Quanto può resistere un materiale nanostrutturato che viene colpito da un proiettile? Sicuramente molto più dei moderni pannelli di kevlar o di acciaio. Ma le prove di laboratorio convenzionali non sono adatte a caratterizzare questo tipo di materiali.
È per questo che Jae-Hwang Lee del Dipartimento di Scienza e ingegneria dei materiali del Massachusetts Institute of Technology a Cambridge, negli Stati Uniti, ha realizzato un test balistico microscopico, descritto in un articolo pubblicato su “Nature Communications”.
Non è solo la sicurezza dei militari o delle forze dell’ordine a essere in gioco quando si parla di materiali antiproiettile. La resistenza a impatti con piccoli oggetti che viaggiano a velocità dell’ordine di 300 metri al secondo interessa un ampio spettro di applicazioni, dalla realizzazione di satelliti e sonde spaziali che devono resistere all’urto dei micrometeoriti fino alle pale dei motori dei velivoli, che devono reggere la collisione con detriti e spesso anche di uccelli.
Ned Thomas, rettore della George R. Brown School of Engineering presso la Rice University, mostra un disco di poliuretano con i proiettili bloccati e sigillati all’interno.
Un notevole passo in avanti nella realizzazione di materiali antiproiettile si è avuto con l’avvento dei materiali compositi, primo fra tutti il kevlar, in grado di offrire il notevole vantaggio della leggerezza rispetto a qualunque lega metallica. Il progresso ulteriore degli ultimi anni è invece legato ai materiali nanostrutturati, grazie alla possibilità di controllare quasi atomo per atomo le caratteristiche microscopiche dei materiali in studio.
La possibilità poi di testare ciò che è stato realizzato in laboratorio ha però forti limitazioni, dovute a un evidente problema di scala dimensionale: un proiettile vero produce un danno da impatto che supera di alcuni ordini di grandezza la reazione microscopica che si vuole verificare.
Lee e colleghi quindi hanno pensato di ricorrere in primo luogo a proiettili miniaturizzati, costituiti da sfere di silice con diametro dell’ordine del micron, che vengono proiettati a grande velocità da un laser di grande potenza contro un copolimero a blocchi realizzato accoppiando una sostanza vetrosa e una gommosa.
Grazie a una tecnica di cattura delle immagini di risoluzione eccezionale – fino a 10 nanometri – si è riusciti a visualizzare l’intero campo d’impatto e a definire nei dettagli i meccanismi di dissipazione dell’energia dell’impatto. Si è riusciti anche a ottenere un primo risultato quantitativo che già potrebbe essere utile nelle applicazioni: la resistenza all’urto può essere aumentata del 30 per cento con un’opportuna orientazione degli strati.