Da sempre nelle varie religioni del mondo è esistita la figura di un essere divino protettore che nella religione cristiana vengono chiamati angeli. Ma chi sono questi angeli?
Il termine greco antico ánghelos (messaggero) è riferito al dio Hermes considerato il messaggero degli Dei. Identica funzione viene attribuita ad Iride sia nell’Iliade che negli Inni omerici, così in Platone, nel Cratilo (407e-408b) queste due divinità vengono indicate come ángheloi degli Dei. Allo stesso modo viene indicata Artemide-Ecate (Sofrone- Scoli a Teocrito, II,12) alludendo ai suoi rapporti con il mondo dei morti (Inferi). Anche Hermes è “messaggero di Persefone” (Inscriptiones Graecae XIV, 769) e quindi in rapporto con i mondo dei morti.
In collegamento a ciò, Sam Eitrem evidenzia che a Tera sono state rinvenute delle interessanti iscrizioni sepolcrali cristiane nelle quali viene menzionato l’ánghelos del defunto (Inscriptiones Graecae III, 933 e segg.).
Nella riflessione teologico-filosofica antica un tema corrispondente alla comune nozione degli angeli è già presente.
In Talete, come in Eraclito, il mondo è pieno di dèi vale a dire di angeli.
Per i pitagorici i sogni erano inviati agli uomini dai geni.
Anche Democrito parlò di geni abitanti nello spazio.
Platone, in particolare nel Convivio, menzionò dei dáimōn che, ministri di Dio, sono vicini agli uomini per ben ispirarli.
Con Filone di Alessandria (20 a.C. ca–50 d.C.), filosofo e teologo di cultura ebraica ed ellenistica, l’ánghelos greco si incrocia con il mal’akh della Bibbia (così già reso nella Septuaginta) e diviene, nella sua spiegazione esegetico-allegorica della stessa Bibbia, il nesso fra il mondo sensibile e quello del Dio trascendente unitamente alle idee, alla sapienza e al pneuma. Questo nesso si rende necessario nella teologia di Filone in quanto il Dio trascendente non potrebbe avere un rapporto diretto con il mondo sensibile per via del male in esso contenuto.
A partire dal II-IV secolo, la teologia neoplatonica pagana utilizzerà la figura dell’ánghelos, inserita nella processione dall’Uno unitamente ai Dèmoni e agli Eroi, seguendo l’ordine gerarchico di: Dei, Arcangeli, Angeli, Demoni ed Eroi.
Porfirio sosteneva che sono gli angeli a portare a Dio le nostre invocazioni difendendoci dai dèmoni malvagi.
Giamblico elaborò una gerarchia del mondo celeste sostenendo che gli angeli innalzano l’uomo dal mondo materiale mentre i demoni li spingono a immergervisi, gli arcangeli accompagnano le loro anime nel cielo e gli eroi si occupano del mondo. E la loro visione è ben differente:
« E le apparizioni degli dèi sono belle a vedersi, perché brillano, quelle degli arcangeli solenni e calme, più miti quelle degli angeli, quelle dei demoni terribili. Quelle degli eroi […] sono senz’altro più miti di quelle dei demoni, quelle degli arconti ti fanno sbigottire, se essi esercitano il loro potere sul mondo, mentre sono dannose e dolorose a vedersi, se essi sono nella materia; quelle delle anime, infine, assomigliano per qualcosa a quelle degli eroi, ma sono più deboli. » | |
(Giamblico. De mysteriis Aegyptiorum, Chaldeorum et Assyriorum II,3. Trad. it di Claudio Moreschi in Giamblico I misteri degli egiziani. Milano, Rizzoli, 2003, pag. 151)
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Per Proclo gli angeli hanno il compito di aiutare l’uomo a tornare a Dio, sono esseri buoni che comunicano la volontà degli dei:
« Solo ciò che è conforme al bene può fare parte della schiera degli angeli mentre il male non può entrare in tale ordine; gli angeli infatti sono coloro che comunicano e rendono chiara la volontà degli dei, occupano il posto più alto fra i generi sommi e sono caratterizzati dall’essere buoni » | |
(Proclo Tria opuscola. Milano, Bompiani, 2004, pagg.510-1)
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Il culto degli angeli fiorì in Egitto e Asia Minore tra il II e III secolo d.C.. In questo quadro tale figura veniva evocata dal rito teurgico e considerata come accompagnatore dell’uomo dall’ingresso all’esistenza terrena, quando la sua anima scendeva lungo le varie influenze delle sfere celesti che ne determinavano le caratteristiche personologiche, durante la vita in quanto ne erano guida e protezione, e nel dopo-morte, quando gli angeli divenivano responsabili della sua purificazione, dovendo recidere i vincoli dell’anima del defunto con il mondo della materia[.
Andrea Piras evidenzia la stretta connessione tra gli angeli e le anime dei defunti nelle credenze relative all’immortalità delle religioni del mondo classico in quanto, secondo tali credenze, le anime migliori venivano trasformate in angeli. Così se una persona veniva formata attraverso la perfezione spirituale poteva acquisire uno status simile a quello degli angeli e questo spiegherebbe l’aggiunta del termine “angelo” al nome del defunto nelle iscrizioni funerarie
La cultura religiosa dell’area mesopotamica ha elaborato alcune credenze sugli angeli, qui indicati con il termine sukkal (o sukol), che riverbereranno nei successivi monoteismi. Il ruolo dell’angelo babilonese è quello di messaggero-inviato del dio: il sukkal di Marduk è, ad esempio, Nabu, quello di Anu è Papsukkal mentre quello di Inanna è Mummu.
La cultura religiosa babilonese possiede degli angeli-custodi degli uomini (shedu e lamassu) raffigurati all’ingresso delle case per la protezione degli abitanti, accompagnandoli quando escono dalle stesse.
Altra figura importante è il karibu (o karabu, lett. “colui che prega, invoca”) da cui deriverà il nome giunto nella lingua italiana come “cherubino”. Il karibu viene raffigurato con le mani protese verso il cielo pronto ad intercedere con gli Dei. La sua rappresentazione, in forma antropomorfa o zoomorfa, ma comunque munita di ali è poi declinata nelle iconografie delle religioni abramitiche.
Gli “angeli” ricoprono un ruolo fondamentale nella religione zoroastriana.
Lo Zoroastrismo (o Mazdeismo) è la religione fondata dal profeta iranico Zarathuštra EbraismoCristianesimo. Tale fede religiosa presuppone l’esistenza di un unico Dio indicato con il nome di Ahura Mazdā (Colui che crea con il pensiero) sapiente, onnisciente e sommo bene il quale all’origine dei tempi creò due spiriti superiori (mainyu) più una serie di spiriti secondari. Dopo tale creazione, uno dei due spiriti superiori, Angra Mainyu (Spirito del male), si ribellò al Dio unico trascinando con sé una moltitudine di esseri celesti secondari denominati Daēva, l’altro spirito superiore Spenta Mainyu (Spirito santo del bene) unitamente ad altri spiriti secondari indicati come Ameša Spenta restarono invece fedeli ad Ahura Mazdā, avviando un scontro cosmico tra il Bene e il Male di cui la creazione dell’universo materiale e dell’uomo ne rappresenterà l’elemento centrale. All’interno di questo quadro cosmico l’uomo creato dal Dio unico deve scegliere se schierarsi con il Bene o con il Male, il fedele zorastriano non ha dubbi al riguardo: presumibilmente tra il X e l’VIII secolo a.C. e che avrà una notevole influenza sull’ e sullo stesso
Così Arnaldo Alberti:
« Ameša Spenta, Immortali benefici. Yn 0.5 e 12.1. Le entità spirituali più elevate, create da Ahura Mazdā per affiancare l’uomo nella sua lotta contro il Male. Sono i “predecessori” degli arcangeli e includono le maggiori entità divine, come Vohū Manah, il buon Pensiero, Aša, l’ordine e la rettitudine, Ārmaiti, la santa devozione e la pietà, Haurvatāt, la perfezione e la salute, Ameretāt, l’immortalità, Xšāthrā, il dominio il potere supremo e lo stesso Ahura, il Signore. » | |
(in Avestā a cura di Arnaldo Alberti. Torino, Utet, 2008, pag.623)
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Il libro sacro dello Zoroastrismo, l’Avestā, menziona al VI verso del I Yasna anche degli esseri angelici denominati Fravašay (anche Fravaši) in qualità di “angeli custodi” o “spiriti guardiani benefici” degli uomini vivi, delle loro famiglie e comunità e delle loro anime dopo la loro morte.
Una ulteriore entità spirituale, indicata come Yazata (lett. il “venerabile”) e assimilabile anch’essa alla nozione di angelo, compare tra gli altri nello Yasna I, 3 dell’Avestā:
Il Giudaismo eredita dalla tradizione mesopotamica alcuni termini come Karibu, reso in ebraico come Kerub (כְּרוּב). Ma nel monoteismo biblico Kerub[26] non è una divinità a cui essere devoti, quanto piuttosto un sottoposto dell’unico Dio onnipotente indicato come Jhwh.
La figura del Kerub compare nel Libro della Genesi:
Allo stesso modo sulla nozione dell’ “angelo” biblico si osservano influenze semitiche, cananee e zoroastriane. Così come il nome del diavolo Ashmedai (אשמדאי) che compare nel testo non canonico del Libro di Tobia deriva all’avestico *Aēšmadaēva (demonio irato).
Nelle versioni ebraiche dei testi biblici מלאך, mal’akh indica quindi un “messaggero” dove il termine l’k indica generalmente l'”inviare” qualcuno per una ambasciata, per osservare o anche spiare qualcuno o qualcosa.
Mal’akh Jhwh è quindi l’inviato di Dio che trasmette le sue volontà tra gli uomini. Mal’akh viene reso nella versione greca della Bibbia con il termine greco ánghelos.
Così, nel Libro della Genesi, testo databile a non prima della seconda metà del VI a.C., due Mal’akh Jhwh si presentano a Lot (לוֹט) per salvarlo dalla distruzione di Sòdoma che stanno per compiere per ordine di Dio, e a cui Lot rende omaggio (lett. “faccia a terra”: אַפַּיִם אָרְצָה, appayim aretzah):
« L’angelo del Signore apparve a questa donna e le disse: “Ecco, tu sei sterile e non hai avuto figli, ma concepirai e partorirai un figlio. Ora guardati dal bere vino o bevanda inebriante e dal mangiare nulla d’immondo. Poiché ecco, tu concepirai e partorirai un figlio, sulla cui testa non passerà rasoio, perché il fanciullo sarà un nazireo consacrato a Dio fin dal seno materno; egli comincerà a liberare Israele dalle mani dei Filistei”. La donna andò a dire al marito: “Un uomo di Dio è venuto da me; aveva l’aspetto di un angelo di Dio, un aspetto terribile. Io non gli ho domandato da dove veniva ed egli non mi ha rivelato il suo nome, ma mi ha detto: Ecco tu concepirai e partorirai un figlio; ora non bere vino né bevanda inebriante e non mangiare nulla d’immondo, perché il fanciullo sarà un nazireo di Dio dal seno materno fino al giorno della sua morte”. »
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(Giudici XIII,3-7. Traduzione italiana in Bibbia di Gerusalemme )
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Nel Libro di Zaccaria, testo del V secolo a.C., un angelo compare al profeta per comunicargli delle istruzioni da parte di Dio:
« Mentre io, Daniele, consideravo la visione e cercavo di comprenderla, ecco davanti a me uno in piedi, dall’aspetto d’uomo; intesi la voce di un uomo, in mezzo all’Ulai, che gridava e diceva: “Gabriele, spiega a lui la visione”. Egli venne dove io ero e quando giunse, io ebbi paura e caddi con la faccia a terra. Egli mi disse: “Figlio dell’uomo, comprendi bene, questa visione riguarda il tempo della fine”. Mentre egli parlava con me, caddi svenuto con la faccia a terra; ma egli mi toccò e mi fece alzare »
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(Libro di Daniele VIII, 15-18)
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Il nome “Gabriele” (גַּבְרִיאֵ*ל, Gaḇrîʼēl) deriva da: geber, “uomo” (גָּ֫בֶר, nella sua accezione di “uomo valoroso”, ovvero “guerriero”) anche gabar (גָּבַר, “essere forte”) e el (אֵ*ל, Dio) quindi “Guerriero di Dio” oppure “Dio mi rende forte”.
Accanto a Gabriele, sempre nel Libro di Daniele si colloca un altro angelo, il suo nome è Michele.
Il nome “Michele” (מִיכָאֵ*ל, Mîkhā’ēl) deriva da: mi (מִי, chi), ki (כִּי, come) e el (אֵ*ל, Dio) quindi “Chi (è) come Dio?”.
Michele si presenta come un “principe” (שָׂר, sar) che tutela il popolo di Israele dagli altri principi malvagi ovvero angeli malvagi che proteggono i popoli di Persia (פָּרָס, paras) e di Grecia (יָוָן, yavan):
Nei Siddurim (סידורים), libri di preghiera ebraici, è scritto:
« Sii benedetto per sempre nostra Rocca, nostro Re e nostro Redentore, che crea esseri santi; sia lodato il Tuo Nome per sempre, nostro Re, creatore di servitori che stanno tutti nella parte alta dell’universo e ad alta voce insieme annunciano con riverenza le parole del Dio vivente e del Re del Mondo. Tutti pieni d’amore, splendidi e vigorosi, tutti santi, tutti pronti ad eseguire, con timore e riverenza, la volontà del loro Padrone. E tutti quanti aprono la loro bocca con santità e purezza, con canti e salmi, e benedicono, lodano, glorificano, santificano, esaltano e chiamano Re il nome di Dio, Re grande, forte e temibile, santo Egli è; e ciascuno accoglie su di sé il giogo del Regno celeste, gli uni dagli altri e si danno vicendevolmente il permesso di santificare il loro Creatore con spirito sereno, con tono chiaro e dolce, proclamando all’unisono la santità, e con profonda riverenza dicono: “Santo, Santo, Santo è Hashem, Dio degli eserciti, della Sua Gloria è piena tutta la Terra”. E gli Offanim e le sante Chayyot si sollevano con grande frastuono di fronte ai Serafin e lodano dicendo: “Sia benedetta la Gloria di Hashem, dal Suo luogo” » | |
Il nome biblico per angelo, mal’akh (in ebraico מלאך), acquista il significato di angelo solo in connessione col nome di Dio, ad esempio “angelo del Signore”, o “angelo di Dio” (מַלְאָך יְ*ה*וָ*ה, ke mal’ach Yahweh Zac12,8). In altre espressioni sono “figli di Dio”, (אֱ*להִים בֵּן benei ha ‘Elohim) Gen6,4; Giobbe1,6; Sal89,6) e “Suoi santi” (קדשים עמך kedoshim immach) (Zac14,5).
Con riferimento ad alcuni angeli, il termine che traduce la parola ebraica E-lohim è anche dèi, termine che esprime il ruolo di essi come “principi celesti”. Secondo le interpretazioni dell’Ebraismo, il plurale E-lohim (usato talora per indicare senz’altro l’unico vero Dio) viene impiegato talvolta per riferirsi ai Giudici. Gli angeli chiamati bnēi E-lohim o bnēi E-lim, un ordine angelico ulteriore, eseguono quanto impartito dagli angeli principi superni. Molte notizie sugli angeli si trovano nell’insegnamento dei rabbini secondo la tradizione ebraica.
L’Universo, secondo gli Ebrei, è abitato da due categorie di esseri: gli angeli e gli esseri umani.
Nel Tanakh compare anche la parola ebraica Ish (אּישׁ), che letteralmente significa uomo: con essa si riferimento agli angeli in molti episodi come nel caso dei tre “uomini” che visitarono Avraham (אַבְרָהָ֛ם, in italiano: Abramo) e Sarah (שָׂרָה):
« Poi il Signore apparve a lui alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini (anashim) stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò (vaiyishtachu) fino a terra (aretzah), dicendo: “Mio signore (Adonai), se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre senza fermarti dal tuo servo. »
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(Genesi XVIII, 1-3)
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dell'”uomo” incontrato e con cui “lottò” Giacobbe (cfr. Genesi XXXII, 25-33) o ancora dell'”uomo” incontrato ed interrogato da Giuseppe sul luogo e lo stato dei suoi fratelli di cui doveva occuparsi e prendersi cura come a lui ordinato dal padre Giacobbe.
Gli angeli appartengono al mondo della santità rispettivamente ai demòni che riguardano l’aspetto del male.
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