Nel mese di agosto gli astronomi dell’ ESO (European Southern Observatory) hanno scoperto un sistema solare gemello del nostro. Si trova nella costellazione dell’Hydrus a 127 anni luce dalla Terra (oltre un milione di miliardi di km) ed é composto da almeno cinque pianeti in orbita attorno alla stella HD10180 : è il sistema planetario più simile al nostro mai osservato fino a oggi.
La scoperta è stata possibile grazie al potente spettrometro HARPS montato sul telescopio di la Silla (Cile). In oltre sei anni di osservazioni di HD10180, gli scienziati hanno rilevato cinque pianeti con masse simili a quelle di Nettuno (tra le 13 e le 25 masse terrestri) e con periodi di rivoluzione tra 6 e 600 giorni. In questo sistema i ricercatori avrebbero identificato anche il più piccolo pianeta extrasolare mai scoperto, con una massa pari a 1,4 masse terrestri e una rivoluzione di soli 1,18 giorni.
L’aspetto più interessante è che le distanze dei pianeti dalla loro stella sembrano seguire uno schema simile a quello rilevabile nel Sistema Solare, e ciò potrebbe indicare una loro origine comune.
È nata la vita artificiale: creata la prima cellula con genoma sintetico. La notizia è stata resa nota il 20 maggio scorso dalla rivista Science: il genetista americano Craig Venter, autore della prima mappa completa del DNA umano, ha creato il primo batterio controllato da un DNA artificiale capace di auto replicarsi battezzato Mycoplasma mycoides JCVI-syn1.0.
“È la prima cellula sintetica fabbricata dall’uomo e la chiamiamo sintetica perché è derivata interamente da un cromosoma sintetico, costruito con 4 bottiglie di 4 diverse sostanze chimiche, le basi della vita, e un sintetizzatore chimico, il tutto manovrato da un computer che detta le istruzioni della sequenza” spiega Venter. La scoperta dei ricercatori è frutto di un’opera certosina di assemblaggio: il DNA sintetico del batterio Mycoplasma mycoides è stato impiantato in una cellula di Mycoplasma capricolum, precedentemente privata del suo genoma.
Le applicazioni di questa scoperta saranno molteplici e permetteranno di creare batteri capaci di ripulire acque e terreni inquinati o di produrre biocarburanti e vaccini.
Nel mese di luglio la sonda spaziale Planck ci regala la prima e più completa immagine mai realizzata dell’intero universo. Lanciato dall’ESA nel maggio del 2009 e in orbita a 1,5 milioni di km dalla terra, il telescopio spaziale si è guardato indietro e ha inviato sulla Terra un inedito ritratto del cosmo che mostra l’universo come è oggi e com’era un attimo dopo la sua creazione.
Il disco bianco al centro dell’immagine è la Via Lattea, mentre la vasta area rosa che occupa tutta la parte superiore e inferiore dell’immagine è ciò che resta della luce del Big Bang 13,7 miliardi di anni dopo. Si tratta di radiazioni luminose a bassissima frequenza, invisibili per l’occhio umano ma non per quelli elettronici di Planck.
Dall’analisi di questa luce primordiale gli scienziati potranno approfondire la storia dei primissimi istanti di vita dell’universo e in particolare della fase di inflazione cosmica, avvenuta una frazione di secondo dopo il Big Bang, in cui l’universo si è espanso improvvisamente di 40 ordini di grandezza ossia un numero di volte pari a 1 seguito da 40 zeri.
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10 anni di ricerche, 2700 scienziati da 80 paesi, 540 spedizioni scientifiche, 30.000.000 di osservazioni, 120.000 specie descritte, 6000 nuove specie scoperte, 2600 articoli pubblicati.
Sono i numeri di Census of Marine Life, la più completa e approfondita ricerca sulla biodiversità marina mai condotta nella storia. Finalmente lo studio è terminato e i risultati sono stati pubblicati in un rapporto di ricerca lo scorso 4 ottobre.
Nei mari di tutto il mondo gli scienziati hanno incontrato creature davvero singolari: una lumaca (Alviniconcha sp) che vive in simbiosi con dei batteri, un microscopico crostaceo (Ceratonotus steiningeri) lungo meno di un millimetro, un gelatinoso pesce nasuto (Psychrolutes microporos) senza muscoli che non sa nuotare, un calamaro vampiro (Vampyroteuthis infernalis), un mollusco con una corazza da far invidia a un carro armato, un’idromedusa (Bathykorus bouilloni) che vive nelle acque artiche a più di 1.000 metri di profondità, ma anche granchi pelosi e animali che si credevano estinti.
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Tutti gli uomini moderni, a eccezione delle popolazioni africane, hanno nel proprio Dna dal 1 al 4 % del patrimonio genetico dell’uomo di Neanderthal, estinto circa 30 mila anni fa. È uno dei risultati più sorprendenti di una ricerca condotta da scienziati del Max Planck Institute for Evolutionary Antropology di Lipsia che, per la prima volta, sono riusciti a sequenziare il 60% del Dna dell’uomo di Neanderthal e a confrontarlo con quello di 5 persone con provenienza diversa.
Secondo i ricercatori Homo sapiens e uomo di Neanderthal si incrociarono in Medio Oriente e grazie a queste antiche coppie miste i geni dei Neanderthal sono sopravvissuti fino a oggi. La scoperta, pubblicata dalla rivista Science nel maggio 2010, potrebbe mettere in dubbio le teorie sull’evoluzione dell’Homo Sapiens.
Dopo anni di studi e tentativi, i ricercatori sono riusciti a raccogliere un numero sufficiente di frammenti di Dna non contaminato soprattutto dalle ossa di tre donne neanderthaliane vissute 38 mila anni fa e ritrovate in una grotta della Croazia.
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Il 2010 ha riportato alla luce animali giganteschi e fiori comuni vissuti milioni di anni fa. Il Kosmoceratopo si aggiudica il primato del più cornuto: ben 15 corna sulla testa lunga 2 metri di questo dinosauro vissuto 76 milioni di anni fa, i cui resti sono stati scoperti nello Utah. Antenati dei moderni rinoceronti, i kosmoceratopi utilizzavano le corna come richiamo sessuale e arma da combattimento per la conquista del partner.
Nello stesso sito sono stati rinvenuti i resti di un animale ancora più grande, l’Utahceratopo, una nuova specie simile al Triceratopo con tre corni disposti al centro del naso e sopra gli occhi. Tra i ritrovamenti più curiosi dell’anno quello di un pinguino gigante alto 1,5 metri con piume arancioni, grigie e bianche scoperto in Perù. Vissuto 36 milioni di anni fa, l’ Inkayacu paracasensis ha permesso agli scienziati, mediante lo studio di minuscoli pigmenti dei colori (i melanosomi), di comprendere l’evoluzione che ha portato questi uccelli a diventare provetti nuotatori.
In Patagonia, infine, è stato rinvenuto il primo fossile di margherita risalente a 50 milioni di anni fa: la scoperta, pubblicata a settembre su Science, permetterà di studiare le origini oggi sconosciute delle asteracee, famiglia di cui fanno parte 23 mila specie tra cui margherite, girasoli e crisantemi.
Lo scorso 11 febbraio è stato messo in orbita il Solar Dynamics Observatory (SDO), un nuovo telescopio spaziale della NASA destinato a rivoluzionare le nostre conoscenze sul Sole. Le straordinarie immagini che trasmette consentono di raccogliere dati che permetteranno agli astrofisici di capire i misteriosi meccanismi che governano la nostra stella.
Uno degli obiettivi principali è quello di monitorare le tempeste solari che periodicamente compaiono sulla sua superficie e di comprendere l’influenza dei campi magnetici solari sui processi che hanno luogo al suo interno.
Lo studio di questi fenomeni riveste una grande importanza non solo scientifica, ma anche per gli effetti che possono provocare sulla Terra. Per esempio, nel 2013 è prevista una tempesta solare che, secondo la NASA, potrebbe causare interruzioni dei sistemi di comunicazione, guasti ai satelliti artificiali (specie GPS) e alle reti elettriche. Le osservazioni di SDO permetteranno di approfondire l’origine di questi fenomeni e di prevederli con un maggior grado di precisione.
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Gli alieni esistono: parola dell’astrofisico britannico Stephen Hawking. In un universo con cento miliardi di galassie, ciascuna contenente centinaia di milioni di stelle, è improbabile che la Terra sia l’unico luogo dove si sia evoluta la vita. “Gli alieni sono là fuori e la Terra è meglio che faccia attenzione a loro”, sostiene lo scienziato in un’intervista al Sunday Time dell’aprile scorso.
Secondo la sua tesi, è possibile ipotizzare la vita extraterrestre con le forme che noi conosciamo: dal microrganismo al bipede intelligente. Tuttavia è più probabile la presenza di organismi semplici come quelli che per milioni di anni hanno dominato il nostro pianeta.
Ma è meglio non abbassare la guardia, in quanto un qualsiasi contatto con la vita aliena potrebbe risultare disastroso per l’umanità, sia per le malattie contro le quali non possediamo alcun anticorpo, sia perché gli alieni potrebbero sbarcare sul nostro pianeta per sfruttarne le risorse. In fondo “basta guardare a noi stessi per vedere come potrebbe svilupparsi la vita intelligente in qualcosa che non vorremmo incontrare”.
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La luna poco a poco ha coperto quasi del tutto il sole, lasciando in cielo solo un grande anello di fuoco. Quella del 15 gennaio scorso resterà nella storia come l’eclissi del millennio: un’eclissi anulare dalla durata record di 11 minuti e 7 secondi.
Un eclissi viene definita “anulare” quando il diametro apparente della Luna è più piccolo rispetto a quello solare, lasciando visibile la corona esterna della stella. Per osservare un’eclissi anulare così lunga si dovrà aspettare il 23 dicembre del 3043.
Hanno potuto ammirare lo spettacolo gli abitanti dell’Africa centrale e dell’Asia orientale, mentre in Italia è rimasto poco visibile. Iniziato in India alle 11 (le 6.30 ora italiana), il momento clou del fenomeno sul territorio indiano si è verificato alle 13.39 (le 9.09 italiane). Durante l’eclissi, l’Organizzazione di ricerca spaziale indiana (Isro) ha lanciato cinque razzi per studiarne gli effetti sugli strati medi e bassi dell’atmosfera.
Il robot più piccolo creato dall’uomo è un microscopico ragno 100.000 volte più piccolo di un capello umano. Messo a punto da Milan Stojanovic e dai suoi colleghi della Columbia University, la nano creatura è stata realizzate utilizzando come elementi base le molecole di DNA.
Il micro robot è costituito da un corpo formato da una proteina (la streptovidina) e da 4 zampette costituite da singoli filamenti di DNA. Il ragno si muove lungo un binario formato da un altro filamento di DNA la cui sequenza è complementare a quella delle zampette: in questo modo l’attrazione tra binari e zampe fa procedere il robottino un passo dopo l’altro come lungo i denti di una cremagliera. È quindi possibile per i ricercatori guidare le nano macchine biologiche in qualsiasi direzione: basta posare il binario di DNA lungo il percorso desiderato.
Questo esercito di micro robot può essere usato per operazioni di chirurgia a livello cellulare: strutturando opportunamente il percorso dei ragni li si può istruire a portare farmaci terapici su singole cellule cancerogene oppure a eliminare le ostruzioni all’interno dell’apparato circolatorio.