Il manoscritto Voynich, universalmente noto come il libro più misterioso del mondo, è a tutt’oggi l’unico libro scritto nel Medioevo che non sia stato ancora decifrato.
Il manoscritto contiene immagini di piante mai viste ed è scritto in un idioma che non appartiene ad alcun sistema alfabetico/linguistico conosciuto.
Il volume, scritto su pergamena di vitellino, è di dimensioni piuttosto ridotte: 16 cm di larghezza, 22 di altezza e 4 di spessore. Consta di 102 fogli, per un totale di 204 pagine. La rilegatura porta tuttavia a ritenere che originariamente comprendesse 116 fogli e che 14 si siano smarriti.
Fanno da corredo al testo una notevole quantità di illustrazioni a colori, ritraenti i soggetti più svariati: proprio i disegni lasciano intravedere la natura del manoscritto, venendo di conseguenza scelti come punto di riferimento per la suddivisione dello stesso in diverse sezioni, a seconda del tema delle illustrazioni:
- Sezione I (fogli 1-66): chiamata botanica, contiene 113 disegni di piante sconosciute.
- Sezione II (fogli 67-73): chiamata astronomica o astrologica, presenta 25 diagrammi che sembrano richiamare delle stelle. Vi si riconoscono anche alcuni segni zodiacali. Anche in questo caso risulta alquanto arduo stabilire di cosa effettivamente tratti questa sezione.
- Sezione III (fogli 75-86): chiamata biologica, nomenclatura dovuta esclusivamente alla presenza di numerose figure femminili nude, sovente immerse fino al ginocchio in strane vasche intercomunicanti contenenti un liquido scuro.
Subito dopo questa sezione vi è un foglio ripiegato sei volte, raffigurante nove medaglioni con immagini di stelle o figure vagamente simili a cellule, raggiere di petali e fasci di tubi.
- Sezione IV (fogli 87-102): detta farmacologica, per via delle immagini di ampolle e fiale dalla forma analoga a quella dei contenitori presenti nelle antiche farmacie. In questa sezione vi sono anche disegni di piccole piante e radici, presumibilmente erbe medicinali.
L’ultima sezione del Manoscritto Voynich comincia dal foglio 103 e prosegue sino alla fine. Non vi figura alcuna immagine, fatte salve delle stelline a sinistra delle righe, ragion per cui si è portati a credere che si tratti di una sorta di indice.
La teoria oggi consolidata è che il manoscritto sia stato creato ad arte come falso nel XVI secolo, per perpetrare una truffa: molto probabilmente il truffatore sarebbe stato l’astrologo mago e falsario inglese Edward Kelley aiutato dal brillante filosofo John Dee e la vittima sarebbe stata Rodolfo II.
Il manoscritto Voynich, del quale non esistono copie, è attualmente conservato presso la Beinecke Rare Book and Manuscript Library dell’Università di Yale, negli Stati Uniti, dove reca il numero di catalogo «Ms 408».
Il manoscritto Voynich deve il suo nome a Wilfrid Voynich, un mercante di libri rari statunitensecollegio gesuita di Villa Mondragone, nei pressi di Frascati, nel 1912. Il contatto tra Voynich ed i gesuiti fu padre Giuseppe Strickland (Joseph Strickland 1864-1915), religioso gesuita. I gesuiti avevano bisogno di fondi per restaurare la villa e vendettero a Voynich trenta volumi della biblioteca, che era formata anche da una raccolta di volumi del Collegio Romano trasportati al collegio di Mondragone insieme alla biblioteca generale dei Gesuiti, per salvarli dagli espropri del nuovo Regno d’Italia, tra cui quello misterioso. che lo acquistò dal
Voynich rinvenne, all’interno del libro, una lettera di Johannes Marcus Marci (1595-1667), rettore dell’Università di Praga e medico reale di Rodolfo II di Boemia, con la quale egli inviava questo libro a Roma presso l’amico poligrafo Athanasius Kircher perché lo decifrasse.
Voynich affermò che lo scritto conteneva minuscole annotazioni in greco antico e datò il volume come originario del XIII secolo.
Nella lettera, recante l’intestazione “Praga, 19 agosto 1665” (o 1666), Marci affermava di aver ereditato il manoscritto medievale da un suo amico (che in seguito le ricerche riveleranno essere un non meglio noto alchimista di nome Georg Baresch), e che il suo precedente proprietario, l’imperatore Rodolfo II, lo aveva acquistato per 600 ducati (una cifra molto elevata), credendolo opera di Ruggero Bacone.
La datazione del testo è ancora controversa, ma è possibile collocare la stesura del testo intorno agli inizi del XVII secolo: un’analisi all’infrarosso ha rivelato la presenza di una firma successivamente cancellata: Jacobi a Tepenece, al secolo Jacobus Horcicki, morto nel 1622 e principale alchimista al servizio di Rodolfo II. Avendo egli ricevuto il titolo di Tepenece nel 1608, questa prova rende non credibili le ipotesi di chi vorrebbe far risalire l’acquisizione del manoscritto a date antecedenti.
Inoltre, una delle piante raffigurate nella sezione “botanica” è quasi identica al comune girasole, giunto in Europa all’indomani della scoperta dell’America, e quindi successivamente al 1492.
Alcune delle figure femminili della sezione biologica, pagina 81.
In molti, nel corso del tempo, e soprattutto ultimamente, hanno cercato di decifrare la lingua sconosciuta del Voynich. Il primo ad aver affermato di essere riuscito nell’impresa fu William Newbold, professore di filosofia medievale alla Università di Pennsylvania. Nel 1921 pubblicò un articolo in cui proponeva un elaborato ed arbitrario procedimento con cui tradurre il testo, che sarebbe stato scritto in un latino “camuffato” addirittura da Ruggero Bacone. La conclusione a cui Newbold arrivò con la sua traduzione fu che già nel tardo Medioevo sarebbero state conosciute nozioni di astrofisica e biologia molecolare. Newbold analizzando il manoscritto però si accorse che le minuscole annotazioni in realtà altro non erano che crepe nella pergamena invecchiata.
Negli anni quaranta i crittografi Joseph Martin Feely e Leonell C. Strong applicarono al documento dei sistemi di decifratura sostitutiva, cercando di ottenenere un testo con caratteri latini in chiaro: il tentativo produsse un risultato che però non aveva alcun significato. Il manoscritto fu l’unico a resistere alle analisi degli esperti di crittografia della marina statunitense, che alla fine della guerra studiarono ed analizzarono alcuni vecchi codici cifrati per mettere alla prova i nuovi sistemi di decodifica. J.M. Feely pubblicò le sue deduzioni nel libro “Roger Bacon’s Cipher:The Right Key Found” in cui, ancora una volta, attribuiva a Bacone la paternità del manoscritto.
Nel 1945 il professor William F. Friedman, costituì a Washington un gruppo di studiosi, il First Voynich Manuscript Study Group (FSG). Egli optò per un approccio più metodico e oggettivo, nell’ambito del quale emerse la cospicua ripetitività del linguaggio del Voynich. Tuttavia, a prescindere dall’opinione maturatagli nel corso degli anni in merito all’artificialità di tale linguaggio, all’atto pratico la ricerca si risolse in un nulla di fatto: a niente servì infatti la trasposizione dei caratteri in segni convenzionali, che doveva fungere da punto di partenza per qualsiasi analisi successiva.
Il professor Robert Brumbaugh, docente di filosofia medievale a Yale, e lo scienziato Gordon Rugg, in seguito a ricerche linguistiche, sposarono la teoria che vedrebbe il Voynich come un semplice espediente truffaldino, volto a sfruttare il successo che a quel tempo le opere esoteriche solevano riscuotere presso le corti europee.
Nel 1978 il filologo dilettante John Stojko credette di aver riconosciuto la lingua, e affermò che si trattasse di ucraino, con le vocali rimosse. La traduzione però pur avendo in alcuni passi un apparente senso (Il Vuoto è ciò per cui combatte l’Occhio del Piccolo Dio) non corrispondeva ai disegni.
Nel 1987 il fisico Leo Levitov attribuì il testo a degli eretici Catari, pensando di aver interpretato il testo come un misto di diverse lingue medievali centroeuropee. Il testo tuttavia non corrispondeva con la cultura catara, e la traduzione aveva poco senso.
Lo studio più significativo in materia resta ad oggi quello compiuto nel 1976 da William Ralph Bennett, che ha applicato la casistica alle lettere ed alle parole del testo, mettendone in luce non solo la ripetitività, ma anche la semplicità lessicale e la bassissima entropia: il linguaggio del Voynich, in definitiva, non solo si avvarrebbe di un vocabolario limitato, ma anche di una basilarità linguistica riscontrabile, tra le lingue moderne, solo nell’hawaiano. Il fatto che le medesime “sillabe”, e perfino intere parole, vengano ripetute con una frequenza tale da rasentare il beffardo, è attinente più ad una concezione inconsciamente accomodante, che non volutamente criptica.
L’alfabeto che viene usato, oltre a non essere stato ancora decifrato, è unico. Sono però state riconosciute 19-28 probabili lettere, che non hanno nessun legame con gli alfabeti attualmente conosciuti. Si sospetta inoltre che siano stati usati due alfabeti complementari ma non uguali, e che il manoscritto sia stato redatto da più persone. Imprescindibile quanto significativa in tal senso è poi l’assoluta mancanza di errori ortografici, cancellature o esitazioni, elementi costanti invece in qualunque altro manoscritto.
In alcuni passi ci sono delle parole ripetute anche 4 o più volte consecutivamente.
Insomma un mistero tutto da scoprire
Di seguito il video-documentario su questo misterioso scritto