Matematica e ricordi non vanno d’accordo. O almeno, così è per una struttura cerebrale detta corteccia posteromediale (PMC), una regione che ha un ruolo fondamentale nelle attività introspettive e che viene fortemente attivata quando si cerca di ricordare un episodio della propria vita, ma è disattivata altrettanto fortemente quando si è impegnati a risolvere un problema di matematica. A scoprirlo è stato un gruppo di ricercatori della Stanford University School of Medicine con uno studio pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”.
Lo studio è anche uno dei più accurati condotti fino a oggi su questa struttura situata in prossimità della congiunzione fra i due emisferi: “Questa regione del cervello è ben collegata con molte altre che sono importanti per le funzioni cognitive superiori – spiega Josef Parvizi, che ha diretto lo studio – ma è molto difficile da raggiungere. Situata così in profondità nel cervello che i metodi elettrofisiologici usati più comunemente non possono accedervi.”
Gli scienziati hanno esaminato alcuni pazienti affetti da gravi forme di epilessia che non rispondevano alle cure farmacologiche ed erano quindi candidati a una terapia chirurgica. In questi soggetti il focolaio all’origine delle crisi convulsive si trovava proprio in prossimità della linea mediana del cervello. L’impianto temporaneo di elettrodi per il monitoraggio dell’area – necessario per una delimitazione più precisa del focolaio – ha così offerto l’occasione per studiare da vicino anche l’attività della PMC.
Localizzazione della corteccia posteromediale studiata nella ricerca
I ricercatori hanno fornito ai pazienti un computer portatile attraverso cui venivano proposti alcuni semplici compiti. In particolare, il portatile proponeva una serie di affermazioni – che i soggetti dovevano classificare come vere o false – appartenenti a quattro diverse categorie. Tre di queste facevano riferimento al paziente con diversi gradi di specificità. Le frasi di una di queste tre categorie si riferivano in modo specifico alla cosiddetta “memoria autobiografica episodica” (per esempio: “Ieri ho bevuto il caffè”); in un’altra categoria ricadevano affermazioni più generiche (“Mangio molta frutta”) e infine in una terza c’erano affermazioni generali più astratte, che coinvolgevano un processo di autovalutazione (“Io sono onesto”).
Alla quarta categoria appartenevano invece affermazioni che non richiedono un’introspezione ma un’attenzione rivolta all’esterno, costituite da semplici espressioni aritmetiche (“67 + 6 = 75, vero o falso?”).
I dati registrati dai ricercatori hanno mostrato una forte attivazione della PMC nel processo di richiamo delle proprie esperienze passate, un’attività relativamente ridotta nella valutazione delle affermazioni di tipo meno narrativo (“Mangio molta frutta”) e praticamente nessuna attività per le affermazioni autovalutative.
Secondo gli autori dello studio, questo suggerisce che la PMC non sia il “centro della consapevolezza di sé”, come è stato prospettato da altri scienziati, ma è impegnata in modo specifico nella costruzione di scene narrative autobiografiche, come avviene nel ricordo o l’immaginazione.
La cosa più singolare che hanno rilevato è però che tutti i circuiti monitorati che si attivavano quando veniva attivata la memoria episodica non solo apparivano silenti durante l’esecuzione del compito matematico, ma erano addirittura attivamente silenziati: “Quanto più un circuito è attivato durante il richiamo autobiografico, tanto più è inibito durante l’analisi matematica. E’ praticamente impossibile fare entrambe le cose contemporaneamente”, ha detto Parvizi, osservando che i due compiti impongono ai circuiti dell’attenzione di dirigersi in direzioni opposte: verso l’interno per evocare un ricordo e verso l’esterno per risolvere il quesito matematico.