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LE PIANTE sono in grado di apprendere e di conservare memoria delle informazioni. Lo dimostra per la prima volta un esperimento realizzato al Laboratorio Internazionale di Neurobiologia Vegetale - Linv dell'Università di Firenze e descritto in un articolo pubblicato sull'ultimo numero della rivista scientifica Oecologia (Experience teaches plants to learn faster and forget slower in environments where it matters").
Stefano Mancuso, responsabile del Linv, assieme ai ricercatori della University of Western Australia Monica Gagliano, Michael Renton e Martial Depczynski, ha sottoposto a stimoli di varia natura alcune piante di Mimosa pudica, un arbusto che chiude le sue foglioline non appena viene disturbato, dimostrando l'abilità di distinguere tra i diversi stimoli e di memorizzare le informazioni per lunghi periodi di tempo.
"La Mimosa pudica è una piccola pianta di origine tropicale, ormai abbastanza comune anche alle nostre latitudini, che è stata a lungo studiata per la sua reazione a stimoli che la disturbano", ha raccontato Stefano Mancuso, associato di Arboricoltura generale e coltivazioni arboree del Dipartimento di Scienze delle produzioni agroalimentari e dell'ambiente dell'ateneo fiorentino. "La sua reazione immediata e visibile ci ha permesso di studiare le risposte a vari tipi di sollecitazioni, sia pericolose, come il contatto con un insetto, che inoffensive", ha aggiunto.
"Abbiamo addestrato le piante a ignorare uno stimolo non pericoloso, la caduta del vaso in cui sono coltivate da un'altezza di 15 centimetri, ripetendo l'esperienza. Dopo alcune ripetizioni - ha spiegato il ricercatore le piante di mimosa non hanno più chiuso le foglie, risparmiando tra l'altro energia. Allevando le piante in due gruppi separati, con disponibilità di luce diverse, è stato possibile dimostrare infatti che quelle coltivate a livelli luminosi inferiori, e quindi con meno energia, apprendono più in fretta di quelle che ne hanno di più. Come se non volessero sprecare risorse. Le piante hanno mantenuto memoria delle esperienze per oltre 40 giorni". E ha concluso: "Dobbiamo ancora capire come e dove i vegetali conservino queste informazioni e come facciano a richiamarle quando è necessario. Per farlo applicheremo ad altri tipi di piante, in particolare quelle carnivore, le tecniche utilizzate per studiare il comportamento degli animali".