Aubrey David Nicholas Jasper de Grey (Londra, 20 aprile 1963) è un biochimico inglese. Ha studiato alla “Sussex House School” , alla “Harrow School” e al “Trinity Hall” di Cambridge mentre da autodidatta ha studiato la biogerontologia. Prima di interessarsi alla biologia cellulare e molecolare, ha studiato informatica all’università di Cambridge, dove si è laureato nel 1985. Ha poi raggiunto la “Sinclair Research Ltd” per lavorare sullo sviluppo dell’intelligenza artificiale. Fino al 2006 è stato in carica al dipartimento di genetica, con la possibilità di utilizzare la base di dati genetici FlyBase. Ha ricevuto un titolo onorifico dall’università di Cambridge per la pubblicazione della sua teoria The Mitochondrial Free Radical Theory of Aging (Teoria sull’invecchiamento dei radicali liberi mitocondriali). |
“L’uomo che vivrà fino a 150 anni è già nato e oggi dovrebbe avere 55 anni”. Aubrey de Grey non è abituato a girare attorno alle cose. Colui che la comunità scientifica, anche quella a lui ferocemente contraria, chiama il “paladino dell’immortalità” non ha paura di apparire troppo lontano dai canoni tradizionali dello scienziato: schivo in pubblico, prudente nelle affermazioni e attento alla considerazione dei colleghi. Se così fosse, questo barbuto 44enne biogerontolgo di Cambridge con un passato da scienziato informatico non si sarebbe messo in una posizione da cui è impossibile tornare indietro: “Con gli opportuni accorgimenti e i progressi che la scienza biomedica ci fa intuire è possibile che la vita dell’essere umano possa arrivare a 1000 anni”. L’aver detto un’enormità simile avrebbe dovuto essere motivo sufficiente per essere liquidato come “matto”
e messo rapidamente ai margini della comunità scientifica. Soprattutto considerando che De Grey è autodidatta in biologia, materia di cui s’è innamorato sposando la moglie Adelaide, genetista a Cambridge: “Il mio interesse per la biologia è nato nei primi due anni del mio matrimonio, chiedendo ogni sera a mia moglie: ‘Oggi, tesoro, cosa hai fatto?’”. Non che gli manchino le “mostrine” di scienziato della vita: nel 1996, dopo aver divorato tutto lo scibile nel campo del DNA mitocondriale, De Grey formulò una nuova teoria su come questo può mutare portando all’insorgenza di tumori. Visto che la sua Università, come molte del mondo anglosassone, permetteva a un candidato di acquisire un dottorato non solo con il normale corso di studi ma anche discutendo davanti a una commissione un proprio corpo di ricerche, De Grey portò la sua teoria davanti ai soloni della biologia di Cambridge e la difese dal fuoco incrociato delle domande e richieste di precisazione. De Grey passò indenne la discussione ed entrò ufficialmente nei ranghi della biologia. Era l’autunno del 2000.
Questo background a dir poco originale, le affermazioni esagerate sulle prospettive dell’allungamento della vita e la temerarietà della sua SENS (“strategies for engineered negligible senescence” ovvero “strategie per una vecchiaia resa trascurabile”, i sette passi con cui in futuro sconfiggere le sette cause di morte oggi conosciute – vedi Box) non sono però state sufficienti a impedire a De Grey di trovare un posto centrale nel dibattito scientifico sulla lotta all’invecchiamento. Certo, non sono mancati gli attacchi durissimi, che però sembrano concentrarsi più sul metodo che sul merito delle teorie di De Grey. Tanto che l’invito lanciato dalla prestigiosa rivista Technology Review a confutare su base scientifica la SENS – con tanto di premio da 10mila dollari – non è stato ad oggi raccolto da nessuno. Il che non fa altro che far lievitare il carisma di De Grey.
D. Dr De Grey, la prima domanda è ovvia: ogni essere vivente in Natura prima o poi muore. Perché dovremmo cercare di sfuggire al nostro destino naturale (nel senso letterale del termine)?
R. Da quando è comparso sulla Terra, l’uomo ha cercato di modificare la Natura e la natura delle cose. Lo abbiamo fatto scoprendo il fuoco, inventando la ruota, sviluppando i vaccini e così via. Se è stato giusto fare quello che abbiamo fatto – e credo che siamo tutti d’accordo al riguardo – credo lo sia anche cercare di trovare il modo di combattere qualcosa che produce un’indicibile quantità di sofferenza come l’invecchiamento.
D. Se “bandire” la morte dalla nostra esistenza è scientificamente concepibile perché ci è voluto uno scienziato informatico prestato alla biologia per farne una teoria scientifica? Nessuno degli scienziati del ramo ci ha mai seriamente pensato…
R. Non è vero. Ci sono stati biologi e gerontologi che hanno pensato che combattere l’invecchiamento si può. Più che altro non si sono attentati a sostenerlo pubblicamente ed esplicitamente. Io ho solo ipotizzato un’altra soluzione possibile e la sostengo a dispetto di ogni resistenza preconcetta che mi trovo davanti. Quanto al contributo di un “esterno del ramo”, è cosa abbastanza frequente nella scienza: chi non ha vissuto sempre immerso in una materia spesso ha una visione più aperta quando si interessa a quella stessa materia. Basta pensare alla “biologia molecolare”: in pratica l’hanno inventata scienziati che in origine erano dei fisici.
D. Lei non fa attività sperimentale. Non si trova a disagio a parlare di cose che poi non verifica in laboratorio, il che peraltro fornisce argomenti e munizioni ai suoi critici?
R. Vede, prima che io dica qualcosa sul contrasto all’invecchiamento che so potrebbe risultare controverso, ne parlo fino allo sfinimento con biologi competenti in quell’area specifica. Quindi chi critica me, in pratica critica gente che ha – nel campo in questione – non meno competenza di quella che credono di avere i miei critici. Circa la mia scelta di non impegnarmi in attività sperimentale, questa è dovuta al fatto che preferisco cercare – e collegare – le nuove varie idee e i nuovi diversi sviluppi che si producono nei più disparati campi della scienza ma che il più delle volte rimangono confinati nel ‘settore di appartenenza’. La maggior parte delle mie intuizioni sono per certi versi perfino ovvie. Sono io ad averle avute soltanto perché gli altri non hanno potuto – o voluto – studiarsi la giusta combinazione di pubblicazioni prodotte dai vari ricercatori nel mondo”.
D. Come commenta il fatto che nessuno ha ancora accettato la sfida di Technology Review?
R. Chi dice che le mie conclusioni sono estreme ed inaccettabili lo fa quasi sempre senza nemmeno dare un’occhiata nel dettaglio a ciò che sostengo. Quando poi – per qualche motivo (e la sfida di Technology Review è uno di questi) – sono obbligati ad affrontare nel merito le mie teorie, si rendono conto che quantomeno sono uno che le cose le ha pensate con cura e sulla base dei fondamenti scientifici della biologia. E che quindi non c’è nulla di “ovviamente” sbagliato nel mio ragionamento.
D. Tralasciamo per un momento la questione della fattibilità scientifica e consideriamo gli aspetti sociali e psicologici di una estensione della vita come quella di cui parla lei. Quali ne sarebbero le conseguenze da quel punto di vista? Siamo sicuri che tutto ciò sarebbe alla fin fine desiderabile?
R. Non sono uno sociologo né uno psicologo. Tutto quanto posso fare al riguardo è stimolare il più possibile chi di competenza a discutere e ragionare sulle conseguenze cui fa riferimento lei. Quello che mi sento di dire però è che dobbiamo ricordare a noi stessi che la vecchiaia uccide 100mila esseri umani al giorno. Qualsiasi problema possa insorgere dall’eventuale cura dell’invecchiamento deve essere un problema molto serio perché si possa concludere che è meglio lasciar perdere.
D. Gli scienziati per lei non hanno mezzi termini. Ci sono quelli che l’apostrofano come “il pazzo che sta screditando la biogerontologia” e quelli che la indicano come esempio di “visionario che spinge a guardare le cose in un’ottica nuova”. Cosa sente di essere diventato da quando è sceso in guerra contro l’invecchiamento?
R. Francamente non è per nulla piacevole essere così controverso ma avevo messo in conto che ci sarebbe stata una fase in cui ci sarebbero state persone che avrebbero guardato con interesse alle mie idee e altre che avrebbero fatto del loro meglio perché fossero ignorate o derise. Ora sono in questa fase ma spero le cose evolvano nel modo in cui a suo tempo fece riferimento Gandhi: “prima ti ignoreranno, poi ti derideranno, poi ti si opporranno e, alla fine, ti diranno che sono sempre stati con te”.
D. Dr De Grey, qual è l’evento che chi la legge deve sperare di veder realizzarsi per iniziare a pensare che forse anche lui/lei potrebbe vedere l’alba del XXII secolo?
R. Sarà – e non uso il condizionale volutamente – la messa a punto delle tecniche che consentiranno a un topo di mezza età di triplicare la sua aspettativa di vita residua. E’ qualcosa su cui stiamo lavorando (al riguardo De Grey ha creato il Premio “Topo Matusalemme”, www.methuselahmouse.org, per il team di scienziati che vi arrivasse per primo, ndr) e che, con i finanziamenti adeguati, potrebbe divenire realtà fra dieci, quindici anni. A parte il significato scientifico di un tale risultato, sarebbe una pietra miliare della lotta all’invecchiamento perché a quel punto tutti si convincerebbero che la vecchiaia potrebbe essere sconfitta anche per gli umani.
Box: Sette rimedi per sette cause d’invecchiamento
I sette fattori che determinano l’invecchiamento e le relative tecniche ‘riparatorie’ individuate da de Grey che potrebbero essere applicate alle cavie da laboratorio nel giro di una decina d’anni sono:
1. La perdita e/o l’atrofia di cellule (nel tessuto cardiaco e cerebrale e nei muscoli). Evenienza rimediabile iniettando fattori di stimolo della divisione cellulare o mediante terapia a base di cellule staminali.
2. Le mutazioni del nucleo cellulare (ciò che per esempio avviene nel cancro). Le cellule maligne non possono proliferare se non possono ricostituire i loro telomeri (porzioni di DNA situate al termine di ogni cromosoma con il compito di proteggerlo durante la divisione). Al riguardo de Grey propone un approccio radicale – il WILT (Whole-body Interdiction of Lengthening of Telomeres). L’idea di base è la completa inibizione della produzione di telomerasi, accompagnata – poiché anche le cellule normali necessitano dei telomeri per sopravvivere – da trapianti ad hoc di cellule staminali.
3. Le mutazioni del DNA mitocondriale. De esse possono discendere problemi nella produzione delle 13 proteine mitocondriali sintetizzate nei mitocondri. De Grey suggerisce di provocare lo “spostamento” a livello nucleare della sintesi anche di tali proteine. Per tre dei tredici geni su cui bisognerebbe intervenire la cosa è già stata realizzata, seppur solo in coltura cellulare.
4. L’eccesso di cellule di grasso e/o senescenti. Aldilà della “inutilmente invasiva” suzione chirurgica, la loro rimozione avverrà o iniettando sostanze che spingono le cellule in questione al suicidio o stimolando il sistema immunitario ad aggredirle.
5. I “cross-link” di proteine extracellulari (proteine extracellulari che si legano ad altre proteine provocando effetti patogeni, per esempio la perdita di elasticità delle pareti arteriose).L’idea è la rottura ‘farmacologica’ mirata di questi cross-link. Una molecola di questo tipo (ALT-711) esiste ed è in fase di test clinico.
6. L’accumulo di materiale extracellulare (la placca lipidica arteriosclerotica e le proteine amiloidi, responsabili queste dell’Alzheimer). Anche in questo caso secondo de Grey sarà il sistema immunitario – spronato da un vaccino – a farsi carico del problema.
7. L’accumulo di materiale intracellulare dovuto all’incapacità del lisosoma (il “sistema digerente” della cellula) di degradarlo. Il rimedio: un ‘aiuto’ enzimatico esterno, in particolare con l’apporto di idrolasi microbica transgenica.
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