NE’ VIVI né morti per ben due ore. Dieci pazienti con ferite gravissime da coltello o arma da fuoco, una volta arrivati in ospedale, saranno posti in una condizione definita tecnicamente “animazione sospesa”. Questo consentirà ai chirurghi di guadagnare tempo prezioso per poterli operare e poi riattivare tutte le loro funzioni vitali. Il professore che la sta sperimentando racconta la tecnica a Repubblica.it
Anche se sembra quasi di leggere una sceneggiatura di fantascienza, questa tecnica sarà effettivamente messa in pratica al Presbyterian Hospital UPMC di Pittsburgh, in Pennsylvania, negli Stati Uniti. Qui è iniziata da pochi giorni una sperimentazione condotta dal dottor Samuel Tisherman, che racconta: “Come chirurgo ho lavorato al pronto soccorso operando persone con gravi traumi per vent’anni. Ho visto pazienti morire quando avrebbero potuto essere salvati semplicemente se avessimo avuto un po’ più di tempo per controllare la loro perdita di sangue e operarli”.
Quando al cervello non arriva abbastanza plasma a causa di un arresto cardiaco, o perché nel corpo ne rimane ben poco, bastano infatti pochi minuti per subire danni irreversibili che possono portare alla morte. “Oltre al mio lavoro al pronto soccorso, sono stato coinvolto nei più recenti studi sugli alti livelli di ipotermia raggiunta da alcuni pazienti che non avevano subito arresti cardiaci post traumatici”, continua Tisherman, “ho potuto così studiare i potenziali benefici dell’abbassamento della temperatura corporea che si possono applicare negli ospedali”.
Ai pazienti che arriveranno al trauma center del Presbyterian Hospital in condizioni estremamente critiche, con una probabilità di sopravvivere non superiore al 7%, il chirurgo effettuerà un drenaggio completo del sangue che sarà sostituito da una soluzione salina fredda. Questo liquido iniettato nelle loro vene dovrebbe abbassarne rapidamente la temperatura, fino a circa 10 gradi, e fermare così quasi completamente le loro attività cellulari, incluse quelle cerebrali. Dunque a questo punto nessun battito di cuore, nessun respiro, nessun pensiero, e per centoventi minuti i pazienti potranno essere definiti clinicamente morti.
Tisherman parla di tutta questa prima fase come “la più difficile”, proprio perché è quella veramente “diversa rispetto a come operiamo normalmente”, per questo “deve cominciare il prima possibile” spiega il chirurgo che non nasconde un dubbio: “Quanto la sostituzione del sangue con il liquido freddo riuscirà ad abbassare in modo efficace la temperatura corporea dei degenti resta un punto di domanda”.
I vantaggi del raffreddamento per gli esseri umani, ipotermia indotta, in campo medico sono noti da decenni. Con una temperatura normale, circa 37 gradi centigradi, le cellule hanno bisogno di un apporto di ossigeno regolare per poter produrre energia. Se però il cuore smette di battere e il sangue cessa di scorrere, il cervello ha un’autonomia di 5 minuti circa prima di subire danni irreversibili. A temperature più basse invece le cellule richiedono meno ossigeno per sopravvivere, perché le reazioni chimiche al loro interno rallentano. Questo spiega ad esempio il motivo per cui alcune persone salvate dall’annegamento in laghi ghiacciati a volte possono essere rianimate dopo più di mezz’ora senza respirare.
Spesso i medici, prima di un intervento chirurgico al cuore o al cervello, abbassano la temperatura corporea dei pazienti con impacchi di ghiaccio e facendo circolare il loro sangue attraverso un sistema di raffreddamento esterno. Così possono guadagnare fino a 45 minuti per l’operazione. Questo processo però richiede tempo e pianificazione, due elementi inconciliabili con le condizioni di alcuni pazienti che sono in punto di morte, come chi ha subito pugnalate o colpi di arma da fuoco.
“E’ difficile prevederlo”, chiarisce Tisherman, “ma se per questi pazienti riusciremo ad aumentare le probabilità di sopravvivenza dal 7% al 15% o magari al 20% sarà per noi un grande successo”. La tecnica che userà il chirurgo è stata già sperimentata con i suini, nel 2002, dal team del dottor Hasan Alam alla University of Michigan Hospital. L’esperimento ha avuto successo. Dopo il periodo di prova al Presbyterian Hospital, i risultati ottenuti saranno comparati con quelli di altri dieci degenti nelle stesse condizioni che non hanno beneficiato della nuova tecnica. Poi sarà ulteriormente migliorata e testata.
“Se riusciremo a consolidare questo metodo potrebbe essere adottato da altri trauma center”, conclude Tisherman, “inoltre una volta perfezionata anche la strumentazione e i fluidi utilizzati magari saremo in grado di usarlo anche fuori dagli ospedali e l’Esercito americano potrebbe essere interessato”.
Fonte: repubblica.it