Helena Petrovna Blavatsky (nata il 12 Agosto 1831 e morta l’8 Maggio 1891) fu una delle più misteriose donne esoteriche che l’America abbia mai conosciuto, infatti è stato grazie a lei che siamo venuti a conoscenza di un libro che ha dell’incredibile: “il libro di Dzyan”. Questo libro,tenuto nascosto dai monaci tibetani in un luogo segreto, ha delle origini che si perdono nella notte dei tempi e a cui solo Helena ha avuto il privilegio di leggerlo durante un pellegrinaggio in Tibet e lei stessa lo descriveva come un testo antico di millenni redatto in lingua Senzar e conservato in un luogo segreto del Tibet. Scritto «su foglie di palma, ma rese inalterabili al fuoco, all’acqua e all’aria mediante qualche processo specifico ignoto».
Fra le storie narrate se ne trova una che sembra proporre scenari ancora oggi futuribili. Vi si narra infatti di un gruppo di esseri venuti sulla Terra alcune migliaia di anni fa a bordo di veicoli metallici che si posarono soltanto dopo aver girato intorno al globo diverse volte. Queste creature venivano venerate dagli uomini tra i quali si erano stabilite pur vivendo appartate. Tuttavia, insorte talune divergenze all’interno del gruppo di esseri, accadde che una parte dei maschi con alcune donne e bambini andò a stabilirsi in un’ altra città. La separazione non servì però a risolvere i problemi che avevano diviso il gruppo, difatti il governante della prima città salì in aria con un vascello metallico e alcuni soldati. Mentre era ancora a diverse leghe di distanza dalla città avversaria, partì dal vascello “un immenso, fulgido dardo sospinto da un fascio di luce che esplose nella città nemica in un enorme globo di fuoco il quale ascese in cielo quasi fino alle stelle. Quanti abitavano la città ne rimasero orribilmente ustionati e quelli che nella città non si trovavano, ma nelle sue vicinanze, ne furono pure scottati. Coloro che avevano guardato il globo di fuoco ne rimasero accecati per sempre. E quanti misero in seguito piede nella città si ammalarono e morirono. La polvere stessa della città era veleno e così erano avvelenati i fiumi che la attraversavano. Gli uomini non osarono più avvicinarsi, la città si sgretolò a poco a poco e diventò polvere, fino a che se ne perse il ricordo” . Quando il comandante ebbe visto il male che aveva fatto alla sua stessa gente, si ritirò nel proprio palazzo e si rifiutò di ricevere chicchessia. In seguito chiamò a raccolta i resti del suo popolo e con loro risalì in cielo sparendovi senza più fare ritorno. Risultano evidenti, in questa storia, le analogie con gli effetti di un bombardamento nucleare: si veda ad esempio la descrizione del “Fulgido dardo” che rievoca alla mente le fattezze dei moderni missili sospinti da una propulsione che nel testo viene descritta come un “fascio di luce”. Le conseguenze dell’esplosione (fiamme fino al cielo, ustioni, inquinamento di aria e acqua nella zona circostante l’evento), ricordano in modo impressionante e fin nei minimi dettagli gli effetti delle moderne esplosioni atomiche. Ci troviamo dunque di fronte ad un dubbio: considerare il tutto frutto esclusivamente della fantasia di un antico poeta è impossibile data la conoscenza degli effetti dei bombardamenti atomici che il nostro eventuale poeta sembra avere. A maggior ragione, tuttavia, ricondurre tutto ad un’invenzione letteraria della Helena Blavatsky non è risolutivo in quanto, nell’anno di pubblicazione del libro ad opera della donna, i particolari degli effetti delle esplosioni atomiche non erano ancora conosciuti.
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