C’erano 23 gradi sotto zero, in una delle giornate più calde dell’anno, quando l’ultimo “occhio” di IceCube è stato calato a due chilometri e mezzo di profondità nel ghiaccio antartico. Un drappello di fisici da tutto il mondo ha potuto così festeggiare il completamento dell’osservatorio più estremo del mondo: IceCube, una rete di rivelatori piazzata nel bel mezzo del polo sud.
Ghiaccio purissimo, vecchio di almeno 100mila anni e privo di radioattività: è l’alleato di IceCube nel tentativo di captare i neutrini, particelle tanto abbondanti nell’universo quanto sfuggenti e restie a farsi analizzare. Non è un caso che uno dei principali laboratori oggi funzionanti sia quello del Gran Sasso, schermato da 1.400 metri di montagna.
A una profondità di un chilometro e mezzo nel polo sud, credono i ricercatori dell’università del Wisconsin che gestiscono IceCube, il peso del ghiaccio elimina qualunque bolla d’aria. I cristalli sono così puri e trasparenti, e allo stesso tempo bui e privi di radiazione solare, da far captare anche una minima scintilla di luce. Ed è proprio con un impercettibile flash che il passaggio dei neutrini accanto agli “occhi” di IceCube dovrebbe manifestarsi, pronto a scatenare un altro brindisi nella base Amundsen-Scott in superficie.
Quello calato nei giorni scorsi era l'”occhio”numero 5.160 di IceCube. I rivelatori (grandi meno di mezzo metro e molto simili a occhi nel loro aspetto) sono fissati a un cavo immerso verticalmente nel ghiaccio, a una profondità che va da un chilometro e mezzo a due chilometri e mezzo. Usando acqua calda, dal 2005 a oggi e per un costo di 270 milioni di dollari, i ricercatori hanno scavato 86 fori per immergervi altrettanti cavi. Poi hanno aspettato che il ghiaccio si ricompattasse fissando per sempre i rivelatori in profondità. Complessivamente, un chilometro cubo di Antartide sarà monitorato dall’osservatorio, nella speranza che alcuni neutrini di passaggio provochino la “scintilla” giusta.
Insieme ai fotoni, i neutrini sono fra le particelle più abbondanti dell’universo. Diversi trilioni attraversano il nostro corpo ogni secondo. Ma non avendo carica elettrica ed essendo insensibili ai campi magnetici, sentirne la presenza o alterarne la traiettoria è molto difficile. Solo in occasioni rare a un neutrino capita di colpire un atomo. Nello scontro viene prodotta una “fontana” di particelle cariche, i muoni, che fanno sentire la loro presenza agli occhi di IceCube con una debolissima scintilla di luce blu.
Ma proprio perché i neutrini non deviano mai dalla retta via, sarà facile per i fisici risalire al loro luogo di nascita. Creando una mappa delle sorgenti di queste particelle si potrà risalire ad alcuni dei più cataclismatici eventi dell’universo, come la morte delle stelle e l’esplosione delle supernovae, la collisione fra galassie, la nascita dei buchi neri.
Se IceCube è un occhio puntato in direzione nord, (gli osservatori captano i neutrini dopo che hanno attraversato la Terra: il pianeta viene usato come schermo) nel Mediterraneo è in via di preparazione Km3net, un osservatorio europeo in cui i rivelatori sono piazzati sotto al mare, a circa tre chilometri di profondità, in vari punti del Mediterraneo. “Puntando verso sud, osserveremo anche il centro della galassia” spiega Emilio Migneco dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, coordinatore di Km3net. “Collaborando con IceCube, riusciremo a coprire entrambe le metà del cielo”.
Fonte: repubblica.it