Dopo il lancio perfetto, l’immissione in orbita a circa 650 km di quota e qualche giorno per i test e le calibrazioni degli strumenti, la NASA ha rilasciato la prima immagine ufficiale ottenuta dal satellite IRIS (Interface Region Imaging Spectrograph) dedicato allo studio del Sole e in particolare a una specifica porzione della sua atmosfera, che si trova tra la fotosfera, ovvero la regione visibile del disco solare e la corona, lo strato più esterno dell’atmosfera della nostra stella.
La qualità delle riprese, come ci si attendeva, è davvero elevatissima. Non ci vuole molto a capirlo, confrontando nell’immagine composita qui sopra lo stesso campo di vista del Sole ripreso dagli strumenti di SDO, un altro osservatorio solare orbitante della NASA, con quello mappato da IRIS. “Questa splendida immagine e le altre che ci stanno arrivando da IRIS ci permetteranno di comprendere come la zona più interna dell’atmosfera solare riesca a fornire l’energia necessaria a tutti quei fenomeni che osserviamo svilupparsi attorno al Sole” ha commentato Adrian Daw, Mission Scientist di IRIS. “Ogni volta che si osserva qualcosa con un livello di dettaglio mai raggiunto prima, si aprono nuove porte alla conoscenza. C’è sempre quell’elemento potenziale di sorpresa”.
La prima immagine di IRIS, ottenuta lo scorso 17 luglio, mostra la presenza di una gran quantità di strutture sottili e filamentose mai osservate prima, che vengono interpretate come la traccia evidente di notevoli sbalzi di densità e temperatura all’interno questa regione, anche su scale molto piccole, dell’ordine di solo qualche centinaio di chilometri. Le immagini di IRIS rivelano anche un’altra peculiarità, ovvero piccole zone ben delimitate che in breve tempo acquistano luminosità per poi altrettanto velocemente oscurarsi. Attraverso il loro studio gli scienziati potranno capire come l’energia viene trasportata e assorbita in questa zona del Sole.
IL VENTO FA DIMAGRIRE LE GALASSIE
La Galassia dello Scultore, nota anche come NGC 253, è una galassia a spirale nella costellazione australe dello Scultore. A una distanza di circa 11,5 milioni di anni luce dal Sistema Solare è una delle nostre vicine intergalattiche più strette e la più vicina galassia “starburst” visibile dall’emisfero meridionale. Usando ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array) alcuni astronomi hanno scoperto fluttuanti colonne di gas freddo e denso in fuga dal centro del disco della galassia.
Le galassie “starburst” producono nuove stelle a un tasso eccezionalmente alto. Poiché NGC 253 è uno degli esempi più vicini di questo tipo di galassie, è l’oggetto ideale per studiare l’effetto che questa crescita frenetica provoca sulla galassia ospite.
“Con la superba risoluzione e sensibilità di ALMA possiamo chiaramente vedere per la prima volta le enormi concentrazioni di gas freddo rilasciate bruscamente dai gusci di intensa pressione in espansione creati dalle giovani stelle”, ha detto Alberto Bolatto dell’University of Maryland, USA, primo autore dell’articolo. “La quantità di gas che misuriamo ci dà la prova che alcune galassie durante la crescita gettino fuori più gas di quello che entra. Potrebbe essere un esempio attuale di un fenomeno molto comune nell’Universo primordiale”.
Questi risultati ci aiutano a spiegare perché gli astronomi hanno trovato stranamente poche galassie di alta massa nel cosmo. Modelli al computer mostrano che le galassie più vecchie e rosse dovrebbero avere molta più massa e un maggior numero di stelle di quello che osserviamo oggi. Sembra che i venti galattici o le fuoriuscite di gas siano così forti da deprivare la galassia del carburante che serve per la formazione della successiva generazione di stelle.
Osservazioni precedenti avevano mostrato gas più caldo ma molto meno denso che defluisce dalle regioni di formazione stellare di NGC 253, ma da solo questo avrebbe un impatto limitato o nullo sul fato della galassia e sulla sua abilità di formare future generazioni di stelle. Questi nuovi dati di ALMA mostrano il gas molecolare, molto più denso, ricevere il “calcio” iniziale dalla formazione di nuove stelle e quindi essere trascinato via insieme al gas più tenute e caldo verso l’alone galattico.
“Queste caratteristiche formano un arco quasi perfettamente allineato con il brodo del flusso di gas caldo e ionizzato in uscita dalla galassia che era stato osservato in precedenza”, ha notato Fabian Walter, rcercatore del Max Planck Institute for Astronomy in Heidelberg, Germania, e co-autore dell’articolo: “Possiamo ora vedere passo per passo la progressione della formazione di stelle che diventa deflusso”.
I ricercatori hanno determinato che vaste quantità di gas molecolare – ogni anno circa dieci volte la massa del Sole, e forse molto di più – vengono espulse dalla galassia a velocità comprese tra 150 000 e quasi 1 000 000 di chilometri all’ora. Anche se le velocità sono elevate, potrebbero non essere sufficienti per espellere il gas dalla galassia: rimarrebbe così intrappolato nell’alone galattico per molti milioni di anni, e potrebbe alla fine ricadere sul disco, producendo nuovi episodi di formazione stellare. La quantità totale di gas espulso è maggiore di quella che contribuisce alla formazione delle stelle della galassia nello stesso periodo di tempo. A questo ritmo, la galassia potrebbe consumare tutto il gas in appena 60 milioni di anni.
“Secondo me questo è un esempio lampante di come nuovi strumenti plasmano il futuro dell’astronomia. Abbiamo studiato la regione di formazione stellare di NGC 253 e di altre galassie “starburst” vicine per ameno dieci anni. Ma prima di ALMA non avevamo alcuna possibilità di vedere questi dettagli”, ha sottolineato Walter. Lo studio ha utilizzato la configurazione iniziale di ALMA con sole 16 antenne. “È entusiasmante pensare che cosa potrà farci vedere per questo tipo di deflussi la versione completa di ALMA con 66 antenne!”, ha aggiunto Walter.
Nuovi studi con la schiera completa di ALMA aiuteranno a determinate il fato ultimo del gas trasportato dal vento, che svelerà se i venti prodotti dallo “starburst” stanno riciclando o veramente rimuovendo il materiale che serve per la formazione delle stelle.
Video
ISON LA COMETA FRIZZANTE
La cometa ISON (ufficialmente nota come C/2012 S1) impegnerà gli studi degli astronomi ancora per molti mesi ed è ormai costantemente sotto osservazione. Il 13 giugno scorso un gruppo di ricerca della NASA, utilizzando il telescopio spaziale Spitzer, ha ripreso la cometa per 24 ore, durante il suo primo viaggio nel Sistema Solare interno, notando una particolare “effervescenza” dalla sua superficie, probabilmente dominata da emissioni di anidride carbonica che formano una coda di 300.000 chilometri. Le immagini sono state riprese con le fotocamere montate su Spitzer e funzionanti nelle lunghezze d’onda del vicino infrarosso, 3.6 micron (a sinistra) and 4.5 micron (a destra).
“Abbiamo calcolato che ISON sta emettendo un milione di chili di anidride carbonica e circa 55 milioni di chili di polvere ogni giorno”, ha detto Carey Lisse, a capo della campagna di osservazione della cometa per la NASA e ricercatrice capo all’Università John Hopkins. “Osservazioni precedenti realizzate col telescopio spaziale Hubble e con la sonda Swift Gamma-Ray Burst Mission and Deep Impact non hanno rilevato in questo modo emissioni di gas dalla cometa”. Grazie a Spitzer ora sappiamo che il gas ha funzionato come un propulsore.
Spitzer ha ripreso la cometa quando si trovava a circa 502 milioni di chilometri dal Sole, 3,35 volte più lontano della Terra (3AU). La cometa ISON ha un diametro inferiore a 4,8 chilometri e pesa tra i 3,2 miliardi di chili ma è ancora troppo lontana così la sua vera dimensione e la densità non sono stati determinati con precisione. Come ogni cometa, anche ISON può essere paragonata a una grande palla di neve e ghiaccio, fatta di polvere e gas freddissimi: gli elementi principali di cui è composta sono acqua, ammoniaca, metano e anidride carbonica.
Gli esperti credono che la cometa abbia iniziato il suo lungo viaggio dalla lontana Nube di Oort circa 10.000 anni fa e il 28 novembre prossimo raggiungerà il suo perielio (il punto di minima distanza di un corpo dal Sole) passando a 1,16 milioni di chilometri dal Sole. Avvicinandosi alla nostra stella si riscalderà gradualmente e molti gas verranno rilasciati, ma la sua attività sarà dominata dall’anidride carbonica fino a circa 3 volte la distanza Terra – Sole. Gli astronomi definiscono questo limite snow line e per ISON si verificherà proprio tra luglio e agosto quando la cometa si avvicinerà a Marte. Per snow line si intende quella cintura, dove si trova anche la Terra, dove l’acqua si mantiene costantemente allo stato liquido.
ISON è stata scoperta il 21 settembre 2012 da due astronomi russi dell’International Scientific Optical Network (ISON) in Russia, Vitali Nevski e Artyom Novichonok, quando si trovava tra le orbite di Giove e Saturno. “Questa osservazione ci dà una buona immagine di una parte della composizione di ISON e dell’estensione del disco protoplanetario da cui si sono formati i pianeti“, ha detto Lisse.
“Queste osservazioni pongono le basi per ulteriori scoperte non appena partirà la campagna osservativa globale della NASA“, ha detto James L. Green, direttore del Planetary Science della NASA a Washington. “ISON è molto eccitante – ha continuato – e crediamo che i dati raccolti ci possano aiutare a spiegare la formazione del nostro sistema solare“.