli e meno costosi», ha detto Mark Hogan dello SLAC, co-autore dello studio pubblicato oggi su Nature. «FACET è l’unico posto al mondo dove possiamo accelerare positroni ed elettroni utilizzando questo metodo».
I ricercatori studiano da tempo le componenti fondamentali della materia e le forze che si esercitano tra di loro facendo collidere fasci di particelle altamente energetiche uno contro l’altro. Le collisioni tra elettroni e positroni sono particolarmente interessanti, perché a differenza di quelle tra i protoni, che vengono studiate ad esempio al Large Hadron Collider del CERN, queste particelle non sono composte da parti costituenti più piccole. Molti scienziati, però, ritenevano che fosse impossibile applicare la tecnica dello “scivolamento” sul plasma per accelerare i positroni.
«Il punto di svolta è stato la scoperta di un nuovo regime che ci ha permesso di accelerare i positroni nei plasmi con efficienza», ha detto il co-autore dello studio Chandrashekhar Joshi, ricercatore presso l’Università della California. Invece di utilizzare due pacchetti distinti di particelle, uno per creare una scia e l’altro per scivolarci sopra, il team ha scoperto che facendo interagire un singolo gruppo di positroni con il plasma la parte anteriore genera una scia in grado di accelerare l’estremità posteriore.
«In questo stato stabile, circa 1 miliardo di positroni hanno raggiunto energie pari a 5 miliardi di elettronvolt entro una distanza di soli 1.3 metri», ha spiegato Sébastien Corde, primo autore dello studio, ex-ricercatore presso lo SLAC, oggi all’Ecole Polytechnique in Francia.
Simulazione dell’accelerazione di positroni ad alta energia in un gas ionizzato, o plasma. L’immagine mostra la formazione di plasma ad alta densità (di colore verde e arancione) attorno ad un fascio di positroni che si muove da in basso a destra in alto a sinistra del riquadro. Crediti: W. An/UCLA
Nelle prossime fasi di questo studio, il team cercherà di migliorare ulteriormente il proprio esperimento. «Abbiamo eseguito simulazioni per comprendere meglio come si sia creato lo stato stabile», ha dichiarato Warren Mori dell’Università della California, co-autore della ricerca. «Sulla base di questa nuova conoscenza, potremo sviluppare simulazioni per utilizzare questa tecnica in modo migliore e più controllato».
Sebbene non sarà possibile costruire acceleratori di particelle con l’utilizzo di plasma in un futuro imminente, questa tecnica potrebbe essere utilizzata per migliorare gli acceleratori già esistenti.
«È possibile immaginare di aumentare le prestazioni degli acceleratori lineari con l’aggiunta di un brevissimo acceleratore di plasma nella parte finale», ha detto Corde. «Questo permetterebbe di amplificare l’energia dell’acceleratore senza dover aumentare in modo significativo la lunghezza della struttura».
Chandra cattura una fenice radio
Un team di astronomi ha osservato una nube di elettroni mentre “tornava alla vita”, proprio come accade alla figura mitologica della fenice, in seguito alla collisione di due ammassi di galassie. La “fenice radio“, chiamata così perché gli elettroni ad alta energia emettono principalmente nelle frequenze radio, si trova nell’ammasso noto con il nome di Abell 1033. Il sistema è situato a una distanza di circa 1.6 miliardi di anni luce dalla Terra.
Combinando i dati del Chandra X-ray Observatory della NASA, con quelli del Westerbork Synthesis Radio Telescope nei Paesi Bassi, del Very Large Array (VLA), e della Sloan Digital Sky Survey (SDSS), gli astronomi sono stati in grado di ricostruire il racconto scientifico alla base di questa intrigante storia cosmica.
Composizione di immagini multibanda: raggi X (rosa); ottico (rosso, verde, blu); radio (verde); mappa di densità (blu). Crediti: raggi X: NASA/CXC/Univ of Hamburg/F. de Gasperin et al; ottico: SDSS; radio: NRAO/VLA
Gli ammassi di galassie sono le più grandi strutture nell’Universo, tenute insieme dalla forza di gravità. Sono costituiti da centinaia o a volte addirittura migliaia di singole galassie, da materia oscura, ed enormi quantità di gas caldo che emette luce nei raggi X. Capire come evolve l’ammasso è fondamentale per il comprendere l’evoluzione dell’Universo stesso.
Gli scienziati ritengono che in passato il buco nero supermassiccio vicino al centro di Abell 1033 abbia eruttato, emettendo flussi di elettroni ad alta energia che sono andati ad occupare una regione di centinaia di migliaia di anni luce e producendo una nube visibile nelle onde radio. Questa nube si sta affievolendo, entro un arco di tempo di milioni di anni, poiché gli elettroni perdono energia mentre la nube si espande.
La fenice radio è emersa quando un altro ammasso di galassie è entrato in collisone con l’ammasso originale. Le onde d’urto generate dalla collisione, simili ai boati sonici prodotti dai jet supersonici, hanno attraversato la nube di elettroni, comprimendola e fornendole energia. Questo passaggio ha riacceso la nube facendola brillare nelle frequenze radio.
Grazie ad un’osservazione multibanda è stato possibile comporre un nuovo ritratto della fenice radio all’interno di Abell 1033. Nell’immagine, i raggi X raccolti da Chandra sono mostrati in rosa, mentre i dati radio del VLA sono di colore verde. L’immagine di sfondo è ricavata da osservazioni ottiche dalla SDSS. Una mappa della densità di galassie, ottenuta dall’analisi dei dati ottici, è sovrapposta in blu.
I dati di Chandra evidenziano il gas caldo presente negli ammassi, che sembra essere stato perturbato dalla collisione che ha causato la riaccensione radio del sistema. Il picco delle emissioni nei raggi X è visibile a sud dell’ammasso (in basso nell’immagine). Sul lato sinistro dell’immagine, una cosiddetta radiogalassia “a coda” brilla nella banda radio. I lobi di plasma espulsi dal buco nero supermassiccio centrale sono piegati dall’interazione con il gas dell’ammasso.
Gli astronomi pensano di aver catturato la fenice radio poco dopo la sua rinascita, poiché queste sorgenti si spengono molto rapidamente quando si trovano vicino al centro dell’ammasso. A causa delle enormi densità e pressioni, e degli intensi campi magnetici presenti in prossimità del centro di Abell 1033, la fenice radio potrebbe durare anche poche decine di milioni di anni.