Felice come lo sono i bambini di quattro anni, Sophie è apparentemente una bambina come tutte le altre. A colazione, le canzonette per bambini si mescolano al profumo della cioccolata. Ma Sophie non riesce a girare la testa, non può più alzare le braccia: i suoi muscoli si stanno gradualmente trasformando in ossa. Tutti gli stati Uniti si sono commossi di fronte a questa storia che, tuttavia, non rappresenta per nulla un caso eccezionale. Proprio come lei, sono 2.500 le persone al mondo affette da questa malattia rara chiamata fibrodisplasia ossificante progressiva (FOP) o miosite ossificante progressiva, più comunemente nota come “malattia dell’uomo di pietra”.
Una formazione anarchica delle ossa
Comparendo generalmente nell’infanzia, la malattia è caratterizzata da un’ossificazione anormale dei muscoli, che sopraggiunge nel corso di episodi dolorosi. “Come suggerisce il nome, si tratta di una malattia che progredisce in concomitanza con episodi infiammatori locali. Partendo dalla regione cervicale, si diffonde progressivamente alla colonna vertebrale e ai muscoli scheletrici. È possibile sospettare la presenza della malattia nel caso di malformazione dell’alluce, che appare più piccolo e curvo”, precisa la Dr.ssa Martine Le Merrer, specialista della malattia presso l’ospedale infantile Necker di Parigi (Unità Inserm 393). Associata a malformazioni ossee di diversa natura, in casi estremi la malattia può arrivare a colpire i muscoli, eccetto i muscoli della lingua, della faringe, del diaframma, degli sfinteri e il muscolo cardiaco. Benché questa malattia non possa causare la morte, l’immobilizzazione o la perforazione di un polmone in seguito alla crescita di un nuovo osso può rivelarsi fatale.
Le ossa “soprannumerarie” si formano nello stesso in modo in cui si genera un osso dopo una frattura. Qualsiasi tentativo di estrarre il nuovo osso comporterà la formazione di uno nuovo ancora più robusto. “Ragione per cui è necessario limitare il più possibile qualunque biopsia o qualsiasi intervento chirurgico. Anche la vaccinazione può causare problemi nei soggetti colpiti dalla malattia”, sostiene la Dr.ssa Le Merrer.
Nonostante le descrizioni dei primi sintomi della malattia dell’uomo di pietra risalgano al XVII secolo, nessuna ricerca condotta a quel tempo aveva permesso di risalirne alle cause.
Tuttavia, si è riusciti a sopperire alla mancanza di mezzi di ricerca grazie alla perseveranza di alcuni studiosi, tutti decisi a raccogliere questa sfida contro la “medusa” genetica.
La FOP può essere paragonata a una bomba a scoppio ritardato. Tutte le informazioni genetiche necessarie allo sviluppo e alla crescita del bambino e dell’adulto sono racchiuse nel DNA. Una mutazione è responsabile della formazione di ossa in punti del tutto assurdi del corpo. Questa anomalia segna l’inizio della FOP. Anche se la decifrazione dell’alfabeto della vita (DNA) annunciata per l’inizio di quest’anno rappresenta una grande speranza, secondo le ultime stime il numero di geni da classificare si aggira intorno ai 30.000.
Di questi 3,5 miliardi di basi che compongono il nostro DNA, solo alcune aggregazioni formano geni che cifrano le proteine. La difficoltà consiste nell’identificazione di queste sequenze, che rappresentano solo il 3% del genoma. L’analisi dei dati, l’identificazione e la determinazione del ruolo di ogni gene sono appena iniziate. È solo questa fase, definita di “annotazione”, che permetterà di giungere alla messa a punto di terapie.
Nel gennaio 2000, la rivista scientifica American Journal of Human Genetics riferiva che il gene della FOP pareva localizzato in una regione particolare del cromosoma numero 4. Da quel momento, la ricerca genetica ha permesso di scartare diversi geni candidati, senza ancora giungere a identificare il responsabile. “Lo scarso numero di famiglie colpite dalla malattia ci limita nella determinazione precisa del gene”, precisa la Dr.ssa Le Merrer. “L’individuazione del gene responsabile ci permetterebbe di comprendere ciò che scatena la malattia.”
In nessun altro caso la qualifica di ricercatore ha più senso che nella lotta contro la FOP. Alla ricerca genetica, infatti, viene ad aggiungersi la ricerca dei composti chimici naturali.
È nelle profondità oceaniche che continua questo “giallo” medico: infatti, fu in uno dei mostri degli abissi, il pescecane, che il Prof. Zasloff dell’università della Pennsylvania (Stati Uniti) scoprì una proteina assai promettente. Lo scheletro degli squali è costituito interamente da cartilagine. L’assenza di ossa deriva da una limitata irrorazione sanguigna che impedisce alla cartilagine di diventare osso. Nel fegato di questo predatore marino, lo studioso scoprì una nuovissima sostanza in grado di bloccare lo sviluppo dei vasi sanguigni. Il farmaco che si ottenne, lo squalene, è attualmente oggetto di sperimentazioni terapeutiche.
Un altro composto in grado di limitare la formazione di ossa è stato ritrovato nell’embrione di una rana africana dal Prof. Harland, biologo molecolare presso l’Università della California. Questa proteina, nota come Noggin e scoperta nel 1996, svela poco alla volta i suoi segreti. È attualmente oggetto di numerosi progetti di ricerca.
Per il momento resta il fatto che le persone colpite da FOP devono fare i conti ogni giorno con questa malattia le cui cure non permettono ancora di fermare la progressione.